mercoledì 23 giugno 2010

Straordinari ritrovamenti nelle catacombe: Una pia donna della Roma "bene" di allora (Osservatore Romano)


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Quando il culto approdò nelle famiglie aristocratiche della città

Una pia donna della Roma "bene" di allora

di Fabrizio Bisconti

Ancora prima del sacco del 410, che, per la popolazione romana, e per tutto il mondo antico, rappresentò un poco il corrispettivo del trauma violento, che, ai nostri giorni, ha provocato nell'immaginario collettivo l'episodio delle "torri gemelle", le catacombe romane avevano subito un progressivo fenomeno di abbandono; nel senso che il suburbio non rappresentò più l'unica sede preposta ai sepolcreti cristiani, che, in parte, furono sistemati all'interno della cinta muraria aureliana e, in parte, comunque, lasciarono i siti ipogei, per insediarsi e addensarsi all'interno e nei dintorni immediati dei più importanti santuari martiriali: inaugurando una consuetudine, che si diffonderà in tutto l'orbis christianus antiquus.
Il declino della funzione funeraria delle catacombe, comunque, non si consuma in maniera traumatica e anzi, in corrispondenza delle tombe dei martiri, si assiste, nell'ultimo scorcio del iv secolo, in corrispondenza con il pontificato di Papa Damaso (366-384), a una densissima concentrazione di sepolture intorno ai sepolcri di quei primi "testimoni" della fede cristiana, che documentano concretamente un improvviso incremento della devozione.
Alcune di queste sepolture denunciano, per sistemazione, decoro e arredo una committenza estremamente elevata, vuoi per quanto riguarda il rango attinente alla più alta gerarchia ecclesiastica e/o aristocratica, vuoi per il cospicuo potenziale economico. Questo intenso sfruttamento degli spazi funerari a ridosso delle "tombe eccellenti" dà luogo a speciali aree funerarie, definite eloquentemente retrosanctos.
Come si diceva, il fenomeno si verifica anche attorno ai santuari martiriali del sopraterra e, specialmente, in corrispondenza delle basiliche circiformi, che spuntarono al tempo dei Costantinidi, presso le tombe di san Lorenzo, di sant'Agnese, dei santi Pietro e Marcellino, di Papa Marco e nella memoria apostolorum sulla via Appia Antica. Alcune di queste tombe assumono le proporzioni e le caratteristiche del mausoleo imperiale, come nei casi celebri dei grandi sepolcri a pianta centrale dove furono sepolte rispettivamente Costanza, sulla via Nomentana, ed Elena, sulla via Labicana.
Accanto a queste tombe imperiali, che presentano sontuose decorazioni in opus sectile e in mosaico, dobbiamo segnalare tutta una serie di mausolei meno impegnativi per dimensioni e arredo, ma ugualmente rappresentativi di una tensione, che dimostra il desiderio di emulare i sepolcri dei potentiores.
Anche nelle catacombe, nell'ultimo segmento della loro vita funeraria, sorgono importanti cubicoli dipinti, che, pur rinunciando alla vicinanza con le tombe dei martiri e anche al privilegio di sistemarsi nelle sedi visibili del sopraterra, sviluppano "architetture negative" complesse e programmi decorativi di elevato impegno artistico e devozionale. Così, nelle catacombe di Domitilla, viene realizzato il sontuoso cubicolo della corporazione dei pistores; così, nelle catacombe di Commodilla, viene scavato nel tufo e decorato con un apparato pittorico estremamente sofisticato il cubicolo dell'officiale dell'annona Leone. Ancora più significativo risulta l'ipogeo di diritto privato rinvenuto lungo la via Latina, i cui committenti, appartenenti alla più elevata aristocrazia senatoriale, fanno capo a un gruppo di famiglie, in parte pagane, in parte già convertite al cristianesimo, dando luogo a una curiosa forma di sincresi religiosa. Questo monumento, pure collocato nella seconda metà del quarto secolo, dimostra il travaglio della conversione al cristianesimo degli ultimi pagani, arroccati, come è noto, nell'entourage senatoriale dell'Urbe.
In questo contesto si inserisce un cubicolo dipinto nelle catacombe romane di Sant Tecla sulla via Ostiense, noto già dal Settecento, ma sottoposto a un intervento di restauro estremamente sofisticato, che ha restituito un complesso programma decorativo, commissionato alla fine del quarto secolo da un'abbiente e aristocratica famiglia romana che fece creare, nelle propaggini di un cimitero comunitario, il sontuoso cubicolo duplex, nel senso che il vero e proprio ambiente sepolcrale è fornito di un avancorpo, che reimpiega un più antico cubicolo di età costantiniana.
Ebbene, il primo ambiente, viene riconcepito e fornito di un grande lucernario, che enfatizza il nostro ambiente con una maestosa rappresentazione di quel collegio apostolico, arricchito da un gregge di ovini, che vuole esprimere la solidarietà della Chiesa e la sua potente coesione nei confronti delle eresie e, specialmente, dell'affaire ariano, che aveva messo in dubbio la consustanzialità del Padre e del Figlio.
Il cubicolo vero e proprio, dopo il fortunato restauro, ha rivelato, nel soffitto, che imita un cassettonato, assai simile a quello che doveva decorare la basilica di San Paolo fuori le Mura, voluta dai tre imperatori Teodosio, Valentiniano ii e Arcadio, nell'ultimo scorcio del quarto secolo, cinque suggestivi clipei figurati. Al centro è l'immagine del buon pastore, ai quattro angoli si riconoscono i busti di san Paolo - di cui si ragionò nelle pagine di questo giornale proprio lo scorso anno - quello di san Pietro, quello di sant'Andrea e quello di san Giovanni. I quattro apostoli sono riconoscibili dai tratti fisionomici: Paolo mostra le sembianze intimidenti del pensatore pneumatico; Pietro quelle del concreto e sicuro punto di riferimento della Chiesa romana; Andrea quelle dell'irruenza scomposta e rude; Giovanni quelle della dolcezza e dell'amabilità.
Se le immagini di Pietro e Paolo rappresentano il manifesto di quella concordia apostolorum, che, dai tempi di Papa Damaso, era diventata lo slogan di una politica religiosa, che vede nella riabilitazione dell'apostolo delle genti, un tentativo di riequilibrare le partes della Chiesa e dell'Impero, le effigi di Andrea e Giovanni, che qui affiorano per la prima volta, sorprendendo tutti coloro che rimandavano quest'apparizione all'avanzato quinto secolo se non alla stagione bizantina, ci parlano di un culto allargato nei confronti degli apostoli.
Tale culto doveva essere alimentato dalla circolazione delle reliquie degli apostoli e da una devozione proveniente dai pellegrinaggi praticati nei memoriali apostolici in Terra Santa. Per quanto riguarda il primo punto, non possiamo dimenticare che Costantino fece erigere nella capitale d'Oriente una basilica apostolorum a pianta cruciforme - che sarebbe diventata anche la sua tomba - al centro della quale, nei pressi di una sorta di grande ciborio, erano sistemate delle stele, che ricordavano proprio i dodici apostoli. Ambrogio, per quanto attiene il secondo punto, fece edificare a Milano una basilica apostolorum, pure a pianta cruciforme, laddove depose le reliquie degli apostoli - forse provenienti da Aquileia, da Concordia o da Roma - in un prezioso cofanetto argenteo.
È questo il tempo dei grandi viaggi in Terra Santa, finalizzati a frequentare le sedi delle memorie bibliche, dalle quali venivano riportate in patria i ricordi dei grandi prodigi del Vecchio Testamento e dei miracoli operati dal Cristo e dagli Apostoli. Se, nella maggior parte dei casi, i pellegrini riportarono dai santuari piccole ampolle in metallo o in ceramica colme d'acqua e di sabbia o medagliette devozionali, in altri casi recano nella loro memoria l'immagine dei protagonisti della storia della salvezza. Il viaggio di Egeria è celebre, ma altre nobildonne, rimaste anonime, o menzionate nell'epistolario di san Girolamo, viaggiano alla volta di quei suggestivi santuari. Anche i presbiteri, i diaconi e i cristiani ordinari - sull'esempio illustre di Elena - si posero alla ricerca di reliquie da sistemare nei monumenti dell'ecumene cristiano, all'interno di contenitori preziosi, come la celebre lipsanoteca eburnea di Brescia, pure della fine del quarto secolo, che riproduce, tra l'altro, i clipei del Cristo e degli apostoli o l'ancor più famosa capsella eburnea di Samagher, riferibile, però, già al quinto secolo e decorata con spaccati di santuari presumibilmente romani. e, dunque, collegabile a un pellegrinaggio alla "città santa" d'Occidente.
La decorazione del cubicolo di Santa Tecla, quindi, si inquadra proprio in questo spirito, che si inserisce in quel filone del "culto apostolico", inventato da Ambrogio e approdato a Roma, presso le famiglie aristocratiche della città. Sono presumibilmente le matrone, per prime, a venerare i martiri, ma anche gli apostoli, in quell'incipiente forma di monachesimo inaugurato - come si diceva - da san Girolamo, che promosse una sorta di "ascetismo domestico", che si sviluppò attorno al palazzo della vedova Marcella all'Aventino.
È sintomatico che nel cubicolo di Santa Tecla sia rappresentata l'immagine di una nobile matrona, sontuosamente vestita con tunica, palla, acconciatura raffinata e preziosi gioielli, mentre mostra il rotolo della Legge, che ben conosceva, dal momento che - secondo quanto ricorda Girolamo - alcune vedove e vergini del "circolo dell'Aventino" conoscevano i Sacri Testi in greco e in latino. La nobildonna è rappresentata assieme alla figlioletta, che si atteggia nel gesto della preghiera, mentre due santi (ancora Pietro e Paolo ?) le accolgono nell'aldilà, dimostrando una sorprendente confidenza con gli apostoli e i martiri, rompendo ogni forma di tabù e inaugurando una religio amicitiae tra questi cristiani eccellenti e privilegiati e i santi.
Se il resto del cubicolo accoglie altre scene bibliche (Daniele tra i leoni, Pietro che percuote la roccia, l'adorazione dei Magi, il sacrificio di Isacco), lo sguardo del visitatore si ferma su quelle prime immagini degli apostoli, che la defunta e/o la sua famiglia scelgono come protettori, facendo assurgere quei busti al rango di vere e proprie icone che rivelano, per la prima volta, i caratteri, le peculiarità, la psicologia dei primi seguaci di Cristo.
Ma questa non è l'unica scoperta! Non ci dobbiamo tanto meravigliare dell'apparizione dei busti degli apostoli nel buio di una catacomba pressoché sconosciuta, in un tempo, che si considera, al solito, di passaggio, di congedo della prima grande stagione cristiana, in attesa della civiltà bizantina che, più in Oriente che in Occidente, inventa il tipo e il culto delle icone. Dobbiamo sicuramente salutare l'antichità inaspettata di queste effigi, così caratterizzate, così riconoscibili, pronte a donare le sembianze degli apostoli all'arte ravennate, con quasi un secolo di anticipo. Ma, poi, dopo il momento della meraviglia e della sorpresa, dobbiamo calare l'importantissima scoperta nell'atmosfera storica e devozionale di un frangente che conosce la conversione degli "ultimi pagani, delle aristocrazie, del senato, all'insegna di un dialogo internazionale, che vede protagonisti gli "aristocratici" Padri della Chiesa Damaso, Ambrogio, Paolino di Nola e Girolamo veri promotori e "direttori d'orchestra" di quel culto dei santi, che inciderà, connoterà e segnerà profondamente l'ultima antichità e l'alto medioevo, con la creazione dei grandi martyria romani, con la dislocazione strategica dei santuari milanesi, la caratterizzazione monastica del grande centro della venerazione per il confessore Felice a Cimitile, con la frequentazione "guidata" dei pellegrini presso le memorie bibliche in Terra Santa.

(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)

2 commenti:

mariateresa ha detto...

trovo fantastiche queste scoperte; appena posso leggo e mi documento con l'aiuto di mia figlia per la quale la materia è il suo pane quotidiano per così dire. Per me c'è anche un elemento affettivo perchè trovo straordinario questa nostra comunità dei santi che si snoda nei secoli.Mi commuovo se ci penso.

Raffaella ha detto...

Davvero emozionante!
L'Osservatore dedica piu' articoli a questa scoperta ed ho visto che se ne occupano anche i quotidiani.
Tua figlia, cara Mariateresa, sara' felicissima :-)
R.