martedì 18 maggio 2010

Domenica in Piazza San Pietro: una memorabile giornata da figli rigenerati dall’abbraccio col padre (Paolucci)


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Una memorabile giornata da figli rigenerati dall’abbraccio col padre

GIORGIO PAOLUCCI

«Ma chi te lo fa fare?
Vale proprio la pena fare 1200 chilometri in un giorno? Perché il Papa non lo guardiamo in tv, seduti in poltrona a casa mia?». L’invito dell’amico era suonato come una sottile tentazione che s’insinuava nel progetto di un faticoso viaggio domenicale da Milano a Roma e ritorno, e nella stanchezza fisica di questo periodo. Ma alfine era prevalso il desiderio di andare da Pietro, aderendo all’invito lanciato da movimenti e associazioni laicali. Per abbracciarlo il più vicino possibile, per regalargli vicinanza e affetto in un momento in cui le falle hanno fatto entrare tanta acqua sporca nella barca che lui guida.
Sveglia alle 5, dopo un sabato di intenso lavoro, con poche ore di sonno alle spalle. Ma c’è chi già mi ha preceduto: la sera prima, rincasando, avevo visto centinaia di studenti salire sui pullman che li avrebbero portati a Roma per lo stesso motivo. Strano popolo della notte, di un sabato notte abitato da gente della stessa età pronta a celebrare in pub e discoteche i riti dello sballo di fine settimana.
E insolito anche il popolo che ha riempito il Frecciarossa in partenza alle 5.45 di domenica dalla Stazione Centrale di Milano. Giovani, vecchi, intere famiglie.
«Anch’io vada dal Papa, con i miei tre fratelli, mamma e papà», dice orgogliosa la bimba con gli occhi azzurri che mi siede accanto sul treno.
Alle 11, in una piazza che già da ore brulica di gente e che ormai è quasi piena, la preghiera carica di attesa, nello scenario multicolore dei movimenti e delle associazioni, diversi e radunati dall’unica fede. Si prega per le vittime di abuso e per chi di loro ha abusato, per le migliaia di preti che spendono l’esistenza nell’entusiasmante fatica dell’educare e che – Dio sia lodato – hanno tirato grande anche me, e mi hanno fatto conoscere la bellezza dell’esser cristiani. Vengono lette le parole dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI appena divenuto Papa, cariche di un’impressionante attualità: 'Il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini (…).
Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi'.
Quando l’atteso si affaccia alla finestra, è un tripudio di applausi e di bandiere. E dal colonnato del Bernini che abbraccia la piazza sale verso di lui un incontenibile abbraccio di 200mila figli al padre.
Ringrazia per quel tributo d’affetto, il Papa, ringrazia tre, quattro, cinque volte, supera la consueta e contenuta soddisfazione, apre le braccia in un’evidente commozione che anche noi, piccoli uomini col naso all’insù, da lontano riusciamo a percepire. Dalla piazza guardiamo verso l’alto, e lui ci invita a farlo anche quando la vita preme. «Osservate più spesso le stelle – dice citando lo scrittore russo Pavel Florenskij –. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo.
Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, intrattenetevi col cielo.
Allora la vostra anima troverà la quiete».
Dicevano che c’era bisogno di questa giornata, di questa testimonianza di popolo. Dicevano che lui aveva bisogno di noi. Guardandolo ed ascoltandolo, scopriamo che siamo noi ad avere bisogno di lui. Di Pietro che ci confermi nella fede. Di Pietro che continui a guidare la barca nel mare in tempesta.
Sono i figli che hanno bisogno del padre, perché solo chi è generato diventa capace di generare. Chi è andato a Roma, domenica, ha capito di più sulla sua pelle cosa significa essere figli. Fosse solo per questo, valeva la pena fare quei 1200 chilometri in treno.

© Copyright Avvenire, 17 maggio 2010

1 commento:

laura ha detto...

Qundo il Papa parla ci rendiamo sempre conto che è Lui a guidare e a confortare, anche se chiede aiuto e preghiere