sabato 10 luglio 2010

«Mia figlia rapita dalla giustizia». La storia di Angela Lucanto, portata via ai genitori quando aveva 7 anni e tenuta nascosta per un decennio


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«Mia figlia rapita dalla giustizia»

Disegnò un fantasma e suo papà finì in galera

La storia di Angela Lucanto, portata via ai genitori quando aveva 7 anni e tenuta nascosta per un decennio
Il padre era stato accusato di pedofilia incestuosa ma era innocente. Eppure per quasi 3 anni è rimasto in carcere E dopo la sua assoluzione la piccola è stata data lo stesso in adozione


Raffaella Lucanto, mamma di Angela, mi guarda fisso e mi porge carta e penna. «Mi disegni un fantasma». La penna sul foglio sale, poi arrivata in alto si incurva e scende sinuosa come un lenzuo­lo...
«Basta così. Lei per questo è già in ga­lera». Non esagera: così è iniziata la trage­dia che per suo marito Salvatore ha signifi­cato 2 anni e mezzo di carcere da innocen­te, e per la figlia Angela una reclusione an­cora più dolorosa, durata dieci anni. Un ra­pimento vero e proprio, eseguito non da u­na banda criminale ma da quella che chia­miamo 'giustizia'.

Che cosa è successo quel 24 novembre 1995?

Angela, che aveva 7 anni, era a scuola, se­rena come sempre. Entrarono in classe due carabinieri e un’assistente sociale e la pre­levarono. A noi non dissero nulla: il pome­riggio andai a prenderla al pullmino e non c’era. Immagini la nostra angoscia, ma so­prattutto la paura della bambina, non sa­peva perché l’avessero portata in un posto con le sbarre, dove passavano notti e gior­ni e di mamma e papà non otteneva noti­zie. Le dicevano che il papà le aveva fatto brutte cose e che solo se lei lo avesse am­messo sarebbe tornata a casa. Ma quelle brutte cose non erano mai avvenute e An­gela, che ha sempre avuto un carattere di ferro, non si piegava. Finché una delle ze­lanti psicologhe che collaboravano con il pm con il compito di 'far parlare' la bam­bina non le chiese di disegnare un fanta­smino e lei lo fece proprio così... Fu inter­pretato come simbolo fallico e mio marito il 26 gennaio alle 5 del mattino fu trascina­to a San Vittore. Non capivamo cosa stesse accadendo, eravamo certi che in poche o­re l’equivoco si sarebbe chiarito, invece re­stò in cella due anni e mezzo.

Ma come nacque questa follia?

Una cuginetta di 14 anni, molto disturbata (poi finì in un ospedale psichiatrico ed è tut­tora in cura) aveva accusato il proprio fra­tello di molestie. Poi man mano aveva al­largato la cerchia, tirando dentro i suoi stes­si genitori, due fratelli, mio marito, altri pa­renti e persino uno zio di mio marito che non aveva mai visto e che viveva in Ameri­ca... ma secondo i suoi racconti tutti i fine settimana era in Italia e partecipava alle or­ge. Non ce l’ho con lei, era malata, il guaio invece è che un pm le ha creduto.

Chi era questo pubblico ministero?

Pietro Forno. Non lo avevo mai sentito no­minare prima, ora so che è molto noto per il cosiddetto 'metodo Forno': si interroga­no i bambini, li si sottopone a psicologi e as­sistenti sociali, li si toglie alle famiglie anche senza prove, e tocca al presunto colpevole riuscire a dimostrare la propria innocenza. La posizione di mio marito si aggravò quan­do la cuginetta di colpo si inventò che oltre a lei violentava pure Angela. Infine il disegno del fan­tasma divenne la 'pro­va schiacciante' e Sal­vatore fu condannato a 13 anni.

Ma in secondo grado e poi in Cassazione la sua completa innocenza fu ovviamente rico­nosciuta: tante scuse, ci siamo sbagliati...

Fu assolto, sì, ma senza scuse. Ancora a­spetto che il pm Forno venga a chiedere per­dono per aver distrutto la nostra famiglia, soprattutto la vita di Angela. Dal giorno in cui fu prelevata a scuola non l’abbiamo più vista per dieci anni. Immagini l’inferno di due genitori e pensi a cosa avrà vissuto quella bam­bina, prima sbattu­ta al Caf, il Centro di Affido familiare, poi, dopo che io mi in­catenai al di fuori perché me la restituissero, trasferita a sire­ne spiegate e di nascosto al Kinderheim di Genova, da dove tentò persino di evadere, infine data in adozione a una famiglia di Va­rese. Tenga conto che di tutto questo noi e­ravamo tenuti all’oscuro: di Angela dalla mattina del 24 novembre 1995 non abbia­mo saputo più nulla per un intero decen­nio.

Qual è stato il momento più atroce?

Non il giorno del rapimento da scuola, ma quando, nonostante mio marito fosse sta­to assolto, la pratica di adozione è andata a­vanti. Per la giustizia lui era innocente, ma la stessa giustizia continuava a nascondere Angela e poi la dava addirittura a nuovi ge­nitori! Un ingranaggio, infernale, assurdo, che non sai come fermare.

Oggi Angela è con voi. Com’è avvenuto l’in­contro?

Non avevamo mai smesso di cercarla. In ca­sa non spostavamo nulla, i suoi vestitini da bambina, i suoi giocattoli, tutto era lì ad a­spettarla. Nell’estate del 2005 scoprimmo da un documento che la famiglia adottiva la portava al mare ad Alassio, così per setti­mane io e mio marito abbiamo battuto le spiagge. Chissà com’è diventata, ci chiede­vamo, ma appena Salvatore l’ha vista l’ha ri­conosciuta. Che fatica non correrle incon­tro.

Così siete riusciti a risalire alla famiglia a­dottiva.

Ma per mesi abbiamo taciuto, andavamo a guardarcela di nascosto fuori da scuola... Il momento più incredibile è stato quando suo fratello Francesco le ha rivolto la paro­la per la prima volta: temevamo non ci vo­lesse più, invece ci aspettava da sempre. Ap­pena entrata in casa è andata dritta a cer­care le sue cose... Angela aveva 17 anni ed era adottata, le era vietato incontrarci e i magistrati le hanno fatto la guerra, ma ap­pena ne ha compiuti 18 è tornata da noi.

Una felicità difficile da immaginare.

La vita di tutti e quattro è ripresa in quel momento, prima c’è una bolla di dolore. A­desso ci resta ancora la fatica di adottarla: per i giudici non è più nostra figlia, ha un al­tro cognome... E sì che dovrebbero pensar­ci loro, come risarcimento, invece dobbia­mo affrontare tanta burocrazia... Ma non è questa la cosa più paradossale: per il rapi­mento ci hanno mandato il conto, 60 mi­lioni di lire solo per il primo anno. Il riscat­to no, non lo pagheremo!

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2010

IL LIBRO

UNA STORIA INCREDIBILE

Terribilmente bello. Terribilmente perché ciò che racconta è accaduto davvero. Bello perché sconvolge, indigna, fa sapere che nella nostra Italia, civile e moderna, queste cose succedono. 'Rapita dalla giustizia' è un libro imperdibile. Raccontato in prima persona dalla stessa Angela grazie alla penna di due giornalisti come Caterina Guarnieri e Maurizio Tortorella (ed. Rizzoli), non fa sconti a niente e a nessuno. Inizia già nel cuore della vicenda: 'Mentre la gazzella dei carabinieri correva veloce per strade di Milano a me sconosciute, l’angoscia mi montava nel cuore...'. I singhiozzi di bambina repressi e il naso che cola, Angela non capisce chi l’abbia presa e perché. Solo poco prima era seduta sui banchi della seconda elementare 'Salvo D’Acquisto' di Masate, fuori Milano. Il libro prosegue incalzante lungo gli anni, sempre più incredibile eppure vero. La bambina, che tutt’al più sarebbe eventualmente una vittima di adulti pedofili, in realtà è trattata come fosse la colpevole, sottoposta alle umiliazioni di chi le ripete che non vedrà mai più i suoi genitori.
Colpisce la forza quasi sovrumana di questa bimba, che non cede ai ricatti, che non accusa il padre di colpe non sue pur di essere liberata, che per tutto quel tempo ha continuato a struggersi dietro i ricordi, soprattutto quello di una testa di ricci color rame, i capelli di sua madre. Manca il fiato, al lettore, quando dopo tanti anni Angela e i genitori si guarderanno di nuovo in faccia e piangeranno insieme: è il 14 maggio 2006, dall’ultima volta sono passati quasi 11 anni. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano a risarcire la famiglia per l’interruzione forzata dei rapporti «protrattasi anche dopo l’assoluzione» del padre. Giusto, ma quale cifra ripaga di tanto?

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2010

GLI ACCERTAMENTI

Come ascoltare i piccoli?

CARTA DI NOTO: stilata nel 1996 e aggiornata nel 2002, è il frutto dell’apporto di vari esperti allo scopo di garantire l’attendibilità degli accertamenti e la genuinità delle dichiarazioni dei minori. È ormai un riferimento costante per la giurisprudenza e indica i comportamenti ai quali gli psicologi si devono attenere per raccogliere i racconti degli abusi dai bambini, evitando domande suggestive o di suggerire nomi e luoghi.

PROTOCOLLO DI VENEZIA: fa propri i principi della Carta di Noto, ma specifica, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, le linee guida alle quali gli esperti dovrebbero attenersi nell’affrontare i casi di abuso sessuale collettivo (ad esempio il più noto attualmente è il caso di Rignano Flaminio). È fortemente attento all’attendibilità delle testimonianze e alla suggestionabilità dei minori, che, se molto piccoli, sono portati a condividere e confermare come vissuti in prima persona fatti mai accaduti.

© Copyright Avvenire, 10 luglio 2010

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il giudice Pietro Forno non si è ancora scusato con la famiglia. Vogliamo applicare alla sua categoria un po' del "giustizialismo" alla buona che sta devastando l'immagine dei sacerdoti?

JP

sam ha detto...

E' terribile vero? e lo sapevate che di casi come questo - di bambini sottratti ai genitori senza diritto d'appello (è un mostro giuridico che rappresenta un unicum nel suo genere), talora solo perchè la famiglia è disagiata in termini economici o la mamma soffre di qualche leggero ritardo o depressione senza danno per i bambini (ma senza la capacità di difendersi dai giudici e dalle assistenti sociali, che si è accertato hanno spesso interessi economici negli istituti dove mandano i bambini) - ce ne sono decine e decine di migliaia in Italia?
E lo spevate che quando si è tentata una riforma di questo sistema perverso, il "cattolico" Casini ha fatto affosssare dai suoi franchi tiratori la riforma della giustizia minorile col voto segreto alla camera per un semplice gioco di potere che riguardava il peso nelle alleanze di governo?
Se non ci credete, informatevi perchè la verità è questa.
Quel giorno c'erano i genitori dei bambini ingiustamente sottratti che piangevano fuori dalle porte del Parlamento...
E' stata una delle pagine più nere della politica.
Per la "giustizia" questo è un affare nero da sempre.

sam ha detto...

Sinceramente avrei preferito che Avvenire avesse evitato:
"Chi era questo pubblico ministero?" ecc.ecc.
perchè dà l'idea di voler puntare l'indice contro un singolo magistrato (tra l'altro quello che ha appena messo in galera il prete di Lodi, paladino delle cause omosex e molto amico dei media), invece che l'intero sistema che miete migliaia di vittime innocenti in tutt'Italia.
Specie dopo il caso Boffo e dopo tutto quello che sta accadendo, Avvenire dovrebbe stare attento a non dare in alcun modo l'idea di voler "coprire" qualcosa o qualcuno....
Piuttosto approfondisca il tema in termini generali, perchè il problema c'è e riguarda decine di migliaia di casi in Italia di cui nessuno parla mai.
Si pensi che i genitori non ricevono nessun atto di notifica della sottrazione dei minori e non possono fare appello. Lo scoprono quando vanno a prendere i bambini all'asilo o a scuola e da lì inizia un vero e proprio calvario.
Sia chiaro che è giusto che vi siano sottrazioni di minori in casi di gravi sospetti di abusi, ma questo riguarda una minoranza dei casi.
Non è giusto un sistema che non prevede garanzie di difesa e che, nella lentezza dei processi, produce sempre danni irreversibili perchè per il principio di riduzione del danno, una volta sottratti i bambini non tornano quasi mai alle famiglie d'orgine, neppure dopo la comprovata innocenza.