mercoledì 24 febbraio 2010
Quei sacerdoti in India: ecco cos’è dedicarsi agli altri (Camon). Frattini: «Fermiamo gli attacchi ai Cristiani» (Mazza)
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Su segnalazione di Alberto leggiamo:
Testimonianza
Quei sacerdoti in India: ecco cos’è dedicarsi agli altri
Ferdinando Camon
Vorrei, ma non ci riuscirò e ne soffro, che questo articolo giungesse fra le mani di quegli indiani che hanno pensato, disegnato e pubblicato prima in Internet, poi in un sillabario per le elementari, e infine su manifesti da esporre per le strade, l’immagine blasfema di Gesù. Altri giornalisti, scrittori, opinionisti stanno commentando la stessa immagine, leggo i loro commenti, sono dotti, obiettivi, inconfutabili. Parlano della reciproca tolleranza, del rispetto per la religione altrui come pilastro su cui si regge la civiltà di un popolo. Sono reazioni sagge. Ma vorrei aggiungerne un paio, per indicare a quei profanatori due insegnanti elementari, molto amati dai bambini in India.
Cristo oltraggiato, India, scuole elementari, questo è il contesto. Ho amici cristiani che vivono in India e insegnano alle elementari. "Vivono" è una parola insufficiente: diciamo spendono la vita. Sono due salesiani, uno è un insegnante semplice, l’altro un grande traduttore. Il primo mi raccontava che all’inizio di ogni anno scolastico, davanti alla scuola cattolica (nella quale non si fa educazione religiosa, la legge non lo permette, ma si fa scrittura, lettura, storia, geografia, calcolo), c’è la ressa per le iscrizioni: i figli portati dalle madri sono così numerosi, che è impossibile accoglierli tutti.
I sacerdoti sono costretti a selezionare. Hanno scoperto che le madri, perché i figli siano accolti, imbrogliano: dicono che hanno 6 anni anche quando ne hanno 5 o 4. I salesiani mettono questi bambini in fila e li passano in rassegna: ogni bambino è invitato ad alzare il braccio destro, scavalcarsi la testa con la mano, e toccarsi l’orecchio sinistro. Se ci arriva ha 6 anni. Se non ci arriva ne ha meno, e viene rimandato a casa. Le madri tirano il braccio ai figlioletti per allungarglielo e fargli superare l’esame. La scuola cattolica è contesa, le famiglie sanno che il figlio lì impara il bene. Io conosco uno di questi frati e so una cosa: lui e tutti i suoi fratelli non sarebbero là, se non avessero conosciuto Cristo. Raffigurare Cristo come fanno i profanatori significa non-comprendere quegli insegnanti, e questo passi, ma anche le famiglie che mandano loro i figli, e le famiglie che vorrebbero mandarglieli e non possono e aspettano l’anno prossimo. Significa non comprendere davvero l’India.
L’altro cristiano che ha sempre fatto l’insegnante elementare è il traduttore italiano di Rabindranath Tagore, anche lui salesiano. Dall’India torna a casa una volta all’anno e la sua città lo festeggia organizzando "la giornata di Tagore". Viene un sacco di gente, lui legge le ultime traduzioni, qualche scrittore italiano lo presenta, l’ho fatto anch’io. Adesso ha 85 anni. Cristo è l’intermediario che l’ha convinto a vivere in India, e che lo spinge a tradurre (etimologicamente: trasportare) il meglio della letteratura indiana qui da noi. Questi due insegnanti elementari danno agli scolaretti indiani tutto il bene che possono, perché sono cristiani. Cosa gli danno, in cambio, i profanatori di Cristo? Pro bono, malum. Pro maximo bono, maximum malum.
© Copyright Avvenire, 24 febbraio 2010
LA FEDE NEGATA
Frattini: «Fermiamo gli attacchi ai cristiani»
Salvatore Mazza
Mettere a punto un vero e proprio «manuale» per le ambasciate dei Paesi Ue «nelle nazioni a rischio-persecuzione». Promuovere, forti dell’esperienza maturata con ricorso sulla sentenza del crocifisso, «un gruppo di Paesi like minded (di uguale orientamento) che prenda a cuore il diritto dei cristiani di professare la loro fede in tutto il mondo». E poi, ancora, iniziative da portare in sede Onu per tenere alta l’attenzione «e riaffermare il diritto fondamentale della libertà religiosa». Sono, nelle parole del ministro degli Esteri Franco Frattini, le iniziative con cui l’Italia si pone in prima linea rispetto «a una sistematica violazione dei diritti dei cristiani». Di fronte alla quale, dice ad Avvenire, «noi abbiamo in qualche modo l’obbligo di non limitarci a dichiarazione di principio ma ad agire. E agire, io credo, vuol dire anche tradurre un’azione politica, da noi già compiuta, in decisioni operative».
A novembre lei propose al Consiglio dei ministri degli Esteri Ue una risoluzione sulla libertà di religione. Cosa è successo da allora?
Abbiamo costituito un tavolo di lavoro, e si stanno definendo quali sono le azioni bilaterali che si possono compiere tra l’Europa e i singoli Paesi in cui i diritti dei cristiani sono messi in pericolo, e quali sono le iniziative internazionali della Ue per mettere a fuoco ancora meglio questo problema. Entro aprile avremo un vero e proprio manuale delle ambasciate europee all’estero, mirato in particolare al trattamento delle minoranze religiose cristiane.
Qual è lo scopo del manuale?
Nel sollecitare questa proposta, sottolineai la necessità che la Ue si muova presso le delegazioni di tutti gli Stati membri affinché, nei diversi Paesi, si capisca che non si tratta di un problema italiano, ma è un problema fatto proprio dai Ventisette. Questa sorta, chiamiamolo così, di "protocollo comune" è un risultato molto importante, non c’era mai stato nulla del genere. Servirà a monitorare da vicino, nei Paesi più sensibili, il trattamento delle minoranze religiose, con particolare riferimento a quelle cristiane. In questa direzione tra l’altro abbiamo già un esempio già molto concreto e importante: abbiamo chiesto e ottenuto che questo tema sia inserito nel piano d’azione Europa-Pakistan che stiamo negoziando. E siccome c’è un interesse di ambedue le parti ad andare avanti rapidamente, mi auguro che quello sarà il primo piano d’azione con un paragrafo contenente un riferimento preciso al tema in questione.
Ha parlato di "monitoraggio": con quale obiettivo?
È una questione seria. Quali sono i Paesi che più ci preoccupano dal punto di vista di cui stiamo parlando? Questo aspetto emerge da un documento pubblicato di recente da una ong americana che individua una vera e propria lista di Paesi con situazioni di "persecuzione", "grave persecuzione", "limitazione" o "problemi" per la libertà religiosa. Il primo al mondo è la Corea del Nord, il secondo, ben distaccato, è l’Iran, poi la Somalia, l’Arabia Saudita e via via gli altri. Una lista in cui troviamo anche il Pakistan e subito dopo l’Iraq, l’India e il Sudan. Sulla base di questi indicatori, abbiamo chiesto alla presidenza spagnola di avere una sorta di "lista critica" di Paesi per i quali occorre una vigilanza speciale. Elenco, questo bisogna dirlo con estrema chiarezza, che non deve rappresentare una "lista nera", perché non possiamo, né vogliamo, isolare Paesi con i quali abbiamo rapporti politici importanti, ma vogliamo mettere in atto inziative di migliore collaborazione tra le autorità istituzionali e religiose.
Cos’altro si può fare in sede Ue?
Si potrebbe promuovere, e lo farò attraverso il nostro rappresentante permanente, un gruppo di Paesi che potremmo chiamare like minded, ossia di uguale orientamento, che prenda a cuore il diritto nel mondo dei cristiani di professare la religione. Vede, i cristiani non hanno mai avuto attraverso i governi un gruppo politico di forte sostegno. Lo abbiamo scoperto con la sentenza sul crocifisso, quando ci siamo trovati da soli a impugnarla; con un’azione profonda siamo riusciti ad attirare il consenso di almeno 15-16 Paesi che, formalmente o informalmente, si sono attestati sulla nostra posizione.
Ha accennato anche a iniziative in sede Onu. Quali sono?
L’intenzione in primo luogo è di promuove l’idea, che potremmo certamente sponsorizzare, di svolgere nel corso dell’anno in Italia una Conferenza internazionale sulla libertà religiosa. Non sarebbe dedicata solamente ai cristiani, però potrebbe attirare ancora di più l’attenzione sul principio che la libertà di religione non è solo la libertà di professare la fede nel privato, ma anche di poterla manifestare pubblicamente, altrimenti la libertà è violata. L’altra possibile iniziativa da prendere è di presentare all’Assemblea generale dell’Onu, come facemmo già due anni fa, una risoluzione che parli proprio dei diritti dei cristiani. A due anni di distanza, credo che una nuova risoluzione possa dare un forte impulso all’azione internazionale.
© Copyright Avvenire, 24 febbraio 2010
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