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La Chiesa peccatrice
Aldo Maria Valli
C’è un angolo di Fatima che è rimasto com’era nei primi anni del Novecento. Casette di pastori, muri di sassi, alberi di ulivo e fichi, pecore al pascolo, anziane donne vestite di nero. Anche se i turisti, sbarcati da un trenino, si aggirano con macchine fotografiche e cineprese, il tempo sembra fermo a quel 1917, quando ai tre pastorelli apparve una signora vestita di bianco.
L’atmosfera è tranquilla e sembra strano che la Madonna abbia scelto un posto come questo per lanciare i suoi messaggi dai contenuti in parte inquietanti. E ancora più strano sembra che, da qui, da questo luogo di pace, dove tutto fa pensare a una fede semplice e radicata, ci si debba confrontare con notizie terribili come quelle che riguardano lo scandalo pedofilia.
In volo verso Lisbona Benedetto XVI, come suo solito, non ha evitato il confronto con i giornalisti. Ha detto che gli attacchi alla Chiesa più che dall’esterno arrivano dall’interno, dai peccati che uomini di Chiesa hanno commesso.
«Terrificante».
Così il papa ha definito la situazione. Più esplicito non poteva essere. Così come quando ha sottolineato che il perdono non sostituisce la giustizia. Benedetto sta combattendo la sua battaglia e lo fa a colpi di verità. Sa bene che in gioco c’è la credibilità della Chiesa. Nessuna giustificazione, nessun giro di parole.
Se c’è una via d’uscita è nel coraggio e nella chiarezza.
Fu proprio il cardinale Ratzinger, dieci anni fa, a spiegare il contenuto del terzo segreto di Fatima, svelato dalla Chiesa dopo lunghi anni di illazioni. E oggi l’ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede, divenuto pontefice, non ha difficoltà a dire che la signora apparsa ai tre pastorelli aveva previsto anche le sofferenze odierne. Una Chiesa attraversata da tremende tensioni, una Chiesa peccatrice, una Chiesa infedele. Per l’uomo di fede la ricetta non è sociologica. Quello che occorre è preghiera, pentimento, purificazione, penitenza. Sono le parole che Benedetto sta usando continuamente negli ultimi mesi, da quando lo scandalo è scoppiato. Parole lontane dalla mentalità contemporanea, ma proprio per questo più necessarie che mai.
A Fatima la penitenza è di casa. I pellegrini che percorrono in ginocchio l’intero, enorme piazzale davanti al santuario ne sono l’immagine più evidente. Alcuni di loro sono accompagnati da un parente, da un amico, che incoraggia e interviene in caso di necessità.
È proprio quello che sta facendo il papa. Sta accanto alla Chiesa sofferente e penitente, senza mai perdere la speranza, ma nella piena consapevolezza del momento drammatico.
Ha detto in aereo verso Lisbona: «Dobbiamo imparare proprio questo: conversione, preghiera, penitenza, virtù teologali (fede, speranza, carità). Così rispondiamo e siamo realisti. Il male attacca sempre, dall’esterno e dall’interno, ma sempre le forze del bene sono presenti e alla fine il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia.
La bontà di Dio è sempre l’ultima parola della storia».
C’è un tratto di dolore in questo pontificato che lo fa assomigliare sempre di più a quello di Paolo VI, il papa incompreso e continuamente sotto attacco, Quando è apparso sulla porta dell’aereo, appena arrivato in Portogallo, il volto di Benedetto è apparso più pallido e tirato del solito. Assumere su di sé la sofferenza del gregge è un compito del buon pastore. Gli altri pastori lo seguiranno?
© Copyright Europa, 12 maggio 2010 consultabile online anche qui.
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