martedì 27 luglio 2010

Card. Vallini: "Chi è prete, omosessuale o eterosessuale, e vuole vivere relazioni sessuali, faccia un passo indietro" (Giansoldati)


Vedi anche:

Testo della conferenza di Mons. Guido Pozzo (Ecclesia Dei) sul tema "Aspetti della ecclesiologia cattolica nella recezione del Concilio Vaticano II"

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Vallini: «Puniremo con coraggio i preti che infangano la Chiesa»

Il vicario di Roma: «Chi vuole vivere relazioni sessuali si metta da parte»

di FRANCA GIANSOLDATI

Cardinale Vallini, come reagisce al problema generale della credibilità della Chiesa a seguito degli scandali di pedofilia e dei preti omosessuali?

«Con grande sofferenza, anzitutto per il dolore arrecato alle vittime e perché questi comportamenti sono delitti da punire con coraggio e determinazione. In qualche modo, questi scandali ci hanno toccato tutti. Ma soffriamo anche perché questa dolorosa ferita ha provocato una perdita di credibilità e di fiducia verso la Chiesa, con conseguenze sul piano spirituale che nessuno può calcolare. Vorrei aggiungere, tuttavia, che si tratta di casi che, sebbene gravissimi, sono molto limitati. L’ordine sacerdotale è sano».

Il Vicario di Roma, Agostino Vallini, è mosso da una certezza: la Chiesa saprà recuperare la credibilità perduta attraverso una testimonianza esemplare.
Prossimo a partire per le vacanze che trascorrerà nel fresco delle colline ciociare, non ci sta proprio ad assistere in silenzio alla gogna mediatica cui sono sottoposti i preti per colpa di pochi casi. Di sicuro i responsabili di condotte immorali o peggio ancora di comportamenti delittuosi non la passeranno liscia.

Cosa ha da dire dei comportamenti omosessuali dei preti, venuti alla ribalta nei giorni scorsi?

«Non escludo che ci possano essere tra di noi alcune persone che non avrebbero dovuto diventare preti. Nessuno vuol loro del male, ma non possiamo accettare che a causa del loro stile di vita sia infangata l’onorabilità di tutti i sacerdoti. Ritengo di poter affermare responsabilmente che ciò che è stato pubblicato anche recentemente non è lo specchio dei preti romani, i quali non vivono una ”doppia vita”, ma una “vita sola” e coerente con la loro vocazione. Sbaglia chi, a partire da queste tristi vicende, sostiene che il celibato consacrato non ha più senso nella società di oggi. Forse non a tutti è noto che la Chiesa non obbliga i preti a rimanere celibi, ma sceglie i suoi ministri tra coloro che dopo un cammino personale, maturano in coscienza la consapevolezza di aver ricevuto da Dio il carisma del celibato consacrato e si impegnano a viverlo come tale. Dunque chi è prete, omosessuale o eterosessuale, e vuole vivere relazioni sessuali, faccia un passo indietro».

C’è anche chi sostiene che la vita del prete si qualifica per il servizio ai poveri ed è compatibile con l’esercizio dell’omosessualità...

«Il servizio ai poveri non è una motivazione sufficiente per essere prete. Basti ricordare figure eccelse di laici che hanno speso la vita per le persone bisognose: si pensi, ad esempio, a Follerau e Vanier. La vita del prete deve essere espressione di qualche altro carattere distintivo essenziale, da cui tutto discende, anche il servizio ai poveri, e che riassumo nel termine “totalità”, vale a dire essere consacrato a Dio e costituito - per grazia divina e per libera scelta - sacramento di Cristo pastore che rivela la paternità di Dio verso l’umanità bisognosa di salvezza. Di qui la castità sacerdotale. Se viene meno questo, non si capisce più il prete».

Da questa brutta situazione, come se ne potrà uscire ?

«Dicendo onestamente da che parte si vuole stare e purificando il corpo sacerdotale con operazioni chirurgiche necessarie, da fare con coraggio e determinazione.
Quanto al clima generale, creato da questa penosa situazione, confido che possa evolvere lentamente con la testimonianza limpida e credibile degli stessi sacerdoti. Noi preti siamo chiamati a compiere quel cammino di purificazione, a cui ci ha invitato il Papa più volte in questi ultimi mesi, per ’non inquinare la fede e la vita cristiana, intaccando l’integrità della Chiesa, indebolendo la sua capacità di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto».

Veniamo ad un altro argomento. Come vede lei, da vescovo, la situazione sociale a Roma ?

«Visitando le parrocchie, particolarmente quelle di periferia, condivido l’analisi di De Rita che afferma che il problema di fondo è la mancanza di spirito comunitario. La crescita della città con le diverse ondate migratorie ha reso Roma un immenso agglomerato di quartieri diversi, ma senza un’identità. Questa è una grande sfida per tutti: per la Chiesa, per gli amministratori, per le istituzioni culturali. Mi rendo conto che dare un volto a Roma, confacente ai tempi che avanzano senza perdere il patrimonio delle sue radici e tradizioni, è un’impresa ardua. Ma la città ha mille risorse, in tutti i campi, e dobbiamo lavorare insieme, nel rispetto delle reciproche attribuzioni».

Quali sono a suo parere i punti dolenti della società romana?

«In una società in continua trasformazione, sono quattro le aree di maggiore sofferenza: la famiglia, per la quale non mi pare che, al di là delle promesse sempre ripetute, si faccia una politica adeguata. In secondo luogo, i giovani, che sono sfiduciati per mancanza di prospettive di inserimento sociale. A Roma poi gli anziani costituiscono una vera emergenza sociale. E, infine, gli immigrati, che chiedono accoglienza e integrazione».

Nelle aree di sofferenza e povertà, come interviene la Chiesa ?

«Da alcuni anni cresce il disagio sociale, aggravato in misura considerevole dalla crisi economica. La Chiesa con le sue strutture caritative fa molto; ma è evidente che non riesce a rispondere a tutti i bisogni. La Caritas ogni giorno incontra più di 1000 persone che chiedono aiuto ai 200 centri di ascolto parrocchiali; accoglie 1500 persone a pranzo e a cena, oltre ad offrire aiuti alimentari a 350 famiglie indigenti particolarmente nell’Emporio della carità, in via Casilina; ospita 600 persone in ostelli, comunità alloggio, case famiglia per persone senza fissa dimora, minori in difficoltà, famiglie che hanno perso la casa, malati di Aids, rifugiati politici, ragazze madri. Ogni anno eroga 20 mila prestazioni sanitarie a 10 mila pazienti di 90 nazionalità. E tutto ciò è portato avanti dall’opera di 2000 volontari e 250 operatori sociali. Infine, attraverso la fondazione “Salus populi romani” aiuta ogni anno più di 200 persone a uscire dall’usura. Questi dati vanno moltiplicati almeno per cinque, se si considerano le opere delle altre istituzioni ecclesiali: il Centro Astalli dei Gesuiti, Sant’Egidio, le diverse Confraternite. Mi permetta di aggiungere doverosamente che molti progetti sono realizzati grazie ai finanziamenti del Comune e della Regione con i quali c’è piena collaborazione».

© Copyright Il Messaggero, 27 luglio 2010

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un plauso al Cardinale Vallini, con la viva speranza che i Vescovi Diocesani prendano il Suo intervento come esempio.

Anonimo ha detto...

Mi associo al plauso per Vallini. Spero solo ci sia una dose di coraggio sufficente per portare avanti questi "interventi chirurgici" - dolorosi ma necessari - senza fermarsi al solito problema. "ma se tiro via quello li, poi in quella X (chiesa, parrocchia ecc) chi ci metto?" oppure "ma quello e' insostituibile".
Ci vuole fede nella Provvidenza: a guardare il Curato d'Ars al tempo non aveva una gran considerazione, eppure il cuore che ama ha sopperito agli studi ed e' diventato occasione di salvezza per tanti.