venerdì 11 dicembre 2009

Benedetto XVI contro il carrierismo ecclesiale (Francesco Antonio Grana)


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Su segnalazione della nostra Laura leggiamo:

Benedetto XVI contro il carrierismo ecclesiale

FRANCESCO ANTONIO GRANA

“La Chiesa ha continuamente bisogno di purificarsi, perché il peccato insidia tutti i suoi membri.
Nella Chiesa è sempre in atto una lotta tra il deserto e il giardino, tra il peccato che inaridisce la terra e la grazia che la irriga perché produca frutti abbondanti di santità”.
Leggendo queste affermazioni non possiamo parlare di un Benedetto XVI inedito.
Non è, infatti, la prima volta che il Papa parla della Chiesa in maniera fortemente critica.
Nella lettera ai vescovi di tutto il mondo sulla revoca della scomunica ai lefebvriani, il Papa aveva sottolineato che anche nella Chiesa ci si morde e divora, come espressione di una libertà mal interpretata. E ordinando cinque vescovi, nel settembre scorso, aveva espresso un duro monito contro il carrierismo episcopale.
“Sappiamo - disse allora il Papa - come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”.
Andando ancora più indietro con la memoria, ma qui a parlare era il cardinale Ratzinger, c’è l’ormai famosa meditazione per la nona stazione della via crucis del 2005 al Colosseo.
“Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. E proseguì: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano.
Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa, Adamo cade sempre di nuovo. Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai più a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto”.
Un’autocritica forte quella dell’architrave del pontificato wojtyliano che dopo soltanto venticinque giorni da quella sera del venerdì santo, sarebbe stato eletto Papa.
“Non ci si può dire discepoli di Gesù se non si ama e non si segue la sua Chiesa”, aveva detto il Papa all’Agorà dei giovani italiani nel 2007 a Loreto. Ma ciò che quotidianamente si sta verificando all’interno dei gruppi e delle realtà ecclesiali, è che l’amore per la Chiesa non è sostenuto da una sua approfondita conoscenza. Si ama, in definitiva, una Chiesa che non si conosce. Si può definire questo amore? “È meglio essere cristiani senza dirlo, che dirlo senza esserlo”, affermava diversi secoli fa sant’Ignazio di Antiochia.
Non è certamente facile far comprendere che il magistero del Papa o di un vescovo non è composto solo dai grandi gesti che tanto amano i media, e che talune volte, come con Giovanni Paolo II, costituiscono una vera e propria enciclica non scritta. Il magistero vero e proprio rimane spesso oscuro ai più, anche all’interno della Chiesa. Tanti parlano dell’ultima enciclica papale, la “Caritas in veritate”, ma quanti l’hanno letta, meditata e approfondita. L’allontanamento dei membri della Chiesa, consacrati e laici, dall’insegnamento di Cristo spalanca inevitabilmente le porte al male, arrivando perfino a giustificare ogni atteggiamento privo di qualsiasi fondamento etico. Si va così alimentando, come Benedetto XVI ha indicato nell’Angelus di domenica scorsa, il deserto dentro la Chiesa, l’aridità dei suoi membri.
L’invito del Papa a contribuire a far crescere il giardino e a produrre frutti nella Chiesa è chiaro, ma deve esserlo altrettanto la consapevolezza che se il chicco di grano caduto in terra non muore, non produce frutto. C’è bisogno dunque di una vera purificazione all’interno della Chiesa, in ogni sua componente. C’è bisogno di far morire il carrierismo ecclesiale e di ritornare ad annunciare il Vangelo di Cristo. E Benedetto XVI in questo è maestro.

© Copyright L'Avanti, 9 dicembre 2009

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Bell'articolo. Bellissima la definizione del Papa come "architrave del pontificato wojtyliano". Mi fa venire in mente l'affresco di Giotto nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi in cui è raffigurato il sogno di Innocenzo III di Francesco che sorregge la Chiesa. Del resto non è quello che quotidianamente e instancabilmente fa Benedetto XVI, ridando forza e speranza ai tanti presbiteri, diaconi, seminaristi e semplici fedeli che, pur tra mille insidie e difficoltà, si sforzano di vivere e testimoniare il Vangelo? Maria Pia

sam ha detto...

Scusa raffaella, l'O.T. ma volevo aggiungere una mia (lunga) riflessione al post "Sulla polemica tra la Lega e Tettamanzi è stato detto troppo ma non tutto (Fonte). Una riflessione "a freddo".
Però non me lo lascia fare perchè non ho un account di Google. Come faccio?

Raffaella ha detto...

Ciao Sam, ho chiuso i commenti sul blog precedente.
Puoi scrivere qui:

http://paparatzinger3-blograffaella.blogspot.com/2009/12/sulla-polemica-tra-la-lega-e-tettamanzi.html

:))

sam ha detto...

Grazie!