domenica 28 febbraio 2010
Il Papa: «Ascoltare Dio, nella Chiesa. Così l’uomo diviene se stesso» (Muolo)
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«Ascoltare Dio, nella Chiesa. Così l’uomo diviene se stesso»
DA ROMA
MIMMO MUOLO
Consacrazione e missione.
Ascolto della Parola e vita nella Chiesa. Figure esemplari di santi e vita cristiana di tutti i giorni. Sono questi gli argomenti principali che il predicatore degli esercizi spirituali del Papa ha presentato a Benedetto XVI e alla Curia Romana, durante la settimana terminata ieri mattina con un breve discorso del Pontefice. Le prime parole pronunciate da Papa Ratzinger dopo giorni di attento ascolto sono state di ringraziamento per il predicatore salesiano, don Enrico dal Covolo, che nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico, ha tenuto le sue «lezioni di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale».
Benedetto XVI ha definito l’itinerario tracciato dal religioso un modo «appassionato e molto personale» di riflettere sul ministero del sacerdozio e una guida «nel cammino verso Cristo, nel cammino di rinnovamento » della vocazione. Il Papa ha voluto sottolineare così il viaggio intrapreso, assieme ai suoi più stretti collaboratori di Curia, sulla scorta delle meditazioni del predicatore, chia- mato affettuosamente «don Enrico». Il Pontefice ha mostrato di apprezzare proprio l’aspetto dell’ascolto intimo, profondo.
Quello che – come ricordato durante gli esercizi – Salomone chiese e ricevette come grazia, «la docilità di un cuore capace di ascoltare Dio». «In realtà – ha sottolineato Benedetto XVI – mi sembra che qui sia riassunta tutta la visione cristiana dell’uomo. L’uomo non è perfetto in sé, l’uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Ha bisogno dell’ascolto, dell’ascolto dell’altro, soprattutto dell’Altro con la A maiuscola, di Dio. Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso».
Questo tipo di ascolto, ha proseguito il Pontefice, è segno di una sapienza possibile solo nella comunione della Chiesa. Come quella che Benedetto XVI ha rivelato di aver contemplato in questi giorni in uno degli splendidi mosaici che ornano la Cappella Redemptoris Mater, opera di padre Rupnik, che ritrae la Vergine, definita «Trono vivente della Saggezza», con in grembo Cristo, la «Sapienza incarnata». «I Padri della Chiesa – ha ricordato il Papa – dicono che nel momento della concezione del Verbo eterno nel grembo della Vergine lo Spirito Santo è entrato in Maria tramite l’orecchio. Nell’ascolto ha concepito la Parola eterna, ha dato la sua carne a questa Parola. E così ci dice che cosa è avere un cuore in ascolto». In sostanza l’esempio di Maria, circondata «dai padri e dalle madri della Chiesa, dalla comunione dei santi», ci fa capire che «non nell’io isolato possiamo realmente ascoltare la Parola: solo nel noi della Chiesa, nel noi della comunione
dei santi».
Benedetto XVI ha quindi ricordato i cosiddetti «medaglioni» sacerdotali presentati da don Enrico dal Covolo, che hanno dato concretezza alla riflessione sulla vocazione al ministero ordinato. Cinque ritratti esemplari di presbiteri, da san Giovanni Maria Vianney a Giovanni Paolo II, con un preambolo incentrato sulla concezione che del sacerdozio avevano i Padri antichi, da sant’Agostino a sant’Ignazio di Antiochia. Tra i medaglioni di figure storiche, che comprendono anche il servo di Dio don Giuseppe Quadrio (un salesiano nato nel 1921 e morto nel 1963), il predicatore ha voluto inserirne anche un personaggio della letteratura: il famoso Curato di campagna di Georges Bernanos.
Grazie a tutti questi esempi, ha ricordato il Pontefice, «abbiamo realmente di nuovo percepito che cosa vuol dire essere sacerdote, divenire sempre più sacerdoti. Lei – ha aggiunto rivolgendosi a don dal Covolo – ha anche sottolineato che la consacrazione va verso la missione, è destinata a divenire missione. In questi giorni abbiamo approfondito con l’aiuto di Dio la nostra consacrazione. Così, con nuovo coraggio, vogliamo adesso affrontare la nostra missione. Il Signore ci aiuti. Grazie a lei per il suo aiuto, don Enrico», ha concluso il Papa .
© Copyright Avvenire, 28 febbraio 2010
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