sabato 27 marzo 2010

Papa Ratzinger. Grazie a Dio! Un bellissimo articolo di Sara Fumagalli all'indomani dell'elezione di Benedetto XVI


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TRADUZIONE UFFICIALE IN ITALIANO DELL'EPISTOLA "DE DELICTIS GRAVIORIBUS" DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

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C’è l’idea che Benedetto XVI disorienti e dia fastidio «a tutti coloro cui fa comodo dipingere la Chiesa come retrograda, omertosa e quant’altro: con il suo pontificato, Benedetto XVI sta smentendo nella realtà tutti questi cliché». Analisi di Gian Guido Vecchi

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La sofferenza per quanto si sta ingiustamente abbattendo su Benedetto XVI, proprio sull’uomo che ha più vibratamente stigmatizzato la sporcizia nella Chiesa, è diffusa e profonda nel popolo di Dio (Casavola)

Zizola riconosce a Benedetto XVI il merito di avere mantenuto le promesse della Via Crucis del 2005: la bonifica è in corso. Ma l'operazione verità potrebbe essere fruttuosa solo a patto di aprire ogni sipario sui gangli del sistema che l'hanno lungamente inibita. Ciò difficilmente lascerebbe indenne la responsabilità di Wojtyla

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Riceviamo e con grandissimo piacere pubblichiamo questo articolo pubblicato su "Il Federalismo" (era un tabloid di approfondimento settimanale) subito dopo l'elezione del nostro Papa. Grazie di cuore :-)
R.

PAPA RATZINGER
GRAZIE A DIO
!


Sara Fumagalli

Era il 24 febbraio.

Il Duomo di Milano straripava di popolo e la piazza grigia di pioggia e di vento, intristita dai pannelli che ne coprono la facciata, ma illuminata dalla nostra bela Madunina, era gremita.

All’interno del nostro Tempio, in fondo all’imponente e magnifica navata sorretta dai possenti pilastri di pietra, una macchia estesa di figure in bianco e porpora sedeva dietro l’altare.

Davanti, al centro, giaceva per terra il semplice feretro di Don Giussani, padre e anima buona del grande movimento di Comunione e Liberazione, irradiato dalla Lombardia in tutto il pianeta.

Seduto in una pomposa poltrona in angolo, il Cardinale reggitore della Diocesi ambrosiana, la più grande del mondo, osservava con lo sguardo basso tutti quei fedeli lombardi, tra cui tanti giovani col rosario in mano. Dietro di lui pareva scorgersi l’ombra enigmatica dell’emerito porporato di cui avrebbe letto in seguito il circostanziale messaggio.

Ma in alto, sul pulpito che abbraccia una colonna, dove la mia generazione non è stata abituata a guardare, là in alto erano rivolti gli sguardi e l’attenzione rapita di tutti i fedeli.

Là in alto, in piedi, il Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, senza leggere, diffondeva, come uno che ha autorità, parole di spirito e vita.

Parlava ed era tutto un miracolo, a partire dal fatto che riusciva ad esprimere un suono dolcissimo, nonostante il suo chiaro accento gotico come la cattedrale.

Parlava di Cristo, soprattutto, e della sua “bellezza infinita”, del cristianesimo “che non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo”, ma “un incontro, una storia d’amore, un avvenimento”, della necessità di conservare la “centralità di Cristo” contro la “tentazione grande - dagli anni ’68 e seguenti - di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare” e come presupposto per poter davvero aiutare “con le opere necessarie, con il servizio necessario, l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgente” e, citando espressamente il Cardinale Biffi (!), parlava di “libertà”, con le parole di Sant’Ambrogio “Ubi fides est libertas”.

Rivolgendosi ai suoi “cari fedeli” e ai “cari giovani soprattutto”, parlava, in sostanza, di fede. Ma in realtà non parlava: testimoniava, emanava fede.

Non un discorso, ma un evento metafisico.

- Stefania, hai visto cosa è successo? Abbiamo ancora tempo per un articolo? E’ successa una cosa straordinaria. Altro che prediche smorte o i soliti comizi in salsa clericale. A Milano è tornato finalmente a vibrare lo spirito di Sant’Ambrogio! Viva Ratzinger! - Purtroppo il giornale era ormai chiuso, ma il nostro Direttore si riprometteva di riprendere certamente in seguito l’argomento.

Ed eccoci qui. Viva Ratzinger! Viva il Papa!

Viva colui che è stato eletto Papa dalla Chiesa e dallo Spirito Santo per forza di fede e non di diplomazie e compromessi, dopo aver tuonato, alla Via Crucis del Venerdì Santo, contro “la deriva verso un secolarismo senza Dio”, ma anche contro “quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. Colui che ha osato una preghiera mai sentita prima: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano ... Abbi pietà della tua Chiesa … Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto. Tu, però, ti rialzerai. Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi.”

Non immaginava di certo che il Signore avrebbe risposto alla sua preghiera vibrante dando in mano a lui il timone di quella barca.

A scanso di equivoci, il Cardinale bavarese avrebbe ripreso la metafora nautica anche nell’ultima omelia prima del Conclave: “La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via….
Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie". Vere e proprie mazzate teutoniche per l’area cosiddetta progressista della Chiesa che avrebbero dovuto porlo definitivamente al riparo da un’eventuale elezione, secondo le logiche di mediazione e accomodamento che siamo usi sorbirci nella politica italiana.
Ma al Signore non piace il sale insipido.

Habemus Papam: Iosephum Ratzinger qui sibi nomen imposuit Bendictum XVI.

Benedetto il Signore!
Benedetto il Papa! Benedetto come San Benedetto, il patrono dell’Europa, l’Europa dell’ORA ET LABORA, dei pellegrinaggi e degli scambi commerciali che univano in comunione e in interesse i popoli e le nazioni senza bisogno di cancellarne i confini, l’Europa del latino lingua franca che rendeva universali scienze e cultura senza cancellare le identità, l’Europa dei monaci, degli amanuensi, dei monasteri e delle abbazie che hanno salvato la civiltà e il pensiero occidentale nel periodo delle invasioni barbariche, l’Europa della spiritualità medievale, l’Europa della libertà dei comuni lombardi che, riuniti in Lega sotto il simbolo della Croce e del Carroccio dall’abate benedettino di Pontida, potevano permettersi di sfidare l’arroganza dell’Impero.

Troppo grande, troppo vero, troppo celeste Ratzinger per trascinarlo in politica.

Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo ridurre il suo messaggio, che ha Cristo per Alfa ed Omega, a semplici enunciati politici. Non vogliamo, però, neppure essere ipocriti e negare il fatto che ci fa un enorme piacere che sui temi dell’identità e delle radici cristiane europee, dell’ingresso della Turchia in Europa, della famiglia esclusivamente eterosessuale, dei pericoli dell’assolutismo relativista per la libertà d’opinione, noi leghisti e il Santo Padre Benedetto XVI - rigorosamente non lui come noi, ma noi come lui - la pensiamo esattamente nello stesso modo.

Perciò, per quei nostri lettori che ancora non avessero la fortuna di conoscere il Ratzinger-pensiero, pubblichiamo di seguito ampi stralci (tratti da www.chiesa) della conferenza tenuta la sera del 1° aprile scorso, a Subiaco, la culla del monachesimo d'Occidente e di San Benedetto, dove il Cardinal Ratzinger si era recato per ritirare il "Premio San Benedetto per la promozione della vita e della famiglia in Europa”.

In essa il futuro Papa Benedetto XVI tracciava una poderosa analisi della cultura illuministico-razionalista che, costituendo “la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell'intera umanità", sta plasmando l’Europa verso “un dogmatismo sempre più ostile alla libertà”. Questo manifesto di Ratzinger sull’Europa ha arricchito il dossier su cui i cardinali hanno ragionato e si sono confrontati nei giorni di preconclave e pertanto rappresenta un documento storico fondamentale per comprendere il nuovo corso della Chiesa in Europa per il terzo millennio.

L’Europa nella crisi delle culture

di Joseph Ratzinger - Subiaco, 1° aprile 2005

Viviamo un momento di grandi pericoli e di grandi opportunità per l’uomo e per il mondo, un momento che è anche di grande responsabilità per tutti noi. Durante il secolo passato le possibilità dell’uomo e il suo dominio sulla materia sono cresciuti in misura davvero impensabile. Ma il suo poter disporre del mondo ha anche fatto sì che il suo potere di distruzione abbia raggiunto delle dimensioni che, a volte, ci fanno inorridire. A tale proposito viene spontaneo pensare alla minaccia del terrorismo, questa nuova guerra senza confini e senza fronti. Il timore che esso possa presto impossessarsi delle armi nucleari e biologiche non è infondato e ha fatto sì che, all’interno degli Stati di diritto, si sia dovuti ricorrere a sistemi di sicurezza simili a quelli che prima esistevano soltanto nelle dittature; ma rimane comunque la sensazione che tutte queste precauzioni in realtà non possano mai bastare, non essendo possibile né desiderabile un controllo globale. Meno visibili, ma non per questo meno inquietanti, sono le possibilità di automanipolazione che l’uomo ha acquisito. Egli ha scandagliato i recessi dell’essere, ha decifrato le componenti dell’essere umano, e ora è in grado, per così dire, di “costruire” da sé l’uomo, che così non viene più al mondo come dono del Creatore, ma come prodotto del nostro agire, prodotto che, pertanto, può anche essere selezionato secondo le esigenze da noi stessi fissate. Così, su quest’uomo non brilla più lo splendore del suo essere immagine di Dio, che è ciò che gli conferisce la sua dignità e la sua inviolabilità, ma soltanto il potere delle capacità umane. Egli non è più altro che immagine dell’uomo – di quale uomo? A questo si aggiungono i grandi problemi planetari: la disuguaglianza nella ripartizione dei beni della terra, la crescente povertà, anzi l’impoverimento, lo sfruttamento della terra e delle sue risorse, la fame, le malattie che minacciano tutto il mondo, lo scontro delle culture. Tutto ciò mostra che al crescere delle nostre possibilità non corrisponde un uguale sviluppo della nostra energia morale. La forza morale non è cresciuta assieme allo sviluppo della scienza, anzi, piuttosto è diminuita, perché la mentalità tecnica confina la morale nell’ambito soggettivo, mentre noi abbiamo bisogno proprio di una morale pubblica, una morale che sappia rispondere alle minacce che gravano sull’esistenza di tutti noi. Il vero, più grave pericolo di questo momento sta proprio in questo squilibrio tra possibilità tecniche ed energia morale. La sicurezza, di cui abbiamo bisogno come presupposto della nostra libertà e della nostra dignità, non può venire in ultima analisi da sistemi tecnici di controllo, ma può, appunto, scaturire soltanto dalla forza morale dell’uomo: laddove essa manca o non è sufficiente, il potere che l’uomo ha si trasformerà sempre di più in un potere di distruzione.

È vero che oggi esiste un nuovo moralismo le cui parole-chiave sono giustizia, pace, conservazione del creato, parole che richiamano dei valori morali essenziali di cui abbiamo davvero bisogno. Ma questo moralismo rimane vago e scivola così, quasi inevitabilmente, nella sfera politico-partitica. Esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri, e troppo poco un dovere personale della nostra vita quotidiana. Infatti, cosa significa giustizia? Chi lo definisce? Che cosa serve alla pace? Negli ultimi decenni abbiamo visto ampiamente nelle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo politico degli anni Settanta, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì ad affascinare anche dei giovani pieni di ideali. Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità, e perché, in ultima analisi, metteva l’utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo, mostrando persino di poter arrivare, in nome di grandi obbiettivi, a disprezzare l’uomo. Il moralismo politico, come l’abbiamo vissuto e come lo viviamo ancora, non solo non apre la strada a una rigenerazione, ma la blocca. Lo stesso vale, di conseguenza, anche per un cristianesimo e per una teologia che riducono il nocciolo del messaggio di Gesù, il “Regno di Dio”, ai “valori del Regno”, identificando questi valori con le grandi parole d’ordine del moralismo politico, e proclamandole, nello stesso tempo, come sintesi delle religioni. Dimenticandosi però, così, di Dio, nonostante sia proprio Lui il soggetto e la causa del Regno di Dio. Al suo posto rimangono grandi parole (e valori) che si prestano a qualsiasi tipo di abuso.

Questo breve sguardo sulla situazione del mondo ci porta a riflettere sull’odierna situazione del cristianesimo, e perciò anche sulle basi dell’Europa; quell’Europa che un tempo, possiamo dire, è stata il continente cristiano, ma che è stata anche il punto di partenza di quella nuova razionalità scientifica che ci ha regalato grandi possibilità e altrettanto grandi minacce. (…) E sulla scia di questa forma di razionalità, l’Europa ha sviluppato una cultura che, in un modo sconosciuto prima d’ora all’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente all’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica. Questa razionalità puramente funzionale, per così dire, ha comportato uno sconvolgimento della coscienza morale altrettanto nuovo per le culture finora esistite, poiché sostiene che razionale è soltanto ciò che si può provare con degli esperimenti. (…) In un mondo basato sul calcolo, è il calcolo delle conseguenze che determina cosa bisogna considerare morale oppure no. E così la categoria di bene, come era stata evidenziata chiaramente da Kant, sparisce. Niente in sé è bene o male, tutto dipende dalle conseguenze che un’azione lascia prevedere. Se il cristianesimo, da una parte, ha trovato la sua forma più efficace in Europa, bisogna d’altra parte anche dire che in Europa si è sviluppata una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità. Da qui si capisce che l’Europa sta sperimentando una vera e propria “prova di trazione”; da qui si capisce anche la radicalità delle tensioni alle quali il nostro continente deve far fronte. Ma qui emerge anche e soprattutto la responsabilità che noi europei dobbiamo assumerci in questo momento storico: nel dibattito intorno alla definizione dell’Europa, intorno alla sua nuova forma politica, non si gioca una qualche nostalgica battaglia “di retroguardia” della storia, ma piuttosto una grande responsabilità per l’umanità di oggi.

Diamo uno sguardo più accurato a questa contrapposizione tra le due culture che hanno contrassegnato l’Europa. Nel dibattito sul preambolo della Costituzione europea, tale contrapposizione si è evidenziata in due punti controversi: la questione del riferimento a Dio nella Costituzione e quella della menzione delle radici cristiane dell’Europa. Visto che nell’articolo 52 della Costituzione sono garantiti i diritti istituzionali delle Chiese, possiamo stare tranquilli, si dice. Ma ciò significa che esse, nella vita dell’Europa, trovano posto nell’ambito del compromesso politico, mentre, nell’ambito delle basi dell’Europa, l’impronta del loro contenuto non trova alcuno spazio. Le ragioni che si danno nel dibattito pubblico per questo netto “no” sono superficiali, ed è evidente che più che indicare la vera motivazione, la coprono. L’affermazione che la menzione delle radici cristiane dell’Europa ferisce i sentimenti dei molti non-cristiani che ci sono in Europa, è poco convincente, visto che si tratta prima di tutto di un fatto storico che nessuno può seriamente negare. Naturalmente questo cenno storico contiene anche un riferimento al presente, dal momento che, con la menzione delle radici, si indicano le fonti residue di orientamento morale, e cioè un fattore d’identità di questa formazione che è l’Europa. Chi verrebbe offeso? L’identità di chi viene minacciata? I musulmani, che a tale riguardo spesso e volentieri vengono tirati in ballo, non si sentono minacciati dalle nostre basi morali cristiane, ma dal cinismo di una cultura secolarizzata che nega le proprie basi. E anche i nostri concittadini ebrei non vengono offesi dal riferimento alle radici cristiane dell’Europa, in quanto queste radici risalgono fino al monte Sinai: portano l’impronta della voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti fondamentali che il decalogo ha donato all’umanità. Lo stesso vale per il riferimento a Dio: non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio.

Le motivazioni per questo duplice “no” sono più profonde di quel che lasciano pensare le motivazioni avanzate. Presuppongono l’idea che soltanto la cultura illuminista radicale, la quale ha raggiunto il suo pieno sviluppo nel nostro tempo, potrebbe essere costitutiva per l’identità europea. Accanto ad essa possono dunque coesistere differenti culture religiose con i loro rispettivi diritti, a condizione che e nella misura in cui rispettino i criteri della cultura illuminista e si subordinino ad essa. Questa cultura illuminista sostanzialmente è definita dai diritti di libertà; essa parte dalla libertà come un valore fondamentale che misura tutto: la libertà della scelta religiosa, che include la neutralità religiosa dello Stato; la libertà di esprimere la propria opinione, a condizione che non metta in dubbio proprio questo canone; l’ordinamento democratico dello Stato, e cioè il controllo parlamentare sugli organismi statali; la libera formazione di partiti; l’indipendenza della magistratura; e infine la tutela dei diritti dell’uomo ed il divieto di discriminazioni. Qui il canone è ancora in via di formazione, visto che ci sono anche diritti dell’uomo contrastanti, come per esempio nel caso del contrasto tra la voglia di libertà della donna e il diritto alla vita del nascituro. Il concetto di discriminazione viene sempre più allargato, e così il divieto di discriminazione può trasformarsi sempre di più in una limitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa. Ben presto non si potrà più affermare che l’omosessualità, come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell’esistenza umana. Ed il fatto che la Chiesa è convinta di non avere il diritto di dare l’ordinazione sacerdotale alle donne viene considerato, da alcuni, fin d’ora inconciliabile con lo spirito della Costituzione europea. È evidente che questo canone della cultura illuminista, tutt’altro che definitivo, contiene valori importanti dei quali noi, proprio come cristiani, non vogliamo e non possiamo fare a meno; ma è altrettanto evidente che la concezione mal definita o non definita affatto di libertà, che sta alla base di questa cultura, inevitabilmente comporta contraddizioni; ed è evidente che proprio per via del suo uso (un uso che sembra radicale) comporta limitazioni della libertà che una generazione fa non riuscivamo neanche ad immaginarci. Una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà.

Dovremo senz’altro tornare ancora sulla questione delle contraddizioni interne alla forma attuale della cultura illuminista. Ma prima dobbiamo finire di descriverla. Fa parte della sua natura, in quanto cultura di una ragione che ha finalmente completa coscienza di se stessa, vantare una pretesa universale e concepirsi come compiuta in sé stessa, non bisognosa di alcun completamento attraverso altri fattori culturali. Entrambe queste caratteristiche si vedono chiaramente quando si pone la questione su chi possa diventare membro della Comunità europea, e soprattutto nel dibattito circa l’ingresso della Turchia in questa Comunità. Si tratta di uno Stato, o forse meglio, di un ambito culturale, che non ha radici cristiane, ma che è stato influenzato dalla cultura islamica. Ataturk ha poi cercato di trasformare la Turchia in uno Stato laicista, tentando di impiantare il laicismo maturato nel mondo cristiano dell’Europa su un terreno musulmano. Ci si può chiedere se ciò sia possibile: secondo la tesi della cultura illuminista e laicista dell’Europa, soltanto le norme e i contenuti della stessa cultura illuminista potranno determinare l’identità dell’Europa e, di conseguenza, ogni Stato che fa suoi questi criteri, potrà appartenere all’Europa. Non importa, alla fine, su quale intreccio di radici questa cultura della libertà e della democrazia viene impiantata. È proprio per questo, si afferma, che le radici non possono entrare nella definizione dei fondamenti dell’Europa, trattandosi di radici morte che non fanno parte dell’identità attuale. (…)

Queste filosofie sono caratterizzate dal fatto che sono positivistiche, e perciò antimetafisiche, tanto che, alla fine, Dio non può avere in esse alcun posto. Esse sono basate su una autolimitazione della ragione positiva, che è adeguata nell’ambito tecnico, ma che, laddove viene generalizzata, comporta invece una mutilazione dell’uomo. Ne consegue che l’uomo non ammette più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli e, come abbiamo visto, anche che il concetto di libertà, che a tutta prima potrebbe sembrare espandersi in modo illimitato, alla fine porta all’autodistruzione della libertà. È vero che le filosofie positivistiche contengono importanti elementi di verità. Questi sono però basati su un’autolimitazione della ragione tipica di una determinata situazione culturale – quella dell’Occidente moderno – non potendo di certo essere come tali l’ultima parola della ragione. Nonostante sembrino totalmente razionali, non sono la voce della ragione stessa, ma sono anch’esse vincolate culturalmente, vincolate cioè alla situazione dell’Occidente di oggi. Perciò non sono affatto quella filosofia che un giorno dovrebbe essere valida in tutto il mondo. Ma soprattutto bisogna dire che questa filosofia illuminista e la sua rispettiva cultura sono incomplete. Essa taglia coscientemente le proprie radici storiche privandosi delle forze sorgive dalle quali essa stessa è scaturita, quella memoria fondamentale dell’umanità, per così dire, senza la quale la ragione perde l’orientamento. Infatti adesso vale il principio che la capacità dell’uomo sia la misura del suo agire. Ciò che si sa fare, si può anche fare. Un saper fare separato dal poter fare non esiste più, perché sarebbe contro la libertà, che è il valore supremo in assoluto. Ma l’uomo sa fare tanto, e sa fare sempre di più; e se questo saper fare non trova la sua misura in una norma morale, diventa, come possiamo già vedere, potere di distruzione. L’uomo sa clonare uomini, e perciò lo fa. L’uomo sa usare uomini come “magazzino” di organi per altri uomini, e perciò lo fa; lo fa perché sembrerebbe essere questa una esigenza della sua libertà. L’uomo sa costruire bombe atomiche, e perciò le fa, essendo, in linea di principio, anche disposto ad usarle. Anche il terrorismo, alla fine, si basa su questa modalità di “auto-autorizzazione” dell’uomo, e non sugli insegnamenti del Corano. Il radicale distacco della filosofia illuminista dalle sue radici diventa, in ultima analisi, un fare a meno dell’uomo. L’uomo, in fondo, non ha alcuna libertà, ci dicono i portavoce delle scienze naturali, in totale contraddizione col punto di partenza di tutta la questione. Egli non deve credere di essere qualcos’altro rispetto a tutti gli altri esseri viventi, e perciò dovrebbe anche essere trattato come loro, ci dicono persino i portavoce più avanzati di una filosofia nettamente separata dalle radici della memoria storica dell’umanità. (…) Questa filosofia non esprime la compiuta ragione dell’uomo, ma soltanto una parte di essa, e per via di questa mutilazione della ragione non la si può considerare affatto razionale. Per questo è anche incompleta, e può guarire soltanto ristabilendo di nuovo il contatto con le sue radici. Un albero senza radici si secca…

Affermando questo non si nega tutto ciò che questa filosofia dice di positivo e importante, ma si afferma piuttosto il suo bisogno di compiutezza, la sua profonda incompiutezza.

E così ci troviamo di nuovo a parlare dei due punti controversi del preambolo della Costituzione europea. L’accantonamento delle radici cristiane non si rivela espressione di una superiore tolleranza che rispetta tutte le culture allo stesso modo, non volendo privilegiarne alcuna, bensì come l’assolutizzazione di un pensare e di un vivere che si contrappongono radicalmente, fra l’altro, alle altre culture storiche dell’umanità. La vera contrapposizione che caratterizza il mondo di oggi non è quella tra diverse culture religiose, ma quella tra la radicale emancipazione dell’uomo da Dio, dalle radici della vita, da una parte, e le grandi culture religiose dall’altra. Se si arriverà ad uno scontro delle culture, non sarà per lo scontro delle grandi religioni – da sempre in lotta le une contro le altre ma che, alla fine, hanno anche sempre saputo vivere le une con le altre –, ma sarà per lo scontro tra questa radicale emancipazione dell’uomo e le grandi culture storiche. Così, anche il rifiuto del riferimento a Dio, non è espressione di una tolleranza che vuole proteggere le religioni non teistiche e la dignità degli atei e degli agnostici, ma piuttosto espressione di una coscienza che vorrebbe vedere Dio cancellato definitivamente dalla vita pubblica dell’umanità e accantonato nell’ambito soggettivo di residue culture del passato. Il relativismo, che costituisce il punto di partenza di tutto questo, diventa così un dogmatismo che si crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione, ed in diritto di considerare tutto il resto soltanto come uno stadio dell’umanità in fondo superato e che può essere adeguatamente relativizzato. In realtà ciò significa che abbiamo bisogno di radici per sopravvivere e che non dobbiamo perdere Dio di vista, se vogliamo che la dignità umana non sparisca.

(…) Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo.

(da www.chiesa)

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1 commento:

laura ha detto...

Bellissimo e sempre nuovo. Grazie