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La recensione pubblicata da Apcom:
Libro su opposizione Motu Proprio per messa in latino
L'autore: è straordinaria liturgia che attrae giovani sacerdoti
Roma, 20 settembre 2010
Il Motu Proprio che ha liberalizzato la liturgia latina antecedente al Concilio Vaticano II risale al 2007, ma in questi pochi anni ha già cominciato a trasformare la vita della Chiesa. "Contrariamente a quanto si potrebbe comunemente pensare, si tratta di una liturgia straordinaria che esercita una particolare attrattiva proprio sui giovani sacerdoti, che sono il futuro della Chiesa".
E' quanto scrive Alberto Carosa, giornalista e socio fondatore del Centro Culturale Lepanto, nel suo ultimo libro "L'opposizione al Motu Proprio".
Un'opposizione che non viene dal giovane clero, ma da quegli esponenti avanti con gli anni e già con una certa esperienza di ministero.
"Ciò che forse più colpisce e addolora il cattolico – scrive Carosa - è la virulenza di certe argomentazioni critiche, anche e specialmente contro la figura del Papa, una sorta di fuoco amico che sembra quasi ricordare i toni più accesi di certe recenti campagne mediatiche anti-cattoliche, apparentemente motivate dalle tristi vicende dei preti pedofili.
Apparentemente, perché a questo punto potrebbe sorgere il sospetto che si voglia colpire il Papa anche per il motu proprio e le sue implicazioni.
Se così fosse, la conclusione non può che essere una sola: buon segno, perché vuol dire che la direzione è quella giusta".
(Apcom 20 settembre 2010)
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3 commenti:
"Apparentemente, perché a questo punto potrebbe sorgere il sospetto che si voglia colpire il Papa anche per il motu proprio e le sue implicazioni."
Perché? C'erano dei dubbi??
Il Papa ...tace! si riprenda la plenitudo potestatis, il potere usurpato dai vescovi, e agisca prima che sia troppo tardi.
Rischiamo di fare la fine dei cristiani d' oriente...una minoranza insignificante.
Non so se Carosa sia del tutto plausibile quando,in buona fede naturalmente, renda, in qualche maniera, i sentimenti, le percezioni, le emozioni, dei novelli sacerdoti, sensibili al vecchio rito tridentino.
Io, nella mia lontana infanza ed adolescenza, ho assaporato le emozioni e le interiorità spirituali di quel rito solenne.
Aveva una sua grande solennità; un suo forte coinvolgimento emotivo. Anche nelle formule latine, che moltissime persone (quasi tutte) strafalcionavano, si avvertiva spiritualmente il senso di "un'elevazione trascendentale" verso Dio. Inoltre la "relativa" staticità dei "canti della Messa", in latino gregoriano, che quasi tutti i fedeli (sia pure con qualche strafalcione) cantavano, era un poderoso richiamo al valore perenne e pregnante della fede.
Cito ad esempio la bellezza e la potenza spirituale ineguaglibili del solenne Credo cantato in gregoriano.
Nelle messe odierne, insieme con alcuni bei canti "finalizzati" alle varie parti della Messa, si utilizzano anche canti, privi di metrica, di rima, difficili da eseguire per persone inesperte di canto corale. Ci sono troppi canti, alcuni sostanzialmente inutili per le specificità e diversità culturali dei fedeli partecipanti alla Messa.
La Chiesa però, al posto di "selezionare" quelli più adatti ed orecchiabili, espande di giorno in giorno il loro numero, come se i fedeli della Messa dovessero partecipare ad "un festival" di brani musicali. Il risultato finale è devastante: canta solo il coro parrocchiale (se esista) ed i fedeli non partecipano ai canti.
Con la Messa latina antica, questa disaffezione era molto, molto mitigata.
Che poi molti sacerdoti e quale "Metropolita" non amino la Messa antica, è un fatto difficilmente smentibile. La Chiesa è una, ma, mi si consenta, anche "un po' anarchica", perché ne suo interno, mai come ora, si trovavano "gli opposti"; una cosa, ed il suo esatto contrario. Su tutto viene sempre steso un velo di opportunistico silenzio, con il richiamo (formalmente ineccepibile, ma non sempre giustificabile nei fatti) della differenza dei carismi. Con tale formula si "fa buono tutto". Ma, ma sia consentito, non si approda a nulla.
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