domenica 3 gennaio 2010
Riaprire il "cortile dei gentili" evocato dal Papa: l'irreligione non è più certa di sè (Vittorio Possenti)
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RIAPRIRE IL « CORTILE DEI GENTILI » EVOCATO DAL PAPA
Ma l’irreligione non è più certa di sé
VITTORIO POSSENTI
«Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di 'cortile dei gentili' dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero». Con queste parole pronunciate nel discorso alla Curia romana, Benedetto XVI apre straordinari orizzonti e tocca un nodo profondo della situazione spirituale di oggi. Il tempio antico doveva essere casa di preghiera per tutti i popoli, secondo la parola di Isaia ripresa da Gesù (Mc 11, 17), che sgomberò l’atrio del tempio da affaristi inopportuni in modo che i gentili proprio lì potessero pregare l’unico Dio.
Altrettanto deve fare la Chiesa nel rispondere alla ricerca di Dio nella nostra epoca secolarizzata e scientistica.
Oltre al necessario dialogo con le religioni, il Papa invita i credenti ad aprire un nuovo versante di attenzione verso agnostici e atei, per i quali Dio è lontano, estraneo, irrilevante. Per loro la mancanza di Dio non è sentita come mancanza, come qualcosa che diminuisce l’uomo e lo rende più piccolo.
Forse rimane però in molti la nostalgia per lo splendore di Dio e il desiderio nascosto che la sua luce torni ad illuminare la storia universale.
L’invito di Benedetto XVI coglie nel segno, manifestando che una fase nuova si va aprendo in Occidente nella lunga vicenda dell’ateismo e dell’irreligione. Essa invita ad aprire molti 'atri dei gentili': un esempio è stato il recente convegno del Progetto culturale su Dio oggi che ha toccato ambiti fondamentali.
L’atteggiamento giusto è di mantenersi aperti alla speranza e tenere incollato l’orecchio alla terra per ascoltare e decifrare il brusio di germinazioni invisibili. Esse dicono che, nonostante alcuni recenti ritorni d’esplicito antiteismo e di virulenta critica del cristianesimo, sviluppatisi in Europa da circa 10 anni, l’irreligione occidentale non è più così certa di se stessa. Che cosa intendo con questo nome? Nell’irreligione si esprimono un’empietà e un rifiuto della religione maggiori di quanto siano presenti nell’ateismo, poiché si allontana l’idea stessa di religione. La religione naturale cui aderivano i pensatori empiristi e la prima ondata dell’illuminismo si capovolge in irreligione naturale; l’uomo naturaliter religioso in uomo naturaliter irreligioso, mentre il sacro tramonta definitivamente. L’irreligione significa dunque questo: non solo Dio non esiste e se mai vi è stato non ha lasciato alcuna traccia di sé, ma – se anche vi fosse – non ci servirebbe in nulla nel cammino con cui procediamo a edificare le nostre vite; sarebbe anzi inutile e superfluo.
L’irreligione si presenta come fredda indifferenza, convinzione che il sentimento dell’inesistenza di Dio sia quello più sano, persuasione che sentire la mancanza di Dio come mancanza sia un’idea storta.
In questo quadro manifesta nuova lena l’ateismo a base positivistica e scientistica, che ripone fiducia solo nella scienza quale luce che dissipa le tenebre dell’errore. Lo scientismo tecnologico si preoccupa più di produrre l’uomo che di combattere Dio: la sua scomparsa seguirà inevitabilmente con l’avvento dell’irreligione.
Ma l’irreligione non è più così certa di se stessa. Sta sperimentando il dubbio e si pone degli interrogativi in specie in rapporto al futuro dell’uomo: possiamo produrre l’uomo con le biotecnologie? Fare l’uomo così come ve ne è bisogno, produrlo come serve, applicando una sorta di fondamentalismo del mercato e dell’utile alla antropogenesi?
Queste domande riproposte da tanti mostrano la necessità di aprire uno specifico 'atrio dei gentili' indirizzato agli scienziati e ai tecnologi che sino a poco fa erano in qualche modo fautori dell’irreligione europea, ma che lentamente si trovano nella loro coscienza confrontati con la domanda se riprendere in mano con la questione dell’uomo quella di Dio.
Se così accadrà, i credenti potranno favorire un dialogo centrato su una fondamentale contraddizione che insidia tutti: da un lato la micidiale miscela di hybris e sentimento d’onnipotenza che vuole trasformare l’uomo in creatore di se stesso, e dall’altro l’estrema fragilità spirituale e psicologica di tanti contemporanei. Essi sono avvolti in un velo narcisistico che assolutizza ogni loro desiderio, ma che pone un’insuperabile barriera verso gli altri. È come se ciascuno s’intendesse come un’isola e dicesse ad ogni altro: noli me tangere, ma poi si scoprisse disperatamente solo e illuso nei suoi sentimenti d’onnipotenza.
In quest’atrio dei gentili ci si accorge che problema di Dio e problema dell’uomo vanno insieme, e che come Paolo ad Atene bisogna nuovamente annunciare il Dio ignoto nel grande areopago planetario.
© Copyright Avvenire, 3 gennaio 2010
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