giovedì 2 settembre 2010

Mons. Marchetto lascia dopo nove anni il suo incarico al Pontificio Consiglio per i Migranti. Intervista di Radio Vaticana


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Mons. Marchetto lascia dopo nove anni il suo incarico al Pontificio Consiglio per i Migranti

Il segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, mons. Agostino Marchetto, lascia il suo incarico dopo nove anni. Intervistato da Fabio Colagrande, mons. Marchetto si sofferma sulle sue dimissioni:

R. – Il mio pensiero è maturato guardando il mio curriculum vitae e, cioè, tanti anni passati all’estero, più di vent’anni, in Africa, in situazioni molto disagiate, poi nell’Europa orientale e guardando anche la mia salute. Sto bene, fondamentalmente, ma dopo la mia malattia e le cure che mi sono state fatte non mancano strascichi e non sono così libero come lo potevo essere prima. Evidentemente, anche la questione della possibilità di chiedere allo scadere dei 70 anni, questo “privilegio” dei nunzi, tenendo presenti le loro situazioni, ha contribuito, certamente, a spingere un po’ in questa linea.

D. – Con quale stato d’animo lascia l’incarico?

R. – Io credo che ciascuno degli ascoltatori può rendersi conto di quale può essere lo stato d’animo di una persona che va in pensione dopo tanti anni. C’è un’abitudine di vita, c’è un ritmo che uno assume e che anche ti aiuta pur essendo a volte un ritmo forsennato, ma ugualmente dà un ritmo e aiuta. Da una parte c’è un po’ di tristezza perché si lascia un campo di lavoro ormai consolidato però, nello stesso tempo, c’è anche una certa serenità, sicuramente, direi quasi una certa contentezza, perché fino a qui ho fatto quello che consideravo il mio dovere e, dunque, un dovere compiuto porta una serenità nello spirito e anche una contentezza che questo non cambia nel libro della vita: quello che uno ha fatto è fatto. Poi, c’è anche questa prospettiva che mi alletta e l’ho già manifestata e, cioè, questa possibilità di dedicarmi un po’ a quello che sono i miei interessi dal punto di vista storico perché io credo che fondamentalmente sono uno storico. Certo mi interesso anche di teologia, mi sono interessato molto di pastorale, anche di diritto canonico, però credo che la mia grande passione è stata la storia. Dunque posso ritornare a questo amore dopo l’amore, veramente, appassionato e, credo, anche generoso in relazione alla pastorale dei migranti e degli itineranti. Sono otto settori … termina uno e comincia un altro, nel senso dell’attività e dell’impegno. Quindi è una prospettiva che mi alletta, che mi arride, di potermi ancora immergere nello studio.

D. – A proposito dell’attività di questo Dicastero, dal 2001 a oggi la problematica dell’emigrazione è del tutto esplosa con un aumento dei flussi che ha coinvolto soprattutto l’Europa ma non solo: come è cambiata di conseguenza la vostra attività, come ha visto cambiare il suo lavoro presso questo Dicastero in questi anni?

R. – Io credo che si possa dire che ormai nessun Paese è escluso da questo fenomeno sia come Paese di origine, di passaggio e di destino. Questo ha portato le Conferenze episcopali - perché dobbiamo dire che noi siamo al loro servizio affinché realizzino la pastorale in loco - ad avere delle Commissioni che si occupano o della mobilità umana in generale oppure delle singole categorie specifiche. Quindi c'è una peculiare presenza nel mondo intero di questa rete che noi cerchiamo di nutrire e di supportare e questo dice come nonostante tutto questa pastorale si stia affermando. Noi ci auguriamo che essa sia più conosciuta e realizzata anche se devo dire che è più realizzata che conosciuta.

D. – Si ha la sensazione che molte istituzioni politiche si siano trovate impreparate di fronte a questo aumento dei flussi migratori. La Chiesa ha avuto un ruolo profetico …

R. – Sì, credo che si possa dire che in questo campo la Chiesa ha avuto un ruolo profetico, basta che cominciamo a pensare all’inizio del secolo scorso quando c’è stato tutto questo impegno per i nostri emigranti all’estero, che è stato un po’ la fucina per la Chiesa universale, per la Santa Sede, per cercare di dilatare l'attenzione non solo agli italiani ma a tutti i migranti nel mondo. E’ lì che sono cominciati i messaggi per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato; ormai siamo a quota 100, dunque vuol dire che da quasi 100 anni la Chiesa sta bombardando – se mi è permessa la parola – l’opinione pubblica e anche quella ecclesiale, dando un magistero straordinario.

D. – Qualcuno ha scritto a questo proposito che se la Chiesa non fa distinzione tra immigrati regolari e irregolari gli Stati però devono farla e che voi uomini di Chiesa vi disinteressate dei problemi della sicurezza quando vi occupate di queste vicende ...

R. - Io credo che abbiamo sempre detto che c’è un binomio tra accoglienza e sicurezza ma la questione è che in molti luoghi si sottolinea solo la sicurezza e non l’accoglienza, l’integrazione. Gli sforzi e i soldi vanno tutti nella linea della sicurezza più che dell’accoglienza. Evidentemente, c’è una distinzione tra regolari e irregolari anche se alcune Convenzioni internazionali non fanno la distinzione nel senso del trattamento, per esempio, dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie; parlano di lavoratori migranti in generale, dunque regolari e irregolari. Quindi, non è la Chiesa sola che fa questo tentativo di metterli insieme per quanto riguarda i diritti di queste persone, che vanno insieme coi doveri, per quanto riguarda il bene comune di questa società che molte volte ha bisogno di loro in un contesto di bene comune universale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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