venerdì 10 settembre 2010

L’importanza del viaggio di Benedetto XVI in un’Inghilterra che sta perdendo la sua identità (Francesco Agnoli)


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L’importanza del viaggio di B-XVI in un’Inghilterra che sta perdendo la sua identità

di Francesco Agnoli

Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a delegare troppo.
Ciononostante il Papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra. Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti, il Papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati “papisti”. Fu proprio Enrico a inaugurare la politica della calunnia come arma principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona.
Il popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma. Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà della chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere. La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali, in cui il Papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII.
Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il Papa nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana. Per capire come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La chiesa cattolica” di G.K.Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare la sua conversione al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi, riviste, che li portano a un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda: la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto a una fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “In questo senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro. Parte da lì e non va mai oltre”. Il cattolico universalista considera l’amore per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva invece nella teoria prussiana dello stato e, troppo spesso, in quella britannica dell’impero”.

Da Newman a Marshall

Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla chiesa di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello splendido “A ogni uomo un soldo”, sino a R.H.Benson ed Evelyn Waugh… Tutti questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità, evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro hanno amato nella chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo.
Poi, in seguito al Concilio Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione dell’ecumenismo.

Così abbiamo assistito a un fenomeno che per un cattolico è provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di rientrare nella chiesa di Roma! Questo ritorno in massa è stato favorito senza dubbio da più elementi.

Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica oggi, nel mondo anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone, Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed, mentre gli aborti sono ben 500 al giorno. Numeri che dicono della graduale sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino.
Inevitabile che mentre l’odio contro Benedetto XVI monta, cresca anche il numero dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo. “La chiesa cattolica – scriveva Chesterton – è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i vecchi dogmi di un’epoca erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane sempre “nuovo”, e attuale.

© Copyright Il Foglio, 9 settembre 2010

1 commento:

Anonimo ha detto...

Articolo bello ed interessante. I britannici sono un popolo in via di estinzione, a ritmo di 500 aborti al giorno, esattamente come gli Italiani che, a sentire il Wall Street Journal, si ridurranno a 10 milioni tra 90 anni. E una delle reazioni a questo declino nel Regno Unito è rappresentata dalle conversioni al cattolicesimo, di cui tanti subiscono il fascino della liturgia latina (in latino, anzi). Peccato che sia troppo tardi per incontrarci a metà strada. E' da termpo che noi abbiamo intrapreso il percorso inverso per scopiazzare la loro lingua, i loro vezzi e le loro approssimative musichette in Chiesa.
Eravamo uno dei paesi più prolifici al mondo ed abbiamo iniziato a spegnerci quando col Concilio Vaticano II abbiamo rinunciato alle nostre tradizioni (parlo della liturgia) per approdare, felici, al regime del relativismo democratico ed anglosassone. Scusate se sono semplicistico (è il semplicismo degli ignoranti, il mio).
Erano gli anni dei Beatles, che con le loro canzoni ci hanno fatto infatuare della loro incomprensibile lingua (non per niente sono stati nominati Baronetti dalla Regina) e, da allora, qualsiasi massaia o contadina britannica può ammantarsi del ruolo di "Professor" per insegnare la sua lingua ai nostri figli, ospitati a casa sua a suon di sterline nei periodici viaggi-studio a cui ci sentiamo costretti per non fare la figura dei provincialotti.
E ora, finalmente, si scopre che abbiamo torto noi e avevano ragione i nostri vecchi. E i britannici che oggi si riaccostano al cattolicesimo lo fanno avendo loro (i nostri vecchi) a riferimento e non noi evoluti ed angloparlanti italiani excattolici moderni.