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L'orgoglio della Galizia, la terra che vive di cristianità
di Andrea Tornielli
nostro inviato a Santiago de Compostela (Spagna)
«Ma per passare attraverso la porta santa, devo provare di aver fatto tutte le tappe del cammino?». «No, possono entrare tutti». Ingrid è una signora olandese di mezza età, con il pile rosso e gli scarponi ormai sformati. Parla un inglese perfetto e ha percorso a piedi la bellezza di 800 chilometri, «per ritrovare» se stessa, e «per riflettere» sulla sua vita, prima di arrivare all’agognata meta, il santuario di Santiago de Compostela, cuore cattolico della Galizia. Il santuario che sabato riceverà un pellegrino d’eccezione, Benedetto XVI.
Mentre si susseguono nel mondo le notizie sui cristiani perseguitati, in questa regione spagnola che raramente ottiene l’onore della cronaca c’è un popolo di silenziosi camminatori provenienti da ogni parte del mondo che riscoprono l’antica tradizione medioevale e cristiana del pellegrinaggio, attraversando borghi e città permeate di cattolicesimo. Come ha fatto Ingrid, per un mese, da sola, dormendo in ricoveri e ostelli, con lo zaino sempre in spalla, sotto il sole cocente o la pioggia fitta, che in questo angolo di terra affacciata sull’Atlantico scende abbondante da ottobre a maggio. Ha camminato cercando se stessa, senza l’assillo del telefonino, senza salire e scendere dall’auto, e ora vuole attraversare la porta santa, per ottenere l’indulgenza.
Le otto ore che Papa Ratzinger trascorrerà in Galizia, a Santiago, sono un regalo per questi pellegrini e per la gente della regione nell’Anno Santo compostelano che si concluderà il 31 dicembre prossimo. Un popolo accogliente, abituato a convivere con i viandanti del cammino, abituato a salutarli e ad assisterli. Giovani e vecchi, uomini, donne e bambini, a piedi ma anche in bicicletta, qualcuno a cavallo, con gli inconfondibili impermeabili variopinti e la conchiglia simbolo del pellegrinaggio, qui fanno parte del paesaggio. Otto milioni sono le persone che sono sfilate quest’anno davanti alla tomba dove secondo la tradizione si conservano i resti dell’apostolo san Giacomo. Più di 250mila di questi hanno fatto il cammino a piedi, segliendo quante e quali delle tante tappe e dei tanti possibili percorsi fare, e hanno ottenuto, arrivati a Santiago, l’agognata «Compostela», il «certificato» del pellegrino. Sono un numero straordinario, se si pensa che nel 1985 i camminatori non erano più di cinquemila all’anno.
Quella del cammino non è soltanto una tradizione religiosa e spirituale. C’è anche il cosiddetto «Xacobeo underground», rappresentanto da un dieci per cento di «pellegrini» mossi da interessi turistici o culturali. Anche se guardando i volti stanchi ma pieni di gioia di coloro che arrivano alla meta è difficile immaginare che abbiano percorso centinaia di chilometri a piedi senza un’esperienza spirituale, culminata nel tradizionale abrazo alla grande statua del santo che campeggia alle spalle dell’altar maggiore della basilica.
Ma c’è un’altra realtà che emerge percorrendo le strade galiziane. L’atmosfera è lontana anni luce dal turismo modaiolo di Barcellona, come pure dalle rivendicazioni autonomistiche esasperate, che affliggono altre regioni spagnole. La Galizia – dove pure la lingua «gallega» è parlata dal 97 per cento della popolazione – è la dimostrazione che si può essere pienamente se stessi, rispettando la propria identità e le proprie tradizioni, pur rimanendo ben inseriti in un contesto nazionale più ampio. Come sottolinea il presidente della Giunta galiziana, Alberto Nuñes Feijo, 49 anni, che incontriamo nell’hotel più antico del mondo, il «Parador Hostal Reyes Católicos», fatto costruire nel 1499 dal re per ospitare i pellegrini: «Noi teniamo molto all’unità nazionale. Abbiamo un’identità e una lingua, abbiamo il nostro modo di vedere le cose, le nostre tradizioni, la nostra cucina, ma ci sentiamo spagnoli. Guardando ad altre realtà del nostro Paese, come quelle catalana e basca, credo che il problema sia rappresentato da una classe dirigente che crea conflitti artificiali».
Insomma, una regione operosa e pacifica, dove all’esperienza spirituale del cammino verso la tomba dell’apostolo si possono aggiungere altre tappe come Cabo Fisterra, un tempo «finis terrae», il promontorio affacciato sull’Atlantico un tempo considerato l’ultimo confine del mondo, dove si arriva dopo essersi rifocillati di buon pesce, come già i pellegrini medioevali raccontavano nelle loro suggestive cronache.
© Copyright Il Giornale, 5 novembre 2010 consultabile online anche qui.
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