martedì 30 marzo 2010

La via crucis di Benedetto (Giuseppe Baiocchi)


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Attacchi contro il Papa e la Chiesa sulla vicenda degli abusi: campagna di odio anticristiano (Radio Vaticana)

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Perché i media non possono trattare in modo equo il Papa? (Andrew M Brown)

Dopo la lettura del comunicato di Mons. Dolan a difesa del Papa ovazione di venti minuti dei fedeli nella Cattedrale di St. Patrick a New York

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Folgorante e magistrale spiegazione dello "scandalo pedofilia" nella Chiesa (Pietro De Marco)

La storia insegna: gli attacchi rafforzano il Papa. Benedetto XVI subisce la sorte dei grandi Pontefici (Gnocchi e Palmaro)

Quiz per media ed agenzie: come mai quando il card. Schoenborn "esterna" sul celibato viene subito ripreso e quando difende il Papa è ignorato?

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Polemiche. Prosegue la campagna «scandalistica» che vorrebbe colpire l’autorità (e la credibilità) della Chiesa

La via crucis di Benedetto

Gli attacchi al Papa minano l’unico muro contro il relativismo

di Giuseppe Baiocchi

«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!...».
Era la Via Crucis al Colosseo la sera del Venerdì Santo del 2005, quando il cardinal Ratzinger meditava sulla nona stazione (Gesù cade per la terza volta), mentre Papa Wojtyla seguiva dalla tv, ormai morente. Quel grido di dolore pubblico, quel riconoscimento senza ipocrisie dei mali umani che hanno infangato e infangano la Chiesa lasciò allora un’eco incancellabile.
E chi sarebbe diventato di lì a poco Benedetto XVI trasmise al mondo la percezione chiarissima che nulla andava e sarebbe stato nascosto e che un cammino di scabra purificazione era non solo necessario ma improcrastinabile.
A quell’epoca era già ampiamente esploso negli Stati Uniti lo scandalo della pedofilia dei preti e delle cause di risarcimento che portarono molte diocesi non lontane dalla bancarotta.
Ed era già allora evidente che l’«onda mediatica» sugli abusi sessuali avrebbe dilagato altrove: le vicende irlandesi, i casi tedeschi e, forse, anche sporadici episodi italiani, comunicano comunque l’idea che la tempesta che sconvolge la Chiesa cattolica avrebbe prima o poi sfiorato se non aggredito, come sta avvenendo, proprio Papa Ratzinger, che pure era stato il primo a stabilire un confine netto ed energico sulla denuncia delle responsabilità, la vicinanza alle vittime e l’inderogabile espiazione dei colpevoli.
A dire il vero, uno sguardo appena appena non prevenuto sulle vicende nelle quali si tenta di coinvolgere direttamente il pontefice può facilmente notare come la chiamata in causa sia capziosa e fondata su indizi del tutto labili: sia per quanto riguarda la lontana stagione di arcivescovo di Monaco sia per il lungo ministero alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Piuttosto proprio i dati dell’ex Sant’Offizio ridimensionano la portata quantitativa dello scandalo: in più di mezzo secolo, sui 450.000 preti cattolici, sono in tutto circa trecento i religiosi sanzionati per “crimina graviora”, ovvero i peccati collegati agli abusi sessuali. Anche se nell’impatto con il gregge un caso è comunque già “troppo“, le colpe di questa natura toccano dunque meno dell’0,1 per cento dei sacerdoti.
Ma questo ovviamente non importa: con quel supplemento di malizia e di morbosità che accompagna sempre l’informazione sulle storie di letto e di sesso, non par vero poter mettere sulla graticola mediatica e offrire alla facile riprovazione generale una intera “categoria” di persone: trascinare nel cinico baratro delle umane e inconfessate bassezze è un gusto più succoso se tocca figure che, per immagine collettiva e per sofferta vocazione, appaiono comunque animate dal nobile ideale di spendersi al servizio del prossimo. Semmai, dietro il clamore e il discredito, si occulta con cura quell’incongruenza culturale che assume i contorni di un tragico paradosso: tanto più ci si straccia le vesti sulle colpe e i peccati di una grave e mancata perfezione di comportamenti, quanto più si predica e si diffonde da decenni la piena e assoluta legittimità nella ricerca ossessiva del piacere fisico in tutte le sue infinite varianti e le forme comunque lecite di una sessualità senza freni e senza regole, compresa la tendenza a “liberare” presto i bambini dalla loro innocenza.
E se avanza e trionfa il relativismo etico (con la libertà sessuale come fortissimo detonatore), diventa utilissimo, se non indispensabile, azzoppare nell’immagine pubblica chi si frappone come ostacolo morale.
E il timido professore bavarese vestito di bianco è apparso in questi anni un osso duro, e probabilmente più efficace di quanto si potesse supporre nel contrastare il “pensiero unico” dominante.
A partire probabilmente dall’acuto lavoro di riconciliazione tra ragione e fede, fino al coinvolgimento dei non credenti sui temi profondi della vita e della morte, in nome di una perenne e fondante moralità della condizione umana.
Nel caricarsi sulle gracili spalle il peso di un pontificato con quest’impronta di un conflitto culturale senza quartiere, Ratzinger deve certamente aver messo nel conto la serie concentrica di attacchi che avrebbe ricevuto.
E pure l’ampiezza di quel “fumo nel tempio” di cui già Paolo VI aveva colto l’odore infernale. Troppi “incidenti comunicativi” interni al Vaticano hanno già costellato il suo intenso ministero: dai fraintendimenti sul discorso di Ratisbona alle ambigue reticenze sul caso Boffo, fino al pasticcio sul recupero dei lefebvriani che lo costrinse a scrivere di persona una documentata spiegazione per i vescovi di tutto il mondo. Così, forse, si spiega ancor di più un altro passo della stessa meditazione di quella Via Crucis del 2005: «…Con la nostra caduta, Cristo, ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta…
Tu, però, ti rialzerai.
Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi…».
Certo, secondo i criteri di analisi terrena, non c’è dubbio che il Papa viva una condizione di difficoltà.
E la Chiesa che è tenuto a guidare sta soffrendo una fase di grave perdita di influenza, di prestigio e di potere.
Eppure, nonostante la stanchezza evidente, stupisce il mite coraggio con cui Benedetto XVI non defletta di un millimetro dalla via tracciata e rifiuti di aprirsi ad un “modus vivendi” meno spigoloso con la cultura e i valori del tempo presente.
Davvero allora ha già previsto la sorte del “piccolo gregge fedele” e delle tante pecore disperse. Sorretto, come proprio appare, dal mandato più misterioso e umanamente più scomodo affidato dal Fondatore (e che spesso non sembra toccare molti alti prelati più inclini all’onor del mondo): «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate…».

© Copyright Liberal, 29 marzo 2010 consultabile online anche qui.

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