giovedì 4 marzo 2010

Il testo di Don Enrico Finotti: "La centralità della Liturgia nella storia della salvezza...": la recensione del prof. Alessandro Cesareo


LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG

E' con grande piacere e gratitudine che, su segnalazione del nostro Domenico, riportiamo una recensione del prof. Alessandro Cesareo al testo di Don Enrico Finotti, "La centralità della Liturgia nella storia della salvezza. Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo".
Grazie ancora
:-)
Raffaella

Don Enrico Finotti, La centralità della Liturgia nella storia della salvezza. Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo. - Edizioni Fede e Cultura, Verona 2010, ISBN 978-88-6409-042-9, pp.109.

Alessandro Cesareo

Non è infrequente che oggi si percepisca una certa emarginazione delle questioni attinenti alla liturgia, come argomenti di non urgente pertinenza nel quadro pastorale. Si dice che altri sono i problemi emergenti ed improrogabili. In questo modo, la liturgia finisce per non essere praticamente mai dibattuta nei programmi pastorali. Inoltre, si nota un certo dilettantismo e una qualche superficialità nel parlare di argomenti liturgici, quasi come se fosse una cosa di debole contenuto e per lo più ridotta a ‘formalità’. Così, si apre la strada ad un’impostazione ‘pastorale’ prevalentemente sociologica e la parrocchia tende a diventare una ‘azienda’, priva della sua dimensione sacramentale e del suo carattere soprannaturale1.
Introducendo questo studio, si è ben definito il significato del termine ‘liturgia’ a cui in tutta la trattazione si è inteso far riferimento. E in particolare si è affermato che per ‘liturgia’ si doveva intendere quell’adorazione lieta e quell’obbediente sottomissione che la creatura deve al Creatore, atteggiamento così profondo da essere previo ad ogni specificazione rituale storica propria delle varie espressioni religiose.
Tuttavia, questo sguardo che coglie la natura religiosa profonda dell’essere umano in quanto tale, non deve avvallare una impostazione spiritualistica del problema, divaricando dalla ritualità concreta che si esprime nelle forme storiche e che è connaturale ad ogni manifestazione dello spirito religioso dei popoli e delle culture. Tale prospettiva potrebbe sostenere e giustificare uno spiritualismo irreale, senza l’ancoraggio al rito che lo traduce e lo esprime in forma corporea. Per questa via si arriverebbe a giustificare una vita religiosa senza pratica rituale2.
Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo: così Enrico Finotti, presbitero dell’Arcidiocesi di Trento e parroco in Rovereto, presso la Parrocchia di Santa Maria del Carmine, ricostruisce l’interessante percorso compiuto dalla liturgia a partire dall’origine del vocabolo, per poi delineare le cause del suo crollo , laddove quest’ultimo vocabolo è chiaramente da non intendersi immediatamente la caduta di un particolare sistema di riti e di ordinamenti tradizionali, quanto piuttosto ciò che essi contengono ed esprimono, ossia quella dimensione spirituale, che costituisce la loro ‘anima’ e che li giustifica dall’interno, come manifestazioni visibili della libera scelta dell’uomo, che vuole adorare Dio e obbedire alla sua parola, riconoscendolo Creatore, Signore e Padre. Quando questa ‘liturgia interiore’ viene meno, da subiti i riti diventano vuoti e la loro celebrazione solo formale. Ma, in seguito, gradualmente, si corrompono anche nella loro forma materiale e le parole e i gesti che li costituiscono, non essendo più interiormente alimentati e dottrinalmente controllati, assumono inevitabilmente, anche nella loro espressione rituale, gli errori, le incertezze e i compromessi, propri di quell’idolatria, che ha preso il posto della religione vera e che, ormai, guida le facoltà spirituali dell’uomo depravato. Vi è, quindi, una Liturgia di contrasto, che è parodia della vera Liturgia e che si pone al servizio del culto blasfemo dell’angelo delle tenebre, che si oppone a Dio. Nel crollo della Liturgia, allora, si verifica normalmente una sorta di sostituzione: la Liturgia si corrompe e cede il posto all’idolatria3; in questo modo, l’autore rivela una notevole capacità interpretativa ed analitica degli inquietanti fenomeni del nostro tempo, dei quali indaga le cause e definisce gli ambiti, muovendosi con disinvoltura in ambiti concettuali complessi e dimostrando altresi di saper leggere a fondo i segni dei tempi.
La sapienza cristiana, abbellita e canonizzata dai modelli della classicità, che Finotti dimostra di conoscere a menadito, è quanto emerge con nitida chiarezza nel punto in cui si parla, nel libro in oggetto, di crollo della Liturgia con Antioco Epifane e di Ellenismo4, mentre in precedenza si era parlato della Liturgia del Tempio con Davide e Salomone5, ma anche di Crollo della Liturgia e di Esilio Babilonese6, mentre il nesso inscindibile tra ritorno degli esiliati e ripresa delle celebrazioni cultuali è l’oggetto precipuo di riflessione del par.IX7, cui segue appunto l’approfondimento sull’Ellenismo. Seguono dunque, caratterizzati da uno stile assai incisivo ed efficace, i paragrafi dedicati alla Purificazione del Tempio ed alla sua dedicazione ad opera dei Maccabei8, fino ad arrivare all’analisi, dettagliata ed approfondita, delle motivazioni che hanno causato e determinato il Crollo dello spirito della liturgia9. La risposta a questa situazione d’incertezza e di sottile confusione tra le regole cultuali viene però prontamente fornita dalla luminosità diffusa del Mistero Pasquale di Cristo nella pienezza del tempo10. E come non parlare della redenzione? O della santificazione? Così, l’autore prosegue nella dimostrazione di come una coerente ed efficace prassi liturgica non possa che essere un intenso riflesso di un procedimento di conversione in atto, per rendere efficace e trasparente il quale si ha bisogno soltanto della Verità, condizione indispensabile in cui è importante venirsi a trovare prima ancora di accostarsi alla ricerca stessa di ciò che è Verità.
In questo senso, ad esempio, risultano più chiari e più significativi i contributi offerti alla causa della Liturgia da Colonne della Liturgia stessa, quali possono essere ritenuti Benedetto e Gregorio Magno11, mentre la via maestra del percorso da compiere per arrivare a Dio è quella dell’Adorazione, vissuta, concepita ed illustrata come un consapevole ritorno alla pratica di una Liturgia autentica e vissuta, concreta espressione di un approccio adulto e consapevole alla dimensione della fede vissuta e messa in pratica.
Dodici capitoli, dunque, seguiti da una dossologia finale, e da una serie di riflessioni conclusive, il tutto inserito in una più ampia cornice descrittiva ed esperienziale, contribuiscono a rendere oltremodo vincente questo ultimo lavoro di Enrico Finotti, le cui abilità di scrittore consapevole e maturo erano peraltro già emerse con estrema chiarezza nelle sue precedenti pubblicazioni, tra le quali sarà bene ricordare almeno il seguente: L’anno liturgico. Mistero, grazia e celebrazione – Sussidio per la catechesi e la celebrazione dell’Anno Liturgico, Trento 2001. Un libro, quello qui recensito, che si presenta dunque come un valido strumento didattico per teologi in formazione. E’ dunque il momento di esprimere profonda gratitudine nei confronti di Paolo Giuliani, grazie alla cui sensibilità ed alla cui attenzione è stato possibile conoscere ed apprezzare questo prezioso volume.

1 commento:

Domenico ha detto...

Dal libro LA CENTRALITA' DELLA LITURGIA:

"Benedetto e Gregorio, emergono quali personalità rappresentative delle due forme liturgiche: Benedetto è il simbolo della liturgia monastica, Gregorio è il simbolo della liturgia cattedrale.
In verità essi assurgono anche ad essere i paladini dell’intera vita ecclesiale dell’Occidente. Infatti, la loro persona è strettamente collegata alle due Regole, che essi hanno donato alla Chiesa. La Regola monastica di san BENEDETTO organizza il monachesimo occidentale e pone le basi costitutive delle abbazie; La Regola pastorale di san Gregorio Magno, imposta la pastorale occidentale e pone le basi della vita diocesana e dei suoi pastori.
La liturgia monastica, in primo luogo, privilegia il monito evangelico del pregare incessantemente (1 Ts 5,17) e si impegna ad una assolvenza tendenzialmente piena dell’intero salterio e di un più ampio lezionario biblico. Ciò è reso possibile da un regime di vita consono alla contemplazione, diurna e notturna, e si può realizzare solo in ambienti adatti a questo scopo, col supporto di una comunità che condivida preghiera, lavoro e riposo. Gli Angeli che contemplano sempre il volto di Dio ne sono icona e la vita celeste ne è modello. L’intimità totale con Dio e l’olocausto della verginità, la fusione sinfonica nella comunità, unita all’abnegazione di se stessi, delineano il cuore del monaco e offrono il clima spirituale più idoneo per l’attuazione del canto corale e regolare delle lodi divine. Soprattutto dopo la fine della grandi persecuzioni si sentì l’esigenza di non rinunciare a quella radicalità evangelica che era caratteristica delle origini eroiche del cristianesimo e, di fronte all’inevitabile allentamento della preghiera in un popolo cristiano sempre più numeroso, ma con conversioni talvolta sommarie, si intese conservare la generosità degli inizi con una vigorosa proposta esistenziale, che tenesse vivo lo spirito della primitiva comunità cristiana. In tal senso la liturgia monastica, in tutte le sue variabili, costituisce un bacino di spiritualità irrinunciabile per la santità e l’elevazione qualitativa dell’intero popolo di Dio.
(...)
La LITURGIA CATTEDRALE, invece, si cura prevalentemente di introdurre il popolo nei misteri e di disporlo a riceverne con frutto la grazia. Elevare il popolo alla liturgia e portare la liturgia al popolo è la preoccupazione del pastore. Il popolo nella sua globalità e nelle situazioni ordinarie di vita è il referente fondamentale di questa forma liturgica. E il genio specifico del pastore vigilante sta nel coniugare con equilibrio l’integrità del mistero con la sua trasmissione, senza ridurre o eliminare uno dei due termini. L’intento pastorale ricerca nella continuità della tradizione l’impiego migliore di formule, preci, simboli e riti verificando con responsabilità e competenza la loro abilità a comunicare quella grazia, che devono poter esprimere in modo adeguato. Per questo la liturgia cattedrale tende ad essere breve, incisiva, semplice, elastica. Essa segue il ritmo diversificato delle categorie comuni dei cristiani, che vivono nella società e sono impegnati nel lavoro quotidiano. Tuttavia non è priva di fascino, di sacralità e di solennità, come dimostra la liturgia della Chiesa Romana, che da sempre si esprime con riti brevi, lineari, nobili e solenni.