sabato 21 agosto 2010

La tradizione di religione e libertà negli Stati Uniti nel commento di Michael Novak (Liberal)


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Non ci siamo occupati sul blog delle polemiche nate intorno all'incredibile affermazione di Obama circa la possibilita' di costruire una moschea nei pressi di Ground Zero. Personalmente credo che la liberta' di religione sia un valore importantissimo e che ciascuno abbia il diritto di professare liberamente il proprio credo.
Ovviamente, pero', anche i Cristiani dovrebbero godere dello stesso diritto nei Paesi a maggioranza musulmana. Non e' ancora cosi' e insistere sulla reciprocita' dovrebbe essere un dovere della Comunita' Internazionale che pero', quando si tratta delle persecuzioni nei confronti dei Cristiani, gira la faccia dall'altra parte.
Detto questo, ho trovato particolarmente sgradevole l'idea di costruire una moschea nel luogo in cui sorgevano, prima dell'attentato dell'11 settembre 2001, le Torri Gemelle. Ci sono luoghi "sacri" che vanno rispettati, sempre e comunque.
Il blog e' sempre stato dalla parte delle vittime e, anche in questo caso, personalmente, sono dalla parte dei parenti di coloro che hanno perso la vita nel sanguinoso attentato nel 2001. Capisco perfettamente la loro posizione e trovo che abbia peccato di insensibilita' chi non ha tenuto conto dei loro sentimenti.
E' ovvio che non si possono imputare a tutti i Musulmani le atrocita' degli attentatori dell'11 settembre, come non si possono colpevolizzare tutti i sacerdototi o tutti i Cattolici per i reati di pedofilia commessi da alcuni preti, ma le vittime meritano sempre il massimo rispetto
.
R.

La moschea della discordia

di Michael Novak

[21 agosto 2010]

Recentemente, Papa Benedetto XVI ha insistito in più di un'occasione sul fatto che la Chiesa necessiti di studiare più approfonditamente la tradizione di religione e libertà negli Stati Uniti, così diversa dalle varie tradizioni europee seguite alla Rivoluzione Francese. Durante la campagna elettorale americana del 2008, nel corso di un incontro pubblico, un senatore chiese ad uno dei principali candidati alla presidenza: «Senatore, Lei crede che Dio intervenga nella storia e ricompensi o punisca gli individui o le nazioni in tempo reale per il proprio comportamento?». Una domanda simile suona quasi inimmaginabile in una qualsiasi nazione europea, ma negli Usa è assolutamente normale. La supposizione dietro a tale interrogativo è che le genti degli Stati Uniti costituiscano un popolo profondamente religioso, con un forte impegno storico nei riguardi del Dio trascendente degli ebrei e della tradizione cristiana. Il primo documento pubblico della nuova nazione, la Dichiarazione d'Indipendenza del 1776, fa appello al Dio trascendente della Bibbia almeno quattro volte (quale Governatore, Creatore, Giudice e Divina Provvidenza). Inoltre, uno dei nomi preferiti per identificare il nuovo "esperimento di libertà"negli Stati Uniti era "Secondo Israele". Il viaggio attraverso i mari dall'Europa all'America venne intrapreso con in mente la fuga degli israeliti attraverso il Mar Rosso. E la traversata del deserto occidentale venne idealmente accostata alla fuga degli israeliti attraverso il Deserto. Lo scopo dei Pellegrini ("costruire una splendente Città sulla Collina") intendeva riecheggiare l'obiettivo del popolo d'Israele di fare ritorno a Gerusalemme. Capita spesso di imbattersi in pubblicazioni di scrittori europei pronti a ironizzare su tali stravaganti rivendicazioni di carattere religioso. In una cultura molto più secolare, tali affermazioni appaiono bizzarre, e persino pericolose, in ogni caso ridicole. Negli Stati Uniti, tuttavia, ora come al tempo della Fondazione, ciò risulta tanto normale quanto necessario. Oggi la nazione affronta certamente una crisi spirituale. Negli ultimi sessant'anni, una compagine crescente di "laicizzatori" ha tentato di "scacciare la religione dalla pubblica piazza" e di de-cristianizzare il paese. Il grande sociologo Peter Berger, uno dei più grandi pensatori sociali al mondo, ha affermato con arguzia che se il popolo indiano è tra quelli più religiosi al mondo, e se i più secolarizzati sono gli svedesi, allora l'America d'oggi può essere meglio compresa se considerata come una popolazione di indiani, guidata da un'élite di svedesi. In America abbiamo intrapreso una grande "guerra culturale", in cui viene messa alla prova la capacità della nostra nazione, o di qualsiasi altra nazione moderna, di continuare a lungo a dimorare alla luce del giudizio del Trascendente, costantemente riaffermato in ogni discorso ed atto pubblico. Nel pieno di questa battaglia, il pensiero di uno studioso come Lubomir Mlcoch (docente di Scienze Sociali all'Università Charles di Praga, ndr.) favorisce, anche se non intenzionalmente, il lavoro dei secolarizzatori. Egli ripete le loro argomentazioni come se fossero vere; vale a dire, che gli Stati Uniti siano una nazione secolare. E rende la vita più difficile a quanti tra noi pongono l'accento sui valori trascendenti e sull'impegno che hanno sempre contraddistinto la storia della nostra nazione. In breve, le prove da chiunque verficabili non permettono di affermare che il popolo degli Stati Uniti, in quanto fortemente diverso dai popoli più laicizzati dell'Europa occidentale, sia ora secolare. Al contrario, gli Stati Uniti nacquero, e continuano ancora ad essere, sotto la luce dell'eternità, sotto lo sguardo fisso del Signore Giudice d'Israele, il Dio che giudica le coscienze, le intenzioni e le anime, non solo il mero comportamento esteriore. Non vi è dubbio che il Suo giudizio di noi debba spesso essere severo. Ha preteso da noi, anche nel secolo appena conclusosi, nella Sua giustizia, un immenso tesoro di sacrifici e sangue. Lasciate dunque che vi proponga un modesto studio dei documenti ufficiali degli Stati Uniti dagli albori sino ad oggi. Il loro lignaggio è virtualmente immutato nel grado di esplicita confessione del Creatore, Giudice e Governatore della vita quotidiana di questa nazione, di questo popolo. Potrete odiare, temere, o semplicemente non comprendere come tutto ciò funzioni, o ad dirittura ridicolizzarlo. Ma, nel bene o nel male, non potete negarlo. Consentitemi di presentare alcune delle prove meno familiari, ma più basilari, della storia. Ad esempio, i General Orders del Generale Washington alle sue truppe durante la cruenta guerra per l'indipendenza durata sette anni, indipendenza da un altro potere cristiano, il Regno Unito, i cui soldati leggevano la stessa Bibbia e credevano nella medesima Provvidenza. Per citare giusto un esempio tra i tanti: «Confidiamo nella bontà della causa, e nell'aiuto dell'Essere Supremo, nelle cui mani è riposta la vittoria, per animarci ed incoraggiarci verso grandi e nobili azioni».
Riconoscendo che gli americani - persino quel Tom Paine che odiava la Bibbia - credevano che il Dio della Libertà, il Dio della Coscienza, non potesse negare il proprio sostegno a quanti combattevano per la libertà, e dovesse rifiutare coloro (comunque in buona fede, e nel loro pieno diritto) che combattevano per impedire l'indipendenza e la libertà dei primi. O considerate la Proclamazione ufficiale e pubblica del Congresso ogni anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza, ad invocare un Giorno di Pentimento, per tutti i peccati della nazione e dei suoi cittadini, al fine di poter pregare per la benedizione di Dio sull'America. Oppure i Giorni del Ringraziamento, per ricordare esplicitamente e rendere grazie per le "consuete benedizioni" attraverso le quali mese dopo mese l'Onnipotente sembra soccorrere, o salvare, la causa americana, contro tutte le previsioni. Gli americani - o forse solo un quarto attivo di loro - imbracciarono eroicamente le armi contro la più potente Marina del mon- do, e contro uno dei due grandi Eserciti del pianeta (l'altro era quello francese), anche se iniziarono la propria lotta senza un esercito addestrato, senza una flotta, e senza fabbriche di munizioni dall'altra parte dell'oceano. Non meraviglia il fatto che nella Dichiarazione riposero la speranza e fecero affidamento "sulla Divina Provvidenza" per il successo del proprio esercito. Cos'altro avevano, se non il Dio della Libertà?
Non meraviglia che quel popolo scelse «Noi Confidiamo In Dio» come motto da incidere sulle proprie monete. Potrete anche deriderli per questo, ma non negate loro la serietà e la profondità della loro fede, anche nei giorni più duri e bui del loro lungo esperimento. Gli Stati Uniti sono ora la più longeva repubblica del mondo, e la più religiosa. Se dubitate della profondità del senso di trascendenza americano nella vita quotidiana, date un'occhiata al discorso di insediamento di ogni presidente sin dall'inizio. Leggete la Legge sulla Libertà Religiosa di Jefferson e le sue argomentazioni a sostegno della stessa, le quali si fondano principalmente sulla volontà di Dio di rendere l'uomo libero, quando Egli non ha bisogno di farlo, e di giudicarlo secondo la sua coscienza interiore, non esclusivamente per le azioni esteriori. Leggete altresì il secondo discorso di insediamento di Abraham Lincoln, pronunciato il 4 marzo 1865, in cui egli riflette sulle azioni della Provvidenza e della Giustizia Divina, nel pretendere una goccia di sangue sul campo di battaglia della grande Guerra Civile del 1861 - 1865, una goccia per ogni goccia di sangue sparsa da un innocente, schiavo involontario tenuto in cattività. Quella guerra civile fu il conflitto più sanguinoso della nostra storia, combattuto da due eserciti cristiani ognuno dei quali sicuro che la propria causa fosse giusta. Nel suo secondo discorso d'insediamento Lincoln tentò di assumere il punto di vista della Giustizia Divina e della Provvidenza che guarda alla causa di ognuno dei contendenti: «Potrà sembrare strano che ogni uomo debba osare chiede una giusta assistenza di Dio nello strappare il pane dal sudore delle facce di altri uomini, ma non giudichiamo, e non saremo giudicati. Le preghiere di entrambi potrebbero non ricevere risposta. E nessuna è stata pienamente ascoltata. L'Onnipotente ha i Suoi obiettivi ». Lincoln concluse con la famosa frase: «Con malevolenza verso nessuno, per carità con tutti » il suo appello alla riconciliazione nazionale. Non molto tempo dopo egli morì come un martire. Molti hanno giudicato questo come il più profondo, veritiero, autentico e prudente appello al Dio trascendente da parte di un leader politico, in tempo di guerra, nel corso di tutta la storia moderna. È sicuramente tra i migliori. G.K. Chesterton, il grande convertito inglese dei primi del XX secolo, scrisse dopo il suo viaggio in America come essa fosse diversa dagli altri paesi: «È una nazione con l'anima di una Chiesa". La sua Dichiarazione di Indipendenza esprime il suo credo. Tutte le sue liturgie politiche sono messe in scena, a livello espressivo, alla luce del Trascendente. L'insediamento dei presidenti americani rappresenta una cerimonia religiosa dall'inizio alla fine. Ciò vale per i discorsi politici durante le feste nazionali e, invero, per tutto l'anno. Oggi, crepe cruciali si insinuano ai danni del Trascendente a lungo nutrito dalle tradizioni religiose pubbliche del paese. Gli aggressori nel corso dei sessant'anni appena trascorsi in questa determinata guerra contro la religione sono i molti nelle élite del diritto, del giornalismo, delle industrie della televisione e del cinema, e in altre élite della classe che brandisce simboli. È questa guerra civile interna, una guerra culturale e di simboli, che è direttamente responsabile dell'imposizione ad un pubblico riluttante di un regime dell'aborto. Il popolo americano non ha mai in una singola elezione, mai in un singolo distretto dato il proprio assenso all'aborto. In effetti, anche oggi, vi sono "cliniche" abortive in solo il 30% delle contee degli Stati Uniti. Le élite difendono ferventemente il diritto all'aborto. Ma oltre metà della popolazione si oppone agli attuali nove mesi di protezione legale illimitata per gli abortisti.Fino al momento in cui l'infante è per metà nato e per metà ancora in grembo - e con vincoli ben più rigidi che in Europa - l'abortista americano può praticare la sua disgustosa arte. Analogamente, le élite dell'industria della comunicazione statunitense non sembrano quasi mai ritrarre nelle loro pellicole il modo in cui i comuni cittadini degli Stati Uniti, la stragrande maggioranza, vivono la propria vita religiosa, come affrontano il cancro o altri tormenti in famiglia, o la morte dei compagni di classe in un incidente stradale, nel momento della preghiera e in comunità con i propri fratelli e sorelle nella fede. Nei media, gli americani vengono descritti come gente pagana, cosa che nella maggior parte dei casi non sono. Dopo l'11 settembre, moltitudini di americani, nel loro dolore e shock, presero parte a funzioni speciali in ogni chiesa e sinagoga, e spesso alla luce delle candele nelle piazze delle città o nei campus universitari. E la risposta del nostro popolo con canti e bandiere, per molte settimane dopo l'11 settembre, rappresentò una corposa interpretazione del più popolare degli inni nazionali: «God Bless America». Come spesso succede, l'ultimo o splendido articolo del Professor Ml\\u010Doch è giunto tra le mie mani il giorno in cui è stato pubblicato un nuovo sondaggio sulla religione del popolo americano, da parte di una delle agenzie di sondaggi più rispettabili a livello nazionale, la Rasmussen poll. Il 57% degli americani adulti affermano che la religione è "molto importante"nella loro vita quotidiana, ed un altro 23% afferma che essa è "abbastanza" importante", per un totale dell'80%. Solo il 18% fornisce la risposta che si reputerebbe normale in qualsiasi paese europeo occidentale, e cioè che essa non è "di alcuna importanza"nelle loro vite quotidiane. Risposta che in America viene data più frequentemente dai giovani e dai non coniugati. Come, probabilmente, ci si potrebbe aspettare. Infine, non posso non ricordare che gli studi sulle convinzioni religiose tra le élite americane, divise tra circa cinquanta professioni, mostrano che le élite meno religiose sono i giornalisti, i registi cinematografici di Hollywood e quelli tv, gli iscritti alla professione forense e coloro che operano nel mondo politico. Le élite più religiose sono il clero, l'esercito, gli atleti professionisti e gli uomini d'affari. La mia ipotesi è che queste ultime, più religiose professioni vedano quotidianamente contingenze serie, inclusi (nell'esercito e nello sport) l'infortunio e la morte. Sono molto più abituati al ruolo della contingenza negli eventi umani e, perciò, al ruolo della Divina Provvidenza nei loro fallimenti e successi. Dire, dopo aver passato in rassegna le abbondanti, persino eccessive prove, che il Trascendente non figura nella cultura politica degli Stati Uniti, equivale a non cogliere l'essenziale percorso con cui gli americani si siano distanziati dall'esempio dell'Europa secolare. Su questioni di religione, l'Europa rappresenta la norma dell'Occidente; gli Stati Uniti sono l'eccezione. Ma gli americani sono più vicini alle moltitudini di popoli religiosi nel mondo meno sviluppato, e l'Europa è come un'isola secolare in un oceano di turbolente energie religiose, per utilizzare l'immagine impiegata da Jürgen Habermas. Schiaccianti sono le prove a sostegno del fatto che grandi maggioranze oggi negli Stati Uniti, seguendo il sentiero ben segnato dei più importanti documenti pubblici della nostra vita nazionale, si appellino spesso e pubblicamente alla forza del Trascendente per gli affari umani. Molti tentano altresì di vivere fedelmente sotto di esso. Altrettanto evidenti sono le prove del fatto che una significativa e molto potente minoranza lavora per sovvertire tale lunga tradizione. Il conflitto tra queste forze sarà con ogni probabilità lungo, ed il suo risultato incerto. Possiamo utilizzare tutto l'aiuto di cui disponiamo.

© Copyright Liberal, 21 agosto 2010 consultabile online anche qui.

5 commenti:

sonny ha detto...

Eh già cara Raffaella, il signor Barak Hussein, primo esempio al mondo di premio Nobel sulla fiducia.....lasciamo perdere che è meglio!

Anonimo ha detto...

Ma perchè abboccare sempre alla propaganda guerrafondaia e neo-con??
la moschea non è a ground zero!!!
Se guardate la mappa di Manhattan scoprirete che la supposta moschea non sorgerà affatto «a» Ground Zero, ma tutt’al più «nelle vicinanze». Più specificamente: a due isolati di distanza.

Chi volesse raggiungere da Ground Zero il luogo dove sorgerà la moschea, dovrà percorrere la West Broadway costeggiando la New York Academy of Sciences, attraversare Barclays street, proseguire costeggiando l’edificio della University of Phoenix, attraversare una seconda strada – Park Place – e girare a sinistra: lì, al numero 51, sorge un vecchio edificio della Burlington Coat Factory, che sarà abbattuto per lasciare posto al centro musulmano. Da lì, nemmeno dalla cima del 13simo piano del futuro edificio si potrà gettare lo sguardo su Ground Zero. Ci sono di fronte ben due edifici, l’Ufficio Fallimenti e il Dipartimento Sanità di New York, che ingombrano la vista.
Inoltre, è difficile definire l’edificio progettato «una moschea». E’ un centro polivalente per la comunità islamica: nei suoi 13 o 15 piani ospiterà una piscina, un auditorium con 500 posti, vari uffici e un luogo di preghiera, l’equivalente di una cappella in un centro cattolico. Nessun minareto, nessun muezzin....


Dunque?

Raffaella ha detto...

Non cambia proprio nulla...
R.

a ha detto...

A Ground Zero o nelle vicinanze che cambia?
Le vittime hanno avuto da dire e questo è ciò che ci interessa.

Anonimo ha detto...

...scusate...
Ma voi siete proprio sicuri sicuri che l'attentato sia stato 'islamico'?
Perchè la "Prudenza" è una virtù Cristiana....

MM