giovedì 25 marzo 2010
A proposito di un articolo del "New York Times". La nota dell'Osservatore Romano
A proposito di un articolo del "New York Times"
Nessun insabbiamento
Trasparenza, fermezza e severità nel fare luce sui diversi casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi: sono questi i criteri che Benedetto XVI con costanza e serenità sta indicando a tutta la Chiesa. Un modo di operare - coerente con la sua storia personale e con l'ultraventennale attività come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - che evidentemente è temuto da chi non vuole che si affermi la verità e da chi preferirebbe poter strumentalizzare, senza alcun fondamento nei fatti, episodi orribili e vicende dolorose risalenti in alcuni casi a decine di anni fa. Lo dimostra, ultimo in ordine di tempo, l'articolo pubblicato oggi dal quotidiano statunitense "The New York Times", insieme a un commento, in merito al grave caso del sacerdote Lawrence C. Murphy, responsabile di abusi commessi su bambini audiolesi ospiti di un istituto cattolico, dove ha operato dal 1950 al 1974.
Secondo la ricostruzione fatta nell'articolo, basata sull'ampia documentazione fornita dagli avvocati di alcune delle vittime, le segnalazioni relative alla condotta del sacerdote furono inviate soltanto nel luglio 1996 dall'allora arcivescovo di Milwaukee, Rembert G. Weakland, alla Congregazione per la Dottrina della Fede - di cui erano prefetto il cardinale Joseph Ratzinger e segretario l'arcivescovo Tarcisio Bertone - al fine di ottenere indicazioni circa la corretta procedura canonica da seguire. La richiesta non era infatti riferita alle accuse di abusi sessuali, ma a quella di violazione del sacramento della penitenza, perpetrata attraverso l'adescamento nel confessionale, che si configura quando un sacerdote sollecita il penitente a commettere peccato contro il sesto comandamento (canone 1387).
È importante osservare - come ha dichiarato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede - che la questione canonica presentata alla Congregazione non era in nessun modo collegata con una potenziale procedura civile o penale nei confronti di padre Murphy. Contro il quale l'arcidiocesi aveva peraltro già avviato una procedura canonica, come risulta evidente dalla stessa abbondante documentazione pubblicata in rete dal quotidiano di New York. Alla richiesta proveniente dall'arcivescovo la Congregazione rispose, con lettera firmata dall'allora arcivescovo Bertone, il 24 marzo 1997, con l'indicazione di procedere secondo quanto stabilisce la Crimen sollicitationis (1962).
Come si può facilmente dedurre anche leggendo la ricostruzione fatta dal "New York Times", sul caso di padre Murphy non vi è stato alcun insabbiamento. E ciò viene confermato dalla documentazione che si accompagna all'articolo in questione, nella quale figura anche la lettera che padre Murphy scrisse nel 1998 all'allora cardinale Ratzinger chiedendo che il procedimento canonico venisse interrotto a causa del suo grave stato di salute. Anche in questo caso la Congregazione rispose, attraverso l'arcivescovo Bertone, invitando l'ordinario di Milwaukee a esperire tutte le misure pastorali previste dal canone 1341 per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia.
Finalità, queste ultime, che vengono indiscutibilmente ribadite dal Papa, come dimostra la recente Lettera pastorale ai cattolici d'Irlanda. Ma la tendenza prevalente nei media è di trascurare i fatti e di forzare le interpretazioni al fine di diffondere un'immagine della Chiesa cattolica quasi fosse l'unica responsabile degli abusi sessuali, immagine che non corrisponde alla realtà. E che è invece funzionale all'evidente e ignobile intento di arrivare a colpire, a ogni costo, Benedetto XVI e i suoi più stretti collaboratori.
(©L'Osservatore Romano - 26 marzo 2010)
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