sabato 25 settembre 2010

Il Papa delle sorprese. Stile e coraggio di un uomo che parla di Dio (Mons. Georg Gänswein)

Cinque anni di pontificato nello sguardo del segretario particolare

Il Papa delle sorprese

Stile e coraggio di un uomo che parla di Dio

Il ventisettesimo Premio Capri San Michele per la Sezione Immagini Verità — assegnato all'opera Benedetto xvi urbi et orbi. Con il Papa a Roma e per le vie del mondo (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010), curata dal segretario particolare del Pontefice — è consegnato nel pomeriggio del 25 settembre ad Anacapri. Anticipiamo l'intervento del curatore.

di Georg Gänswein

Un lustrum è molto, un lustrum non è molto; un arco di tempo di cinque anni è ampio, un arco di tempo di cinque anni non è molto ampio. Sulla questione si può discutere a lungo e trovare argomenti pro e contro.
Lo scorso 19 aprile 2010 erano cinque anni da quando il cardinale Joseph Ratzinger veniva eletto Papa con il nome di Benedetto xvi. Il quinto anniversario della sua elezione è stata l'occasione concreta per questa pubblicazione. Ma la ragione più profonda sta nell'invito a seguire le tracce del Santo Padre nella sua sede episcopale di Roma (urbi), nei suoi viaggi apostolici in Italia e nei diversi Paesi e continenti della terra (orbi), e a trovarne il messaggio dietro i discorsi, le omelie, le lettere, le catechesi. È in quest'ottica che il tempo mondano, chrònos, può e deve diventare per tutti un chairòs, il tempo della grazia. E allora la disquisizione sulla valenza temporale del quinquennio si apre a una dimensione del tutto diversa, che sfugge alla logica del computo matematico.

Chi era presente personalmente in piazza San Pietro o davanti ai televisori, nel momento in cui il fumo bianco dal camino della Cappella Sistina annunciava al mondo il nuovo Papa, non dimenticherà mai la commozione e l'emozione quando il Sommo Pontefice, appena eletto, si affacciò dalla Loggia delle Benedizioni e rivolse ai fedeli, a braccio, le indimenticabili parole: «Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo ii, i signori Cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie».

In tutti gli angoli della terra l'acqua è sempre la stessa: è sempre l'identica composizione di idrogeno e di ossigeno. Eppure l'acqua è dovunque diversa. Perché? Perché l'acqua assume ogni volta delle caratteristiche singolari in rapporto al terreno che la filtra. Così accade per i Papi. Essi svolgono la stessa missione e rispondono alla medesima chiamata di Gesù; però ognuno risponde con la propria personalità e con la propria irripetibile sensibilità.

Tutto questo è meravigliosamente bello: è un segno dell'unità nella diversità; è un miracolo di novità nella continuità; è una manifestazione suprema di ciò che accade in tutto il corpo della santa Chiesa di Cristo, dove novità e continuità convivono e si armonizzano senza sosta. Papa Benedetto xvi non è uguale a Giovanni Paolo ii, Deo gratias: Dio non ama la ripetizione e le fotocopie. E Giovanni Paolo ii non era uguale a Giovanni Paolo i, Deo gratias, così come Giovanni Paolo i non era uguale a Paolo vi, Deo gratias, e Paolo vi non era uguale a Giovanni xxiii, Deo gratias. Eppure tutti hanno amato Cristo appassionatamente e hanno servito fedelmente la sua Chiesa: Deo gratias quam maximas!

Però — ecco il fatto veramente singolare ed edificante — Papa Benedetto xvi si è presentato al mondo come il primo devoto del suo predecessore; è un atto di grande umiltà, che stupisce e suscita commossa ammirazione.

Il 20 aprile 2005, parlando ai cardinali nella Cappella Sistina un giorno dopo l'elezione al supremo pontificato, Benedetto xvi si esprimeva così: «Nel mio animo convivono in queste ore due sentimenti contrastanti. Da una parte un senso di inadeguatezza e di umano turbamento per la responsabilità (...). Dall'altra parte, sento viva in me una profonda gratitudine a Dio che non abbandona il suo gregge, ma lo conduce attraverso i tempi, sotto la guida di coloro che Egli stesso ha eletto come Vicari del Suo Figlio e ha costituito pastori. Carissimi, questa intima riconoscenza per un dono della divina misericordia prevale, malgrado tutto, nel mio cuore. E considero questo fatto una grazia speciale ottenutami dal mio venerato Predecessore, Giovanni Paolo ii. Mi sembra di sentire la sua mano forte che stringe la mia; mi sembra di vedere i suoi occhi sorridenti e di ascoltare le sue parole, rivolte in questo momento particolarmente a me: “Non abbiate paura”».

Come sono sincere questo parole, e nello stesso tempo, profumate di umiltà! È davvero meraviglioso il fatto che un Papa attribuisca all'intercessione del proprio predecessore il primo dono del suo pontificato: la pace del cuore in mezzo alla bufera inattesa delle emozioni. Papa Benedetto xvi ha dato alla Chiesa e al mondo una stupenda lezione di stile pastorale: chi inizia un servizio ecclesiale — questa è la sua lezione — non deve cancellare le tracce di chi ha lavorato precedentemente, ma deve porre umilmente i propri piedi sulle orme di chi ha camminato e faticato prima di lui. Se accadesse sempre così, sarebbe salvo tanto patrimonio di bene, che invece viene spesso demolito e dilapidato. Il Papa ha raccolto questa eredità e la sta elaborando con il suo stile mite e riservato, con le sue parole pacate e profonde, con i suoi gesti misurati ma incisivi.

Benedetto xvi nel suo discorso inaugurale del ministero petrino, il 24 aprile 2005, ha usato espressioni molto chiare: «Il mio vero programma di governo — ha detto il Papa — è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia». Da quel giorno sono trascorsi cinque anni. Per un pontificato non si tratta certo di un lungo periodo, ma di un lasso di tempo sufficiente per tracciare un primo bilancio. Per cosa si batte Benedetto xvi? Che messaggio vuol portare agli uomini, a Roma e nel mondo? Cosa lo muove e cosa è riuscito lui stesso a smuovere?

Va anzitutto sottolineato quanto questo Papa abbia sorpreso tutti noi: in primo luogo per la lievità con la quale ha assunto il compito del suo predecessore Giovanni Paolo ii, interpretandolo in modo nuovo e tuttavia egualmente pieno di vitalità. Giovanni Paolo ii è stato il Pontefice delle grandi immagini, dalla potenza immediatamente evocativa; Benedetto xvi è il Papa della parola, della forza della parola: è un teologo più che un uomo di grandi gesti, un uomo che «parla» di Dio.

Allo stesso modo ha destato in noi meraviglia come l'ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con il suo calore e la sua semplicità così spontanea e vera, riesca senza sforzo alcuno ad avvincere il cuore degli uomini.

È giunto inaspettato anche il coraggio che segna chiaramente il pontificato del Papa tedesco.

Benedetto xvi non teme i confronti e i dibattiti. Chiama per nome le insufficienze e gli errori dell'occidente, critica quella violenza che pretende di avere una giustificazione religiosa. Non smette mai di ricordarci che si voltano le spalle a Dio con il relativismo e l'edonismo non meno che con l'imposizione della religione attraverso la minaccia e la violenza. Al centro del pensiero del Papa sta la questione del rapporto tra fede e ragione; tra religione e rinuncia alla violenza.

Dalla sua prospettiva, la rievangelizzazione dell'Europa e di tutto il mondo sarà possibile quando gli uomini comprenderanno che fede e ragione non sono in contrasto, ma in relazione tra loro. Una fede che non si misura con la ragione diviene essa stessa irragionevole e priva di senso. E al contrario, una concezione della ragione che riconosce unicamente ciò che è misurabile non basta per comprendere l'intera realtà. La ragione deve lasciare spazio alla fede e la fede deve rendere testimonianza alla ragione, perché entrambe non si sminuiscano nel ristretto orizzonte della propria ontologia. In fondo, al Papa interessa riaffermare il nocciolo della fede cristiana: l'amore di Dio per l'uomo, che trova nella morte in croce di Gesù e nella sua risurrezione l'espressione insuperabile. Questo amore è l'immutabile centro sul quale si fonda la fiducia cristiana nel mondo, ma anche l'impegno alla misericordia, alla carità, alla rinuncia alla violenza.

Non a caso la prima enciclica di Benedetto xvi è intitolata Deus caritas est, «Dio è amore». È un segno evidente; di più, una frase programmatica del suo pontificato. Benedetto xvi vuole far risplendere il fascinosum del messaggio cristiano. È questo che, più di ogni altra cosa, caratterizza il pontificato del Papa teologo. Nella sua prospettiva, sta qui la forza e anche la possibilità di futuro per la fede. Il messaggio del successore di Pietro è tanto semplice quanto profondo: la fede non è un problema da risolvere, è un dono che va scoperto nuovamente, giorno per giorno. La fede dona gioia e pienezza.

Ma la fede ha un volto umano — Gesù Cristo. In lui, il Dio nascosto è divenuto visibile, tangibile. Dio, nella sua grandezza incommensurabile, si offre a noi nel suo Figlio. Al Santo Padre preme annunciare il Dio fatto carne, urbi et orbi, a piccoli e grandi, a chi ha potere e a chi non ne ha, dentro e fuori la Chiesa, che lo si gradisca o meno. E anche se tutti gli occhi e le telecamere sono puntati sul Papa, non si tratta tanto di lui.

Il Santo Padre non mette al centro se stesso, non annuncia se stesso, ma Gesù Cristo, l'unico redentore del mondo. Chi vive in pace con Dio, chi si lascia riconciliare con lui, trova anche la pace con se stesso, con il prossimo e la creazione che lo circonda. La fede aiuta a vivere, la fede regala gioia, la fede è un grande dono: questa è la convinzione più profonda di Papa Benedetto.

Per lui è un sacro dovere lasciare tracce che conducano a questo dono. Con parole e immagini il libro premiato ne dà testimonianza: esso vuole essere un attestato di devozione e di affetto al Santo Padre, e un piccolo strumento — anch'esso umile, parziale ma evocativo con la forza delle immagini — di evangelizzazione e di documentazione di una testimonianza che si esprime «in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (Atti degli Apostoli, 1, 6).

(©L'Osservatore Romano - 26 settembre 2010)

1 commento:

laura ha detto...

bellissimo: Lo conosce e Lo ama davvero. Grazie Mons. Gaenswein!