giovedì 4 febbraio 2010
Il prof. Veronesi sicuro di se stesso: "La religione impedisce di ragionare". Nella stessa giornata: "Tracce di pensiero nello stato vegetativo"
Clicca qui per leggere il commento di Umberto Veronesi. Come sempre, il senatore e' particolarmente sicuro di se stesso, eppure accusa la religione di avere certezze granitiche. A me pare che, in questo caso, sia proprio il professore a peccare di eccessiva sicurezza. E' quantomeno curioso che, sempre sul Corriere online, sia apparsa la seguente, autorevole e documentata, notizia: "Tracce di pensiero nello stato vegetativo".
Come vede, caro professore, la scienza e' in continua evoluzione e si scopre che persone umane, che qualcuno definirebbe (o avrebbe definito) puri e semplici "cadaveri", in realta' possiedono ancora attivita' cerebrale.
Il credente non fa mai venire meno una grande virtu': la speranza!
Raffaella
IMMAGINE: Le tracce di attività rilevate nel cervello del paziente belga (Afp)
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12 commenti:
E' un uomo troppo presuntuoso e , quando manca l'umiltàa anche la scienza diventa monca
Dunque anche Umberto Veronesi e' un religioso, poiche' in queste dichiarazioni non e' riuscito a ragionare".
Personalmente non stimo affatto il “personaggio” Veronesi, non saprei giudicare lo scienziato. Ma più che speranza in questo caso io auspicherei pietà. Quale atroce scoperta sarebbe sapere infatti che anche in quelle condizioni di “prigionia e tortura” estreme, si conservi un se pur minimo un barlume di coscienza. Il dolore, l’orrore di una totale forzata immobilità, dell’incomunicabilità, la sofferenza dei propri cari attorno a noi.. come si può augurare questo? Non so di cristiano, ma di umano non mi sembra ci sia proprio niente.
Marco
Le affermazioni di Veronesi sono l'espressione emblematica dello scientismo, atteggiamento essenzialmente filosofico e non attinente al tipo di scienze sperimentali che lui chiama in causa. E' vero che la scienza cerca la verità, ma è altrettanto vero che la scienza non riesce a dire nulla rispetto al senso dell'esistenza. La risposta a questa ricerca da parte della religione però non è fideistica, ma ragionevole, cioè c'è una verità di fede che può essere cercata con la ragione e che arriva ad escluderne il "non-senso". Tra fede e ragione non c'è competizione, ma cooperazione nella ricerca della verità.
Eppure Marco, chi in quelle condizioni c'è stato e poi ha avuto in qualche modo la possibilità di testimoniarlo, ha comunicato non tanto l'insopportabilità di quello stato, quanto il terrore di essere uccisi pur essendo vivi.
Ti consiglio per esempio di leggere il Blog di Salvatore Crisafulli.
Questo ci dice che la spinta alla vita è fortissima e che non si può giudicare lo stato interiore di un altro a partire dalle nostre categorie. Rosanna Benzi ha vissuto dai 13 ai 42 anni, quando è morta, all'interno di un polmone d'acciaio diventando un'icona e un testimonial vivente della gioia di vivere.
Le vie del Signore sono infinite.
Credo che sia in questo senso che vada letta la frase “la religione impedisce di ragionare”: io posso anche accettare che alcune persone riescano ad avere la forza di sopportare una condizione che per me non è neppure immaginabile. Tuttavia sono pronto ad accettare anche chi questa forza sovraumana non ce l’ha. La fede religiosa per sua stessa natura stabilisce delle categorie “preconcette”(nel senso che sono stabilite prima ancora della nostra nascita, e quindi dei nostri primi passi con la ragione), per dividere ciò che è giusto o sbagliato, ciò che può o non può essere. Per fortuna è così. Ma quando in queste categorie si cerca in tutti i modi di far rientrare la realtà, si rischia poi, nella foga, di perdere degli elementi importanti. Quanti, a fronte di quelli che tu dici essere testimoni del terrore di essere uccisi se pur vivi, hanno cercato la morte così detta “eutanasica” fino alla disperazione? Quanti, solo di quelli che ancora potevano comunicare, hanno disperatamente implorato di porre fine a quello stato di non-vita? Con quanta forza ha cercato di uscirne Giovanni Nuvoli? Forse qualcuno può sopportare una condizione di quel genere. Anche in prigione, ad esempio, c’è chi riesce a sopportare e anche con successo la vita carceraria ma anche chi, invece, ne rimane vittima, magari solo riportando dei lievi disturbi psicologici, o, addirittura, finendo nel suicidio. Lo stesso per l’esperienza della guerra. Per cui la tua posizione è che, siccome c’è qualcuno che è riuscito a superare questa prova estrema, allora tutti devono essere costretti, non ostante la loro natura o le loro forze, ad affrontarla. Il che equivale a sottoporre a tortura molte persone realmente indifese. Cosa c’è di umano, in questo? Ma sono sicuro che non è la crudeltà che ti muove a non considerare anche queste persone, o la loro libera scelta. In questo senso la fede impedisce di ascoltare il grido di dolore di tanti, perché si è altrove impegnati a farla coincidere a tutti i costi con la realtà.
Marco
Se trai le conseguenze logiche del tuo discorso, si arriva a giustificare il suicidio per tutte quelle persone che, cadute nella disperazione del vivere per qualsiasi condizione oggettiva o soggettiva, non ce la fanno più.
Il discorso presume che l'uomo sia padrone della sua vita e libero di farne ciò che vuole o ciò che si sente di farne, senza alcuna conseguenza e che la morte sia la fine di tutto.
E' chiaro che la mia prospettiva è diversa ed è quella cattolica.
Per me pietà è aiutare a togliere non la vita, ma la disperazione del vivere.
Amare per me è sostenere, assistere, non uccidere.
Ma, al di là della fede, anche un non credente o un non cattolico dovrebbe accettare che, se la persona non è in grado di esprimersi, nessuno può permettersi di presumere che la stessa desideri morire e, in base a questa presunzione, ammazzarla.
E se invece voleva vivere?
Marco quante persone in condizioni oggettivamente disperanti hai assisitito nella tua vita? Io molte. E non erano disperate. A volte, invece, io mi scoraggio. Per fortuna dura poco.
Lo dicevo con riferimento alla tua frase:
"In questo senso la fede impedisce di ascoltare il grido di dolore di tanti, perché si è altrove impegnati a farla coincidere a tutti i costi con la realtà."
Io non so e non posso giudicare cosa fai tu concretamente per cercare di rispondere al "grido di dolore di tanti".
Come puoi sapere o giudicare tu?
Per quel che ne so, la maggior parte delle persone che vedo in giro a rispondere concretamente e gratuitamente al "grido di dolore di tanti", hanno fede e lo fanno per fede.
Se trai le conseguenze logiche del tuo discorso, si arriva a giustificare il suicidio per tutte quelle persone che, cadute nella disperazione del vivere per qualsiasi condizione oggettiva o soggettiva, non ce la fanno più.
Oltre la suicidio si giustificherebbe qualsiasi altra forma di autodistruzione pur di essere liberati da uno stato di vita che produce in noi della sofferenza oppure che non ci permette di vivere secondo le nostre aspettative ed i nostri progetti; vedi l'alcool e la droga.
Una vita ad esempio che non ci soddisfa appieno che non ci ha permesso la realizzazione in pieno di noi stessi e della nostra personalità o che magari non è aderente a quei modelli di vita tanto reclamizzati dalle sop opera oppure dagli spot pubblicitari. Anche queste si possono catalogare come sofferenze o come prigioni dalle quali scappare a tutti i costi. Il dramma della società odierna è proprio questo che ormai l'uomo convinto della sua onnipotenza, si autocovince di essere padrone assoluto di se stesso e di poter egli stesso stabilire quando è il momento di farla finita.
Scusa se non ti ho risposto prima, ero fuori casa. Per risponderti posso partire da una frase dell’ultimo intervento: “Anche queste si possono catalogare come sofferenze o come prigioni dalle quali scappare a tutti i costi.” Questo è il modo di ragionare cui mi riferisco quando dico che si cerca a tutti i costi di ricondurre subito tutto alle categorie consegnateci dalla fede. Come si può appiattire così la gamma delle sofferenze? Come si può, onestamente, paragonare il dolore senza pari di una persona nelle condizioni sopracitate, e quello di chi non riesce ad adeguarsi agli standard della moda, o anche a quello di un carcerato? A chiunque affronti la cosa in modo sereno, senza pregiudizi, ragionevole, appare evidente che si devono fare delle distinzioni, che ci sono dolori e sofferenze di un certo grado, ed altre di un grado estremamente superiore e più drammatico. Per cui il ragionare per assurdo, che vorrebbe che se io difendo il diritto di chi sceglie liberamente di non affrontare queste torture difendo anche chi si suicida per motivi più leggeri o futili, è un artificio retorico che non sta in piedi. Tu definisci, giustamente, il tuo modo di vedere le cose un modo cristiano. Tuttavia io so che la religione cristiana alla sua base si fonda anche sul principio del libero arbitrio, che esprime tutta la forza rivoluzionaria del concetto di responsabilità personale, che si discostò radicalmente dalle credenze Greco romane, che vedevano l’esistenza rigidamente vincolata al Fato. Una dimostrazione pratica potrebbe essere quella che onorare falsi dei è peccato, ma nessuno si sogna di istituire una legge dello Stato in questo senso. L’autenticità della risposta alla richiesta di amore di Gesù, all’abbraccio cui egli si apre nella croce, è data proprio dal fatto che noi liberamente lo accogliamo, non vi siamo costretti. Questo è
in contraddizione però con una legge che vieti a priori di disporre del dono della vita, che vieti di peccare. Ma è una contraddizione che è giusto che gestiate tra di voi. Anche perché dall’esterno, viene la tentazione di giudicarla una campagna prevalentemente strumentale: si calcola, ad esempio, che ogni anno, scegliendo di disporre del dono di Dio, muoiono 600.000 persone a causa del tabacco. Ma nessuna battaglia contro la liberalizzazione del tabacco da parte della Chiesa è paragonabile anche solo al movimento in “difesa” della Englaro. Per evitare di cadere nella polemica, io mi concentrerò sull’aspetto laico ed umano della faccenda, che più mi interessa. Si sa che la pratica “non ufficiale” dell’eutanasia è piuttosto diffusa. Vi sono altresì testimonianze, in alcuni casi eclatanti come quelle di Nuvoli, che ci ricordano che ci sono, effettivamente, delle persone che proprio “non ce la fanno”, che sono vinte dalla sofferenza. Ed anche senza queste testimonianze è in ogni caso ragionevole e verosimile pensare che non tutti siano in grado di affrontare un’impresa di tale estrema violenza, o semplicemente vogliano. Pensiamo a tutti quelli che non si riprendono mai del tutto dalla guerra, oppure quelli che vivendo dei momenti estremi di violenza subiscono un trauma permanente. Per loro, non ostante tutto, c’è ancora una speranza, ma in proporzione a quanto esperito da loro l’incubo vissuto da un persona, ad esempio, in stato vegetativo è sicuramente “più” estremo. Costringerle a lottare a tutti costi una battaglia che non può davvero portare ad una vittoria, non ostante le loro forze, a me sembra disumano. Ma ancora una volta nessuno propone (per fortuna) un’eutanasia di stato. Nessuno, Sam, vuole “presumere niente”: il testamento biologico sarebbe l’espressione diretta e sicuramente più vicina alla volontà del libero soggetto. Come potrai osservare tu stesso da quanto detto, per giungere a tutto ciò che ho scritto è già sufficiente ragionare serenamente. Anche se ho trovato un aiuto, per questo, in un’esperienza personale.
Marco
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