mercoledì 25 agosto 2010

Il linguaggio post-televisivo del Papa (Filippo Di Giacomo)


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Leggiamo questo interessante articolo di Di Giacomo segnalatoci da Alessia. E' ovviamente una critica al libro di Rodari e Tornielli, ma io credo che i tre vaticanisti non dicano cose diverse, anzi! Mi pare che il discorso di Di Giacomo sia complementare a quello svolto nel saggio.
Leggiamo e poi commentiamo
.
R.

Il linguaggio post-televisivo del Papa

Filippo Di Giacomo

Papa Benedetto XVI non sa comunicare? Avrebbe davvero bisogno di uno spin doctor che gli suggerisse cosa dire, come e quando dirlo? Qualcuno che si intrufolasse nella sua presunta solitudine per consigliarlo, indirizzarlo, guadagnargli audience ed evitare polemiche quando parla da cristiano ai musulmani, agli ebrei, alle multinazionali del farmaco, agli abortisti messicani, ai massoni belgi, agli avvocatoni americani? Nelle prossime settimane, sarà un argomento di cui sentiremo parlare giàcché «penne cattoliche», quelle con l’infallibilità incorporata, stanno scendendo in campo per spiegare perché il Papa sia sotto attacco. E nonostante le ottime intenzioni, dalle anticipazioni apparse sui giornali pare che un po’ di colpa ce l’abbia anche il Santo Padre: è mal consigliato, comunica male, manca di una squadra che pianifichi la sua strategia comunicativa.
Aspettando il ritorno dei bei tempi, che inizieranno certamente non appena in Vaticano assolderanno chi saprà far parlare il Papa a comando, magari scelto (per par condicio) non più in un movimento fondato in Spagna ma in uno nato in Italia, non più tra gli ex presidenti della stampa estera ma tra gli ex vicedirettori del Tg Uno, ricordiamoci che sull’icona mediatica di Benedetto XVI, prima dei giornalisti, hanno scritto studiosi italiani e stranieri, anche non cattolici, quindi non infallibili ma solo seri. Perché, per l’ovvio gioco di specchi che l’interazione comunicativa impone, l’icona del Papa condiziona quella della Chiesa. Con buona pace degli spiritosi che il 19 aprile 2005 lo avevano (simpaticamente, in verità) soprattutto percepito come il Pastore tedesco, ad agosto di quell’anno Joseph Ratzinger ha iniziato a farsi riconoscere come il potenziale maestro di chiunque avesse voglia di pensare, anche tra coloro che si occupano di comunicazione. Ad un evento ideato con gli stilemi del ciclone Wojtyla, la giornata mondiale della gioventù di Colonia, quando il secondo giorno le telecamere hanno ripreso la sua visita alla sinagoga della città tedesca, è stato come se i riflettori si fossero spenti sul suo predecessore e accesi definitivamente su Benedetto XVI.
Non è un fatto insignificante se, dopo l’eruzione comunicativa e carismatica di Giovanni Paolo II, dopo l’epoca in cui i messaggi sono stati straordinariamente coperti da immagini e gesti, nella basilica vaticana la parola è tornata regina. Almeno per coloro che fanno comunicazione premettendo la loro appartenenza «cattolica», questo avrebbe dovuto essere il primo segnale di discontinuità tra l’attuale e il precedente pontefice. Uscito dal cono d’ombra nel quale ha vissuto durante i 24 anni di collaborazione con Wojtyla, Benedetto XVI ha iniziato subito a manifestare un efficacissimo «minimalismo comunicativo» che appare la cifra immediata che lega i fedeli al Papa durante le sue catechesi e le sue omelie. Non è un ritorno al passato, piuttosto una proiezione verso l’epoca della post- televisione. I massmediologi indicano proprio nella parola la forma comunicativa più pertinente alla convergenza tecnologica dei media. Perché è capace, allo stesso tempo, di mettere in discussione la tradizionale comunicazione unidirezionale accentuando così le possibilità di dialogo. Un’attitudine quest’ultima che, anche per come è stata gestita la comunicazione negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, trova disabituati persino i fedeli della Chiesa.
Dopo l’agosto del 2005, dopo Colonia, è stato sempre più difficile, fino a diventare impossibile, un esercizio che prima di Benedetto XVI era diventato regola: aggiungere l'icona del Pontefice come plusvalore, quasi fosse una «guest star», ad avvenimenti presentati e gestiti con le stesse categorie dell'intrattenimento, diritti Siae compresi. Sin dalla sua prima omelia durante i giorni del lutto di Giovanni Paolo II, Ratzinger ha soprattutto lanciato una sfida per quella parte della Chiesa che ancora si illude, sbagliando analisi sull’effettiva stratificazione sociale, e ragionando ancora con i modelli della paleocomunicazione, di poter puntare al target più basso dell’opinione pubblica riempiendo gli spazi comunicativi di mezze notizie, notizie mal dette, presunte opinioni, smentite, frasi fatte e rifatte. Non è raro trovare nei libri del Ratzinger teologo una premessa che ricorda che la possibilità che l’uomo ha di parlare con Dio è data dal fatto che Dio stesso è discorso, ascolto, risposta. Che tutto questo possa avvenire anche quando il suo Vicario ricorre ai massmedia, è una sfida conforme alla caratura intellettuale di un Papa che sa insegnare. Che tutti, anche i cattolici vogliano aiutarlo in questa sfida, questo è un altro problema.

© Copyright L'Unità, 25 agosto 2010 consultabile online anche qui.

Sono assolutamente d'accordo con Di Giacomo: il Papa comunica perfettamente da se'!
Credo di non avere mai conosciuto una persona che impone un linguaggio post televisivo in modo cosi' audace e diretto.
No, il Papa non ha bisogno ne' di suggeritori ne' di imbonitori dell'opinione pubblica.
Tuttavia (ed e' in questo senso che insistono Rodari e Tornielli e probabilmente anche Valli, Palmaro e Gnocchi) e' un dato di fatto che non ci sia una macchina curiale in grado di capire questo linguaggio.
Se Mons. Scicluna rilascia ad una emittente internazionale un'intervista importantissima non solo dal punto di vista mediatico, ma anche da quello puramente umano, e l'Osservatore Romano e gli altri organi di stampa cattolici, fatta eccezione per Radio Vaticana, non si preoccupano di rilanciarla e valorizzarla, la colpa e' del Santo Padre che non sa comunicare o la responsabilita' e' di chi, preposto a questo compito, non coglie certe opportunita'?
Se Benedetto XVI insiste sul fatto che lo scandalo dei preti pedofili non nasce da attacchi mediatici, bensi' dal peccato interno alla Chiesa, ma importanti prelati se la prendono con la stampa, la colpa di veicolare un messaggio sbagliato e contraddittorio e' del Papa o dei suoi collaboratori?
Se il Pontefice decide di revocare la scomunica a quattro vescovi, uno dei quali e' un negazionista, sulla base di informazioni fornitegli da cardinali vari che avrebbero dovuto controllare semplicemente digitando il nome dell'interessato su google, la responsabilita' della mancata vigilanza su chi ricade?
E quando il Papa decide di scrivere una splendida lettera ai vescovi nella quale si assume ogni colpa, NEL SILENZIO ASSORDANTE DELLA CURIA, a chi diamo la colpa dell'incapacita' di comunicare? Non certo a Benedetto XVI!
Quando il Papa nomina un presunto ex collaboratore del regime comunista a vescovo di Varsavia, a chi va assegnata la responsabilita' di non avere controllato la biografia del prelato? A Benedetto XVI o al nunzio apostolico in Polonia ed al Prefetto dei vescovi?
Non e' quindi il Papa che non sa comunicare, anzi! Egli ha capito perfettamente il linguaggio della post modernita'. Per questo i suoi incontri con i fedeli sono cosi' affollati.
Il problema non e' il Santo Padre, ma chi dovrebbe sostenerlo ed invece non solo non lo aiuta ma, spesso, gli mette persino i bastoni fra le ruote.
E io sono sempre piu' convinta che Thompson ed Allen abbiano scritto una sacrosanta verita'. Se e' vero, possiamo restare qui a parlare per anni, ma nulla cambiera'.
Concludendo, a mio avviso, Di Giacomo integra cio' che hanno scritto Tornielli e Rodari.
L'anno scorso ho notato straordinariamente questa grande capacita' del Santo Padre di farsi ascoltare nonostante e oltre l'immagine.
Quando si ruppe il polso destro, tutti i media si occuparono del caso, ma, dopo qualche giorno, quando il Papa inizio' a parlare ad Angelus ed udienze, la forza della sua parola era cosi' dirompente da fare dimenticare a tutti l'immagine di quel gesso sul braccio.
Ecco il carisma di Benedetto XVI!

R.

8 commenti:

Abelardo ha detto...

Bella e chiarissima l'analisi di Don Filippo.
Quando la storia giudicherà i due pontificati si farà chiarezza e si vedrà come Giovanni Paolo II malgrado il suo comunicare con le folle ha lasciato la chiesa in uno stato disastroso.
Papa Benedetto comunica bene e va direttamente al cuore dei fedeli con il vangelo di Cristo...non è un teatrante.Si è trovato a gestire una discarica di spazzatura(scusate la metafora ma...) accumulata nei decenni precedenti.Un altro al suo posto si sarebbe arreso Lui invece combatte per Cristo ed il suo Gregge!

Anonimo ha detto...

Abelardo ha colto il segno, anche se con una espressione che ha una valenza negativa. GP2 era una persona abituata a comunicare piu' con il gesto che con la parola, mentre B16 e' un uomo di pura parola - e dal punto di vista personale e dal punto di vista teologico. Difficile che qualcuno venga a fare commenti sulla "fisicita'" di B16, mentre ce ne sono stati a iosa sul suo predecessore.
Qual'e' il grosso problema?
Che oggi come oggi la "parola" e' straultraviolentata, e' la prima vittima di un relativismo in cui cio' che si dice non ha piu' un valore oggettivo ma e' legato solo ad una percezione personale condizionata da esperienze e pregiudizi ideologici. Il guaio serio in tutto questo e' che mancando una oggettivita' alla "parola" si perde la possibilita' effettiva di comunicare tra persone.
GP2 ha cercato di sopperire a questa deficenza di questo periodo storico (non riguarda solo la Chiesa, e' il mondo intero per tutto l'ultimo secolo) sfruttando un approccio nuovo che prima non era mai stato utilizzato su tale scala - quello di una "immagine globale" - mentre B16 ha potuto nel frattempo realizzare che questo approccio comunicativo lascia sempre un equivoco di fondo dovuto alla sua stessa natura - l'immagine si puo' manipolare a piacimento - e sta' percorrendo l'unica strada attualmente percorribile che possa costruire qualcosa: rieducare il mondo al linguaggio, quindi ad una parola che sia coerente con se stessa e non svuotata di significato e riempita poi con qualsivoglia.
Persone diverse in tempi diversi. Il problema dei SS.PP.zzi e' che in tanti questo aspetto non l'hanno ancora colto, e ci vorra' del tempo prima di trovare chi lavora in questo senso.
B16 sta' portando la Chiesa fuori dall'era di McLuhan. Non e' poco, non e' facile, ma ci sta' provando e ci riuscira', anche perche' sta' cambiando radicalmente il paradigma della comunicazione: non piu' "uno-molti", tipico dei massmedia, ma "molti-molti", tipico delle reti telematiche (Internet e predecessori).

Anonimo ha detto...

Ma riflettiamo: di chi è in fondo la responsabilità se un capo non è circondato da una buona squadra?

Anonimo ha detto...

Raffaella, sei grande::))))

Raffaella ha detto...

Per Anonimo delle 10.30: tutti devono essere in grado di svolgere il proprio lavoro a regola d'arte.
Non si puo' pretendere che il Papa controlli tutto in ogni momento.
Chi di dovere dimostri di essere degno della fiducia di Benedetto XVI.
R.

Anonimo ha detto...

Raffaella,
hai ragione, ma prova a pensare un po' in concreto: riuscireti a far fare un tale cambio di mentalita' a tua nonna?
La "squadra" e' ancora una squadra abituata a schemi di pensiero legati a uno stile diverso, per forza di cose non ci si ritrova.
Non voglio giustificare nessuno ne del tempo di GP2 ne di ora, e' semplicemente in corso un cambiamento che e' molto piu' grande di noi e che ha bisogno di persone nuove per poterlo fare. B16 sta' preparando la strada perche' altri possano continuare.

Vatykanista ha detto...

"Quando il Papa nomina un presunto ex collaboratore del regime comunista a vescovo di Varsavia, a chi va assegnata la responsabilita' di non avere controllato la biografia del prelato? A Benedetto XVI o al nunzio apostolico in Polonia ed al Prefetto dei vescovi?"



Re è rimasto al suo posto fino a ieri.



Nel frattempo il per lungo tempo Nunzio in Polonia è diventato (di recente) Primate della medesima nazione. E magari lo faranno cardinale..

Nulla di personale, ma - questo tanto per dire.

Raffaella ha detto...

Metti il dito nella piaga?
:-)
R.