sabato 27 febbraio 2010

Alcune reazioni della stampa alla visita in Sinagoga (Giuseppe Di Leo)


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Alcune reazioni della stampa alla visita in Sinagoga

Giuseppe Di Leo

“Momento di grazia” ha intitolato il suo editoriale il direttore dell’ Osservatore Romano Giovanni Maria Vian a commento della visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma del 17 gennaio scorso. “Preceduta da bagliori polemici - ha scritto Vian - la visita ha invece mostrato come decisa sia la comune volontà di affrontare le questioni aperte nel rapporto fra ebrei e cattolici. Spesso i contrasti sono frutto di enfatizzazioni mediatiche”. Solo enfatizzazioni mediatiche? Non sono d’accordo.
Certo se il rabbino Giuseppe Laras si dimostra contrario alla visita papale sceglie le colonne di un giornale per spiegare i suoi motivi, ma in questo caso i mass media sono lo strumento non la causa delle “enfatizzazioni”.
Anche il rabbino di Roma Riccardo Di Segni - oltre che nelle considerazioni rilasciate a “Il Consulente RE” - in un’intervista al Corriere della Sera quarantotto ore dopo l’evento, ha espresso qualche riserva sugli esiti della visita ratzingeriana. Per esempio, sul mancato accenno nel discorso papale a Israele (“In altre sedi non è mancato”) e al problema della beatificazione di papa Pacelli (“E’ bene aprire subito gli archivi per capire”).
L’Osservatore Romano pone l’accento sull’importanza di questa visita. Scrive Gianluca Biccini: “Due ore che significano un’altra pietra miliare nel cammino del dialogo tra cattolici ed ebrei. (...) E’ il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra Aetate, il punto fermo. E indietro non si torna. Ventiquattro anni dopo Giovanni Paolo II, che il 13 aprile 1986 visitò la Sinagoga più grande di Roma, Papa Ratzinger è tornato dall’altra parte del Tevere in occasione del Mo’ èd (festività) di Piombo, ricorrenza della comunità ebraica romana che si celebra il 2 del mese di shevàt, in ricordo di un avvenimento considerato miracoloso: nel 1793, infatti, la pioggia torrenziale caduta da un cielo livido come il piombo impedì l’assalto al ghetto di alcuni facinorosi convinti che gli ebrei aiutassero i sostenitori della rivoluzione francese”.
Commentando sul quotidiano vaticano la visita papale, la storica Anna Foa ha rilevato che “Benedetto XVI non ha legato questo incontro (...) alla questione di Pio XII (...). Perché il discorso del Pontefice è stato netto, richiamando quanto già affermato solennemente da Giovanni Paolo II sulle colpe dell’antigiudaismo nella Shoah. (...). Altrettanto deciso è stato il richiamo del Papa al Concilio Vaticano II, un tema su cui il rav Di Segni aveva posto un aperto interrogativo. La dottrina conciliare, ha detto il Pontefice, rappresenta per i cattolici un punto fermo. (...) Ancora più importanti, anche se hanno attirato meno l’attenzione dei media, sono stati i risvolti teologici del discorso di Benedetto XVI: il discorso sull’irrevocabilità della elezione dei figli di Abramo, e quello sull’intimo legame esistente fra ebraismo e cristianesimo. Se il primo di questi punti elimina ogni possibilità di riprendere l’antico discorso della Chiesa sulla sostituzione, l’altro è un punto assai delicato perché implica una rilettura delle radici stesse della separazione fra cristianesimo ed ebraismo, ed è tale da suscitare difficoltà e timori tanto nel mondo cattolico che in quello ebraico. Il fatto che esso sia stato posto implica da parte della Chiesa la volontà di fare dei passi anche in questa difficile direzione”.
Che indietro non sia possibile tornare è l’opinione espressa dal vaticanista Giancarlo Zizola sul quotidiano La Repubblica. Osserva Zizola: “Ora il fatto che da Giovanni XXIII al Papa attuale siano già cinque i Papi favorevoli al dialogo con l’ebraismo dovrebbe assicurare i timorosi che questa opzione non è congiunturale, ma si fonda sulla messa in valore di elementi fondamentali comuni anteriormente eclissati”.
Il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ha nel suo intervento fatto rilevare che i silenzi di Pio XII ci sono stati e che oggi si rischia di ripetere lo stesso errore con la questione dell’atomica dell’Iran.
Su questo punto il vaticanista apprezza invece la prudenza diplomatica del Papa: “Ma se avesse scelto di lasciare in guardaroba le cautele diplomatiche e seguire Riccardo Pacifici sui carboni ardenti dei silenzi di Pio XII e della politica anti-israeliana dell’Iran, non gli sarebbe stato difficile ricordare che furono i persiani a liberare gli ebrei dall’esilio babilonese, a riportarli a Gerusalemme e ricostruire il Tempio”.
Il filosofo francese Bernard Henry Levy, intervenendo dalla colonne del Corriere della Sera critica un certo atteggiamento preconcetto su tutto ciò che fa e dice papa Ratzinger.
La mette in questi termini: “Bisognerebbe smetterla con la malafede, il partito preso e, per dirla tutta, la disinformazione, non appena si tratta di Benedetto XVI. Fin dalla sua elezione, si è intentato un processo al suo “ultraconservatorismo”, ripreso di continuo dai mass media. (...) Si sono falsificati, puramente e semplicemente, i testi: per esempio, a proposito del suo viaggio ad Auschwitz del 2006, si sostenne e ancor oggi si ripete che avrebbe reso onore alla memoria dei sei milioni di morti polacchi, vittime di una semplice banda di criminali, senza precisare che la metà di loro erano ebrei. (...). Quanto alla vicenda molto complessa di Pio XII (...) dobbiamo per esattezza storica precisare che, prima di optare per l’azione clandestina, prima di aprire, senza dirlo, i suoi conventi agli ebrei romani braccati dai fascisti, il silenzioso Pio XII pronunciò alcune allocuzioni radiofoniche (per esempio Natale 1941 e 1942) che gli valsero, dopo la morte, l’omaggio di Golda Meir”.
Sulla questione pacelliana il direttore dell’Osservatore Romano nel commento succitato si dice abbastanza certo che “bisogna essere consapevoli che nemmeno dopo l’apertura di tutti gli archivi disponibili vi sarà accordo sul suo atteggiamento di fronte alla Shoah, perché questo resterà, ovviamente e legittimamente, il campo delle interpretazioni storiche”. Sono d’accordo.

© Copyright Il Consulente RE, febbraio 2010

2 commenti:

sonny ha detto...

Ciao Raffaella. Invito tutti gli amici del blog a elevare preghiere per l'ennesima tragedia che si è abbattuta sul nostro pianeta, questa volte in Cile. Le proporzioni di questo sisma non fanno presagire nulla di buono, ma speriamo, speriamo... Grazie e buona giornata a tutti.

Anonimo ha detto...

A parte le molte considerazioni fattibili sull'evento io ho sofferto un po':

- quando il il Papa ha detto che i nazisti, con la shoah, volevano uccidere Dio, quando Dio è stato già ucciso nella Persona del nostro Signore Gesù ed è questo l'unico 'olocausto' che salva l'umanità e che può assurgere a dogma di fede, non un fatto storico, sia pure orrendo e deprecabile come la shoah

- quando il papa ha detto che preghiamo lo stesso Dio che, se è lo stesso in Sé, dal momento che il Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe si è rivelato in maniera definitiva è il nostro Signore Gesù, che ci inserisce in un rapporto vivo, personale intimo con la S.S. Trinità, che gli ebrei non riconoscono... Quindi se è vero che si matura connaturalmente a CHI si Adora ('configurazione' Paolina a Cristo), non si può dire che noi adoriamo lo stesso Dio degli ebrei (ricordiamo le parole di Gesù alla Samaritana...)

- quando il papa si è lasciato dire le pesanti parole di Di Segni (esegesi su Popolo terra nazione e conseguente interpretazione A.T., istruzioni su Pio XII, ingiunzioni su un concilio della Chiesa: ma loro cosa c'entrano?)

- quando, ancora presente il Papa, è stato intonato il canto "noi aspettiamo il messia che verrà": padronissimi, ma per noi è già venuto

Queste cose, con tutto il dovuto rispetto per gli ebrei, avranno un senso o no?
Non è che la Chiesa è un po' troppo e indebitamente 'prona' nei confronti dei fratelli naggiori? Rispetto non è = subordinazione...