giovedì 22 luglio 2010

Padre Flaminio Rocchi: In Istria i preti non vogliono l'italiano


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo questo importante contributo su una realta' che purtroppo, e colpevolmente, noi italiani ignoriamo:

In Istria i preti non vogliono l'italiano

Scritto da Padre Flaminio Rocchi

Nel 1740 la salma del vescovo di Fiume, Giorgio Francesco de Marotti fu inumata nella Cattedrale di S. Vito, davanti all'altare di S. Francesco Saverio. La pietra tombale portava l'epigrafe in latino. Ma quel nome italiano bruciava anche sotto le scarpe croate. Il parroco, Mons. Linic, ha tolto la lapide e l'ha sostituita con un' altra con un'iscrizione croata ed ha fatto scomparire le ossa del vescovo italiano. Eppure — dice la rivista «Panorama», edita a Fiume — che la sorella del vescovo italiano è stata una grande benefattrice della cattedrale di S. Vito e che la nuova lastra tombale grigia "sta come i cavoli a merenda nel contesto del bel barocco di San Vito". Nel cimitero di Fiume una lapide del 1800 riportava i nomi italiani di alcune suore. La lapide è stata sostituita; la nuova riporta gli stessi nomi delle suore defunte, ma nella grafia croata.
Francesco Craglietto di Lussingrande, ricco antiquario a Venezia, nel 1808 aveva comperato presso la vecchia Chiesa veneziana di S. Croce le quattordici stazioni della Via Crucis. La chiesa era stata sconsacrata; egli offrì le artistiche immagini alla sua Chiesa di Lussingrande. Sono tuttora appese lungo le pareti del Duomo. Ognuna della quattordici cornici comprendeva alla base un listello di legno con scritto in italiano: "Gesù condannato a morte", "Gesù cade sotto la croce", ecc. Ma al prete croato non piaceva che si dicesse in italiano che Gesù era stato condannato a morte.
Segò i quattordici listelli con i ventotto candelieri e li buttò in soffitta. Un insulto all'arte delle cornici, alla generosità di Craglietto e alla devozione dei fedeli. Il prete croato ha chiesto e ottenuto generose offerte dai profughi di Lussingrande per riparare la chiesa. Egli afferma che siamo tutti fratelli.
Ma nonostante numerose richieste e sottoscrizioni si rifiuta di rimettere le quattordici scritte italiane. Un'ottusa e colpevole pulizia etnica religiosa.
Nel cimitero della stessa cittadina c'era una bella tomba del sacerdote Don Paolo, deceduto negli anni '20.
Ma i morti di una famiglia croata gli hanno dato lo sfratto dalla sua dimora eterna. Hanno spezzato il Vangelo in marmo, hanno violato la copertura tombale, hanno rinchiuso in un sacco nero dell'immondizia le sue ossa e le hanno buttate via.
Mons. Bommarco, francescano, profugo da Cherso, arcivescovo di Gorizia, usa passare alcuni giorni presso una sorella nell'isola di Cherso. Don Bandera è un vecchio e buon parroco di Caisole, la Caput Insulae dei romani, ora ridotta a un borgo.
Nel 1988 ha invitato l' arcivescovo Bommarco a celebrare una santa Messa in un'antica chiesina per ricordare il 50° anniversario del congresso eucaristico del 1938. Il prelato ha accettato con semplicità evangelica. Ma il vescovo croato della locale diocesi ha inviato al parroco una missiva urgente: "la Messa non la celebrerà l'arcivescovo italiano, ma il parroco croato di Cherso".
Lo stesso vescovo croato è entrato un giorno nel monastero delle monache benedettine di Cherso: cinque slovene e tre croate. «Le cinque slovene — ha detto il vescovo — non possono stare nel monastero croato».
Le povere donne non hanno compreso: «Siamo poche; abbiamo eletto un'abadessa slovena. Andiamo completamente d'accordo». C'è voluto un ispettore del Vaticano per calmare il vescovo.
Per volontà testamentaria la salma di Giorgina Colazio, di 92 anni, è stata trasportata dall'Italia a Fiume per essere seppellita nella tomba di famiglia. Un cappuccino ha celebrato la Messa ed ha tenuto un lungo discorso croato nella chiesa dell'Immacolata. I figli e i parenti, venuti dall'Italia, non hanno capito nulla. Gli hanno chiesto di salutare la defunta in italiano: «Qui si prega solo in croato» ha risposto il frate.
Nella mia isola, è morta recentemente una mia vecchia cugina. Il figlio e i parenti, venuti dall'Italia, hanno assistito al rito in lingua croata. Il figlio, che non la comprende, ha chiesto al prete di concludere con un "Padre Nostro" in italiano, come sua madre gli aveva insegnato, Il prete, andandosene, ha mormorato in italiano: «Io non posso riaprire il rito funebre per recitare un Padre Nostro in italiano».
Mons. Anton Bogetic, vescovo di Parenzo e Pola, in una lettera inviata ai suoi parroci il 23 aprile 1993, li ha invitati a non rilasciare certificati di battesimo e di matrimonio a coloro che li chiedono per alimentare la loro origine italiana. Durante l'ultimo censimento i parroci e molti bollettini parrocchiali hanno invitato i fedeli a dichiararsi croati, sloveni, serbi, bosniaci, ma non italiani.
Don Bojan Rauber, parroco da 30 anni a Capodistria, celebrava la Messa in sloveno, ma quando il Santuario di Semedella si riempiva di pellegrini da Trieste, parlava in italiano. Per questo nell'agosto 1993 il vescovo sloveno Metod Pirith lo ha trasferito. A nulla sono valse le lunghe petizioni dei fedeli. Alla Messa di addio ha voluto assistere anche il Dott. Luigi Solari, ambasciatore d'Italia a Lubiana.
Nel febbraio 1993 la Comunità degli Italiani di Rovigno ha chiesto ufficialmente al vescovo di Pola l'invio di sacerdoti italiani. Si sono dichiarati subito disponibili Don Ettore Malnati e Don Marcello Glustich. I salesiani italiani, che hanno operato a Rovigno dal 1913 al 1947, hanno chiesto di riaprire il loro istituto. Le suore del Sacro Cuore hanno chiesto di ritornare a Fiume. Nulla da fare. Eppure a Gorizia Mons. Bommarco ha fatto venire da Lubiana tre preti sloveni per assistere la Comunità slovena e nella città fa celebrare 13 Messe in sloveno per fedeli che conoscono perfettamente la lingua italiana. Altrettanto ha fatto Mons. Lorenzo Bellomi a Trieste (cinque per cento slovena) e fa celebrare 43 Messe in sloveno.
Domenica 23 gennaio 1994, il Papa ha celebrato nella Basilica di S. Pietro una Messa solenne per la pace nella ex Iugoslavia. Nella Basilica c'erano cardinali, vescovi, sacerdoti, una folla di italiani e una minoranza di slavi. Le letture e alcuni canti e preghiere sono stati fatti in lingua slava con la soddisfazione di tutti.
Ma perché non si fa così anche in Istria?
Queste considerazioni possonono sembrare freddamente politiche. C'è una profonda ragione spirituale derivante dai miei numerosi contatti con gli italiani rimasti. Questi avevano aderito a Tito e al suo comunismo ateo.
«Dopo 50 anni — mi dicono —è difficile ritornare in chiesa. I nuovi preti sono croati, dicono a stento la Messa in italiano. Non conoscono la lingua, né il carattere italiano per diventare una guida spirituale, confidenziale, un amico che ti riporta a Dio».
Ho proposto una soluzione intermedia. Una quindicina di comunità religiose italiane, fuggite in Italia, hanno ceduto i loro conventi a religiosi croati e sloveni dello stesso Ordine. Così a Monte Santo, Capodistria, Pirano, Strugnano, Daila, Pisino, Rovigno, Pola, Fiume, Lussinpiccolo, Neresine, Cherso, Zara. Questi conventi potrebbero ospitare, per lo meno a Natale, Pasqua, d'estate, un religioso italiano dello stesso Ordine che si metta a disposizione dei fedeli. Il Concilio Vaticano II ha introdotto nella liturgia le lingue nazionali. Non dobbiamo inquinarle col veleno politico.

http://www.coordinamentoadriatico.it/index.php?option=com_content&task=view&id=131&Itemid=40

5 commenti:

Andrea ha detto...

Un grande grazie a padre Rocchi per il limpido articolo. Io non ho legami personali con l'Istria, ma la situazione è drammaticamente evidente.
Oltre all'angoscioso aggancio con le stragi del '45-'50, c'è un tema che è di fondamentale importanza nei nostri tempi travagliati: ha senso una "Chiesa nazionale"? l'uso della lingua è uno strumento per comunicare al popolo di Dio o è un'espressione del popolo per plasmare una "sua" Chiesa?
Le risposte sono ovvie, in temini di sana dottrina: Una-Santa-Cattolica (=universale)-Apostolica!
Ecco perché, come dicevamo giorni fa, non si può intitolare il sito diocesano milanese "Chiesa DI Milano"

Anonimo ha detto...

Queste cose padre Rocchi, scomparso, le ha scritte 15 anni fa. Ora la situazione è di gran lunga peggiorata. Però sia la Slovenia che la Croazia, che devono la loro nascita soprattutto a Giovanni Paolo II, si sono affrettate a varare i pacs e non appoggiano l'Italia per il ricorso sul crocifisso. Eufemia

Anonimo ha detto...

"Il Concilio Vaticano II ha introdotto nella liturgia le lingue nazionali. Non dobbiamo inquinarle col veleno politico...".
Bel risultato, eh?

sam ha detto...

A Medjugorje la Messa grande quotidiana (poi ce ne sono altre nelle lingue dei pellegrini) viene celebrata in Croato, il Vangelo viene letto in tutte le lingue dei sacerdoti concelebranti (mediamente diverse decine per una decina di lingue), dall'Italiano al Vietnamita, mentre tutto il rito di Consacrazione è in latino.
La Madonna sta insegnando l'universalità, il cattolicesimo, anche ai nazionalisti.....

Anonimo ha detto...

il vero nome Padre Flaminio Rocchi e Anton Sokolic.Nato nel 1913 a Neresine, e morto nel 2003, era di famiglia croata.
Come si dice a Montenegro;non avere paura dei turchi ma dei "turchi"

saluti da croazia

istriano