sabato 12 giugno 2010

Il Papa: «Essere prete, dono di Dio affidato alla nostra debolezza» (Muolo)


«Essere prete, dono di Dio affidato alla nostra debolezza»

Il Papa chiude l’Anno Sacerdotale con 15mila presbiteri

DA ROMA MIMMO MUOLO

Un anno di grande gioia. Un anno che ha fatto nuovamente comprendere la bellezza del sacerdozio. Ma anche un anno segnato dal dolore, perché «sono venu­ti alla luce i peccati» di alcuni sacerdoti. Nel giorno in cui si concludono i 12 mesi dedica­ti ai presbiteri di tutto il mondo,
Benedetto XVI stila un primo bilancio dell’esperienza vissuta insieme alle Chiese dei cinque conti­nenti. E non può mancare un riferimento al­la grande ombra che, a causa dell’infedeltà di pochi, ha gettato discredito sull’operato – spesso eroico – di moltissimi.
Il Papa ne par­la durante l’omelia della Messa che ieri, in u­na piazza San Pietro inondata di sole e gremita da oltre 15mila preti di tutto il mondo (salu­tati alla fine in 7 lingue), ha posto la parola fi­ne all’Anno che egli stesso aveva voluto per ricordare i 150 anni della morte del santo Cu­rato d’Ars. «Dopo aver ricordato che «il sacerdozio non è semplicemente «ufficio» ma sacramento», e che «Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uo­mini », Papa Ratzinger fa notare: «Volevamo ri­svegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza». Inoltre «volevamo mo­strare nuovamente ai giovani che questa vo­cazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in atte­sa del nostro sì». Perciò, sottolinea il Pontefi­ce, «era da aspettarsi che al 'nemico' questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe pia­ciuto; egli avrebbe preferito vederlo scompa­rire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, pro­prio in questo anno di gioia per il sacramen­to del sacerdozio, siano venuti alla luce i pec­cati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei con­fronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio co­me compito della premura di Dio a vantag­gio dell’uomo viene volto nel suo contrario». Di qui dunque la sua nuova richiesta di per­dono e il solenne impegno. Un vero e proprio «mai più». «Anche noi chiediamo insistente­mente perdono a Dio ed alle persone coin­volte, mentre intendiamo promettere di vo­ler fare tutto il possibile affinché un tale abu­so non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdota­le e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vo­cazione e che vogliamo ancora di più ac­compagnare i sacerdoti nel loro cammino, af­finché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita».
Quanto è avvenuto, tuttavia, non muta la so­stanza di questi 12 mesi. «Se l’Anno sacerdo­tale – fa notare infatti Benedetto XVI – avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio. Così consideriamo quan­to è avvenuto quale compito di purificazio­ne, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed a­mare il grande dono di Dio».
Ai sacerdoti di tutto il mondo il Papa rivolge il suo incoraggiamento. «Dio si prende cura di me, di noi, dell’umanità. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lascia­mo che esso penetri profondamente nel no­stro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sa­cerdoti, in un piccolo punto della storia, con­dividiamo le sue preoccupazioni per gli uo­mini » e «ci prendiamo cura di loro».
L’immagine che il Papa usa è quella del Buon Pastore. Anzi la sua omelia diventa a un cer­to punto quasi un commento al Salmo 119. «Noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mo­strato qual è la via». Anche quando questa via attraversa «la valle oscura» della morte, dice il Papa, «Egli è là». «Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mo­strami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, af­finché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché pos­siamo mostrare loro la tua luce».
Infine Benedetto XVI ricorda anche il compi­to del pastore di guidare «le pecore» lontano dall’errore. «Anche la Chiesa deve usare il ba­stone del pastore, il bastone col quale pro­tegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorienta­menti.
Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano com­portamenti indegni della vita sacerdotale. Co­me pure non si tratta di amore se si lascia pro­liferare l’eresia, il travisamento e il disfaci­mento della fede, come se noi autonoma­mente inventassimo la fede». Questo però non significa non aiutare le persone a supe­rare i passaggi difficili della loro vita. Anche questo rientra nei compiti del sacerdote. E anche questo il Papa ha invitato a fare. Per­ché il tempo di grande gioia continui. Da ora in poi senza ombre.

© Copyright Avvenire, 12 giugno 2010

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