mercoledì 24 novembre 2010

Il Papa: Direi che il semplice è il vero, ed il vero è semplice. Il nostro problema consiste nel fatto che, per i troppi alberi, non riusciamo più a vedere la foresta (Il capitolo "Gesù Cristo ritorna" de "Luce del mondo")

L'INTERVISTA DI BENEDETTO XVI CON PETER SEEWALD, "LUCE DEL MONDO. IL PAPA, LA CHIESA E I SEGNI DEI TEMPI": LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di mdeledda leggiamo questo bellissimo capitolo:

Gesù Cristo ritorna

di Redazione

GESÙ CRISTO RITORNA

Una volta fu chiesto a Robert Spaemann se un filosofo riconosciuto a livello internazionale come lui veramente credesse che Gesù nacque da una Vergine ed operò miracoli, che risuscitò dai morti e che con Lui si ottiene la vita eterna. Si tratterebbe di una vera e propria fede per bambini. E il filosofo ottantatreenne rispose: “Se vuole esprimersi in questi termini, sì, certo, più o meno credo alle stesse cose alle quali credevo da piccolo; con la differenza che nel frattempo vi ho riflettuto di più. La riflessione, alla fine, mi ha sempre rafforzato nella fede”. Anche il Papa crede ancora a quello che credeva da bambino?

Mi esprimerei in modo simile. Direi che il semplice è il vero, ed il vero è semplice. Il nostro problema consiste nel fatto che, per i troppi alberi, non riusciamo più a vedere la foresta intera; che con tutto questo sapere non troviamo più la sapienza. In questo senso anche Saint-Exupéry nel “Piccolo principe” ha ironizzato sull’intelligenza del nostro tempo, mostrando come essa trascuri l’essenziale e che invece il Piccolo principe, che di tutte quelle cose intelligenti nulla capisce, in fin dei conti vede di più e meglio. Qual è il punto? Che cosa è l’essenziale, cos’è quello che sorregge tutto? Vedere ciò che è semplice, tutto dipende da questo. Perché Dio non dovrebbe essere in grado di far scaturire la vita in una Vergine? Perché
Cristo non potrebbe risorgere? Certo, se sono io stesso a fissare quello che può e quello che non può essere, se sono io e nessun altro a definire i limiti del possibile, allora fenomeni simili sono da escludere. È un’arroganza dell’intelletto, dire: questo ha in sé qualcosa di contraddittorio, di insensato, già per questo è impossibile. Eppure non è cosa nostra decidere
quante possibilità cela il cosmo, quante se ne nascondano sopra e dentro il cosmo. Per mezzo dell’annuncio di Cristo e della Chiesa la conoscenza su Dio si avvicina a noi in modo ragionevole. Dio voleva entrare nel mondo. Dio voleva che non lo intuissimo da lontano, solo attraverso la fisica e la matematica. Si voleva mostrare a noi. E così potè anche operare quello che è riportato nei Vangeli. Così, nella Risurrezione, ha potuto creare una forma nuova di esistenza; al di là della biosfera e della noosfera ha posto in essere una nuova sfera, nella quale l’uomo e il mondo giungono in unità con Dio.

La realtà è fatta in modo tale – ammise il fisico nucleare Werner Heisenberg – per cui anche le cose più improbabili sono fondamentalmente immaginabili. La conclusione del premio Nobel era questa: “Il primo sorso dal bicchiere delle scienze naturali rende atei; ma in fondo al bicchiere ci attende Dio”.
Qui gli darei assolutamente ragione. Solo fintanto che si è inebriati dalle singole conoscenze, si afferma: “Di più è impossibile; ormai sappiamo tutto”. Nell’attimo, però, in cui si riconosce la grandezza inaudita dell’insieme delle cose, lo sguardo arriva più lontano e si impone la questione di un Dio dal quale tutto proviene.

Uno degli avvenimenti più straordinari del Pontificato sino ad oggi è stato la pubblicazione del primo volume del Suo libro su Gesù, al quale ora seguirà una seconda parte. È la prima volta che un Papa presenta uno studio teologico espressamente su Gesù Cristo. Sulla copertina, tuttavia, quale autore compare il nome Joseph Ratzinger.

Proprio perché non è un libro del Magistero, un libro che non ho scritto nella mia piena autorità di Romano Pontefice; si tratta invece di un libro che da tempo avevo in animo di scrivere quale ultima mia opera maggiore ed al quale avevo iniziato a lavorare prima della mia elezione a Papa. In modo del tutto cosciente non ho voluto porre un accento magisteriale, ma
cimentarmi nelle dispute teologiche e tentare di offrire un’esegesi, un’interpretazione della Scrittura che non seguisse uno storicismo positivista, ma includesse la fede come elemento dell’interpretazione. Questo naturalmente, nell’attuale panorama esegetico, rappresenta un rischio enorme. Ma se l’interpretazione delle Scritture vuole realmente essere teologia, allora questo deve esserci. E se la fede deve aiutarci a capire, allora essa non deve essere considerata come un ostacolo, ma come un aiuto, così che ci avviciniamo effettivamente di più a quei testi che provengono dalla fede e che vogliono condurci ad essa.

Un Papa non viene eletto per diventare autore di bestseller. Ma non Le sembra provvidenziale il fatto che Lei abbia potuto presentare questo libro nel momento in cui, dopo la piccola cattedra universitaria, con la cattedra di Pietro ha avuto a disposizione la più vasta platea del mondo?

Questo lo lascio dire al buon Dio. Ho voluto pubblicare il libro, per aiutare le persone. Se, sulla base della elezione a Papa, posso aiutarne ancora di più, naturalmente sono contento.

“Gesù di Nazaret” è la quintessenza di un uomo che per tutta la sua vita – come sacerdote, teologo, vescovo, cardinale ed ora come Papa – si è occupato della figura di Gesù. Che cosa Le stava più a cuore?

In quest’uomo Gesù – è veramente uomo – c’è più di un uomo. Ed il divino non è stato per così dire aggiunto a seguito di ampie mitizzazioni. No, sin dall’origine di questa figura, sin dalla più antica tradizione, sin dal primo incontro si manifesta qualcosa che sconvolge tutte le aspettative. Ogni tanto dico che all’inizio c’è lo straordinario; i discepoli lo recepiscono lentamente. All’inizio c’è anche la Croce. In un primo momento i discepoli tentano ancora di comprendere quell’avvenimento nel quadro di ciò che è comunemente accessibile. Solo lentamente si rivela loro tutta la grandezza di Gesù, ed essi vedono sempre più chiaramente la natura originaria di quella figura; quella per la quale nel Credo professiamo: Gesù Cristo, l’Unigenito Figlio di Dio.

Cosa vuole Gesù da noi?

Vuole che crediamo in Lui. Che ci lasciamo condurre da Lui. Che viviamo con Lui. Divenendo così sempre più simili a Lui e con ciò giusti.

Il Suo libro è un evento perché segna un cambio di paradigma, una svolta nell’esame e nel rapporto con i Vangeli. Il metodo storico-critico ha i suoi meriti, eppure ha anche dato avvio ad un fatale sviluppo negativo. La “demitologizzazione” ad esso propria non solo ha condotto ad un enorme appiattimento e ad una cecità nei confronti delle tante stratificazioni e dei messaggi più profondi della Bibbia. Oggi dobbiamo constatare che i presunti fatti degli scettici, che da duecento anni a questa parte relativizzano tutti i dati della Bibbia, molto spesso erano mere ipotesi. Non dovremmo affermare più chiaramente che in passato qui in parte si è esercitata una pseudo scienza che ha operato in modo non cristiano, anticristiano, fuorviando milioni di persone?

Non giudicherei così duramente. L’utilizzo del metodo storico per la Bibbia quale testo storico era una strada che andava percorsa. Se crediamo che Cristo è storia autentica e non mito, la testimonianza di Lui deve essere accessibile anche storicamente. A questo riguardo il metodo storico ci ha dato molto. Siamo di nuovo più vicini al testo ed alla sua origine, osserviamo con più precisione come è cresciuto e tanto altro ancora. Il metodo storico critico resterà sempre una dimensione della esegesi. Il Vaticano II ha chiarito da un lato rappresentando gli elementi essenziali del metodo storico critico come parte necessaria dell’accesso alla Bibbia, dall’altro però aggiungendo che la Bibbia va letta con lo stesso spirito con cui fu scritta. Deve essere letta nella sua interezza, nella sua unità. E questo è possibile unicamente se la si considera come libro del popolo di Dio che procedendo va incontro a Cristo. Non è necessaria sic et simpliciter una rottura quanto un’autocritica del metodo storico; un’autocritica della ragione storica, che riconosca i propri limiti e che ammetta una compatibilità con una conoscenza
che nasce dalla fede; in una parola: è necessaria una sintesi tra un’interpretazione storica razionale ed una esegesi guidata dalla fede. Dobbiamo condurre ambedue le cose l’una all’altra nel modo giusto. E questo corrisponde anche al rapporto fondamentale tra fede e ragione.

Certo è che Gesù è documentato non solo attraverso i Vangeli, ma anche da una svariata quantità di fonti extra-bibliche. Esse non lasciano dubbi né sulla sua esistenza storica, né sulla sua venerazione come il Messia da lungo atteso. Gli autori dei Vangeli hanno ricercato in modo preciso e trascritto in modo avvincente e credibile, senza cadere nella tentazione di livellare o glorificare alcunché. I dettagli dei loro resoconti coincidono con i fatti storici. Per dirlo più chiaramente: non c’è più dubbio che il Gesù storico ed il così detto “Gesù creduto” siano realtà assolutamente identiche?

Questo è stato per così dire il fulcro del mio libro, mostrare che il Gesù creduto è veramente anche il Gesù storico, e che la figura di Gesù, così come la mostrano i Vangeli, è molto più realistica e credibile delle tante altre rappresentazioni di Gesù che di continuo ci vengono presentate. Non solo sono prive di carne e sangue, ma anche irrealistiche, perché attraverso
di esse non si spiega come d’improvviso sia immediatamente presente qualcosa di totalmente altro, qualcosa che va al di là di tutto ciò che è abituale. È chiaro che Lei ha sollevato un vespaio di problemi storici. Io sarei più cauto e direi che ricerche specifiche, di dettaglio, rimangono importanti e utili, anche se la sovrabbondanza di ipotesi inizia a condurre all’assurdo. È chiaro che i Vangeli sono determinati anche dalla situazione concreta dei portatori della tradizione e si incarnano immediatamente nella fede. Ma non possiamo addentrarci in dettagli simili. L’importante è questo: è realistico, è storico solo il Cristo che i Vangeli credono, non quello che molte indagini hanno distillato ex novo.

I Vangeli non furono scritti molto tempo dopo l’accaduto, come per lungo tempo si è creduto, ma appunto quasi a ridosso degli eventi. Ed inoltre queste scritture ci sono state tramandate con una fedeltà al testo senza precedenti. Chi oggi legge il Nuovo Testamento, lo legge esattamente come è stato scritto duemila anni fa, a prescindere da un’incertezza nella traduzione di singole parole e da questioni stilistiche, come ha dimostrato Ulrich Victor sulla base delle sue ricerche. Questo significa che non vi è stata in realtà alcun “modellamento” o “rimodellamento” del messaggio di Gesù da parte della prima comunità cristiana o anche da parte di generazioni successive, come invece hanno sostenuto molti esegeti della Bibbia?

È chiaro innanzitutto questo: i testi relativi all’accaduto sono contemporanei. Grazie a Paolo soprattutto veniamo condotti a ridosso degli avvenimenti. La sua testimonianza dell’Ultima Cena e quella della Risurrezione – 1 Corinzi 11 e 15 – risale letteralmente agli anni trenta. In secondo luogo è anche chiaro ed evidente che i testi, in quanto testi sacri, sono stati trattati con sacro timore, sono prima stati fissati nella memoria e poi tramandati in forma scritta. Ma naturalmente giusto è anche il fatto – e lo vediamo dal confronto con i Vangeli sinottici – che i tre evangelisti Matteo, Marco e Luca tramandano la stessa e medesima cosa con leggere variazioni, fissando in modi differenti il contesto temporale e del fatto. Questo significa che coloro che hanno trasmesso la tradizione in certo qual modo hanno cercato di rapportarsi, per favorirlo, al modo di comprendere delle relative comunità, e da questo emerge ciò che è perenne rispetto a ciò che è transeunte. In questo senso bisogna considerare che non si tratta di notizie protocollari che per così dire dovrebbero essere nient’altro che fotografie. Si è
trattato di fedeltà rigorosa, ma di una fedeltà già vivente e operante, senza tuttavia con ciò condizionare l’essenziale.

Il teologo Joseph Raztinger dimostra con argomenti chiari con una logica impressionante che Gesù è colui al quale dato ogni potere, il Signore dell’universo, Dio stesso che è diventato uomo. L’apparire di Gesù ha cambiato il mondo come mai prima era accaduto. Questo apparire è la più grande cesura e il cambiamento più grande e radicale nella storia dell’umanità. Tuttavia vi sarà sempre un residuo di dubbio. Forse anche perché l’atto dell’Incarnazione di Dio in un uomo semplicemente va al di là della nostra capacità intellettiva?

Sì, in questo bisogna darLe assolutamente ragione. È semplicemente lasciato spazio alla libertà della decisione umana e del dire “sì”. Dio non si impone. Così come potrei accertare ad esempio che qui sul tavolo c’è un bicchiere: sì, è lì! La sua esistenza si manifesta in un incontro, che penetra nella più intima profondità dell’uomo e che tuttavia non può essere ridotto alla mera afferrabilità di un oggetto materiale. Così, rispetto alla grandezza di ciò che accade, è chiaro che la fede è sempre un accadere nella libertà. Questo accadere cela in sè la certezza che si tratta di qualcosa di vero, di reale, e tuttavia non esclude mai del tutto la possibilità del disconoscere.

L’occuparsi della vita e dell’insegnamento di Gesù non deve essere al contempo sempre un interrogare la Chiesa? Quando, anche come autore, ci si immerge di nuovo ancora una volta nella storia, non si ha una sensazione di turbamento e di tristezza al pensiero di quanto e quanto spesso la Chiesa ha deviato dalla strada maestra, indicatale dal Figlio di Dio?

Proprio in questo tempo segnato dagli scandali, abbiamo fatto esperienza di questa sensazione di tristezza e dolore, di quanto misera sia la Chiesa e di quanto falliscano i suoi membri nella sequela di Gesù Cristo. La prima cosa è che di questo dobbiamo fare esperienza, per la nostra mortificazione, per la nostra autentica umiltà. La seconda è che Egli, nonostante questo, non abbandona la Chiesa. Che Egli, nonostante la debolezza degli uomini nella quale essa si mostra, suscita in lei i santi ed è presente per mezzo di loro. Credo che i due sentimenti vadano insieme: il turbamento per la miseria e la peccaminosità nella Chiesa, e anche un altro turbamento, la commozione che nasce dal fatto che Egli non abbandona questo strumento, ma agisce per mezzo di esso; e che Egli si mostra sempre attraverso la Chiesa e in essa.

Gesù non porta solo una notizia, egli è anche il Salvatore, il “Christus medicus”, per usare un’antica espressione. In una società tanto rovinata e malata, della quale tanto abbiamo discusso in questa intervista, non sarebbe compito prioritario della Chiesa in particolare rendere chiaro che il Vangelo offre guarigione? Cristo confermò a sufficienza i suoi discepoli sul fatto che, insieme all’annuncio, avevano il potere di scacciare i demoni e di guarire

Sì, questo è decisivo. La Chiesa non grava gli uomini di un qualcosa, non propone un qualche sistema morale. Veramente decisivo è il fatto che essa dona LUI. Che apre le porte che conducono a Dio e che così dà agli uomini quello che maggiormente attendono, quello di cui hanno più bisogno e quello che può maggiormente aiutarli. Essa fa questo soprattutto per mezzo del grande miracolo dell’amore che sempre di nuovo accade. Gli uomini – senza ricavarne alcun profitto, senza farlo di mestiere – motivati da Cristo, assistono gli altri e li aiutano. Questo carattere terapeutico del Cristianesimo,che guarisce e dà gratuitamente, dovrebbe in effetti emergere molto più chiaramente.

Un grande problema per i cristiani è l’essere esposti ad un bombardamento permanente da parte del mondo contro i valori alternativi che offre la cultura cristiana. In fin dei conti, è impossibile opporsi a questa propaganda mondiale di comportamenti negativi?

In effetti abbiamo bisogno in certo qual modo di isole, nelle quali viva e dalle quali si diffonda la fede in Dio e la profonda semplicità del Cristianesimo; oasi, arche di Noè, nelle quali l’uomo può sempre trovare rifugio. Rifugi, spazi protetti sono quelli liturgici. Ma la Chiesa offre difese immunitarie anche con le diverse comunità e movimenti, nelle parrocchie, nella amministrazione dei sacramenti, negli esercizi di pietà, nei pellegrinaggi e così via, nei quali, al contrario di ciò che di sfasciato ci circonda, si manifesta la bellezza del mondo e la
bellezza della vita.

© Copyright Tempi, 24 novembre 2010 consultabile online anche qui.

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