venerdì 5 novembre 2010

Il grido dei vescovi iracheni: nessuno protegge i Cristiani (Geronico)

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LA CHIESA CHE SOFFRE

Il grido dei vescovi iracheni: nessuno protegge i cristiani

Luca Geronico

«Chiediamo fatti concreti, ormai le parole non bastano più». È un grido di dolore quello dei vescovi iracheni che ieri hanno incontrato il premier uscente Nouri al-Maliki. L’ennesima convocazione, e per giunta da un premier ad interim, dopo aver subito violenza e morte.
«Abbiamo incontrato il premier iracheno e gli abbiamo esposto chiaramente i nostri problemi anche alla luce del massacro nella chiesa siro-cattolica di domenica scorsa», ha spiegato al termine il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, Shlemon Warduni.
Alla delegazione, guidata dal patriarca caldeo Emmanuel III Delly e dall’arcivescovo siro-cattolico Mati Shaba Mattoka, il premier ha assicurato che si farà tutto il possibile per dare sicurezza alla comunità cristiana e ha pure esortato i cristiani a fare la loro parte per proteggere le chiese. «I nostri fedeli dovrebbero far parte delle forze di sicurezza e rivestire dei ruoli nel ministero dell’Interno: il premier ha auspicato un maggiore coinvolgimento dei cristiani in materia di sicurezza», ha concluso Warduni.
Un altro appello – non meno drammatico – dall’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu: «I governi – ha affermato monsignor Francis Chullikatt – hanno la solenne responsabilità di salvaguardare il diritto inalienabile» della libertà religiosa, invece di trascurarlo e consentire che i credenti debbano sopportare persecuzioni. Un richiamo condiviso dall’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, che ha chiesto di prevenire una nuova escalation: «È imperativo che il governo iracheno intervenga in modo deciso e imparziale ai primi segni di incitamento alla violenza contro ogni gruppo religioso».
È in serata il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha chiesto che al prossimo vertice dei ministri degli Esteri Ue, il 22 novembre a Bruxelles, si discuta delle violenze contro i cristiani.
Intanto dai racconti dei superstiti alla strage di Ognissanti emergono nuovi particolari: un primo attentatore kamikaze si è fatto esplodere per aprire il portone della cattedrale che era stato chiuso quando si erano uditi i primi spari. La comunità siro-cattolica aveva pensato a uno dei tanti attacchi che avvengono sovente nella capitale: pochi minuti solo per comprendere di essere loro questa volta il bersaglio. Subito i terroristi – sei o otto, tutti giovanissimi, alcuni di certo minorenni – sono saliti sull’altare intimando a padre Tahir di togliersi i paramenti e di sgomberare l’altare di tutti gli oggetti liturgici. Al rifiuto del sacerdote, gli hanno sparato un colpo alla testa. Con un altro colpo alla testa è stato pure ucciso un fratello del sacerdote accorso per proteggerlo. Anche padre Wasim salito sull’altare gridando di fermarsi è stato ucciso nello stesso modo: un proiettile al capo mentre il sangue colava a fiotti dai gradini. Mentre uccidevano i terroristi intonavano l’«Allah akbar» del Magrib (la preghiera del crepuscolo). Frasi pronunciate in arabo classico e quasi certamente, secondo i superstiti, con un accento siriano o egiziano.
Intanto gli altri uomini del commando avevano chiuso le porte laterali da cui alcuni fedeli erano subito fuggiti mentre una cinquantina di persone era riuscita a rinchiudersi in sacrestia. Iniziava così una esecuzione sommaria dei siro-cattolici: intere famiglie sterminate fra cui una coppia con un bimbo di tre mesi che era scoppiato in pianto e una donna incinta. L’intervento delle forze di sicurezza faceva precipitare la situazione: due terroristi con cinture esplosive si facevano saltare in mezzo ai fedeli costretti con la forza in un angolo. Uno squillo del telefono attirava l’attenzione verso la sacrestia. Solo una sventagliata di di colpi e per fortuna solo alcuni feriti, ma almeno lì nessun morto.

© Copyright Avvenire, 5 novembre 2010

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