mercoledì 20 ottobre 2010

Le preoccupazioni del Sinodo circa l'interminabile conflitto israelo-palestinese e la guerra in Iraq (Monteforte)

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Il Sinodo a Israele: l’occupazione favorisce il fondamentalismo

di Roberto Monteforte

L’interminabile conflitto israelo-palestinese e la guerra in Iraq: sono i due principali focolai di tensione e di ingiustizia che minacciano la pace in Medio Oriente e che fanno pagare alla minoranza cristiana prezzi altissimi. Non si può restare indifferenti.
Lo affermano senza incertezze i patriarchi e i vescovi della regione riuniti in Vaticano per il Sinodo sul Medio Oriente. «Pur condannando la violenza da dovunque provenga, e invocando una soluzione giusta e durevole del conflitto israelo-palestinese, esprimiamo la nostra solidarietà con il popolo palestinese, la cui situazione attuale favorisce il fondamentalismo» si legge, infatti, nella «Relatio post disceptationem»: il documento presentato ieri all’aula dal relatore generale del Sinodo, l’arcivescovo egiziano Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti. Il documento, che richiama anche l’attenzione sulla «drammatica situazione dei cristiani in Iraq», «prime vittime di quel conflitto», è stato presentato ieri alla stampa dal cardinale John Patrick Foley, presidente della Commissione per l’Informazione, dal vescovo dei Caldei di Aleppo monsignore Antoine Audo e dal «custode di Terra Santa», il francescano padre Pierbattista Pizzaballa. Durante la conferenza stampa si è tentato di smorzare i toni, sia verso Israele, sia verso il mondo islamico. «Le nostre chiese rifiutano l’antisemitismo e l’antiebraismo» si legge nel documento. «Le difficoltà dei rapporti fra i popoli arabi ed il popolo ebreo sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale» viene chiarito. «Noi distinguiamo tra realtà politica e religiosa.
I cristiani hanno la missione di essere artefici di riconciliazione e di pace, basate sulla giustizia per entrambe le parti» ribadiscono i padri sinodali. Invocano uno «stato civile» e il riconoscimento di una «cittadinanza». Sono termini più accettabili per la cultura «mediorientale» della occidentale «laicità positiva». Ma la domanda è la stessa: rispetto dei diritti umani, della libertà religiosa e di quella di coscienza, distinzione tra Stato e religione. Un tema caldo in quell’area. «Colpisce la situazione dei cristiani in Paesi dove si registra l’avanzata dell’Islam politico che - viene sottolineato - comprende diverse correnti religiose», dove «si vuole imporre un modello di vita islamico a tutti i cittadini, a volte con la violenza». Queste «correnti estremiste» sono definite dai padri sinodali «una minaccia per tutti». Un effetto della condizione difficile dei cristiani, in particolare in Iraq, è quello delle emigrazioni. «Non va incoraggiata come scelta preferibile, bisogna piuttosto favorire la pace e lo sviluppo perché i cristiani restino in Medio Oriente». polemiche sul documento Kairo Segno del tentativo di abbassare i toni è stata la risposta di padre Pizzaballa sul documento «Kairo» che, preparato da esponenti laici e religiosi delle Chiese cristiane di Gerusalemme e sottoscritto da esponenti autorevoli della gerarchia cattolica, come lo stesso Pizzaballa e il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, dovrebbe essere presentato oggi al Sinodo dall’ex patriarca di Gerusalemme, monsignore Michel Sabbah. Si critica fortemente Israele per le sue politiche verso i palestinesi e in particolare per l’occupazione dei territori. La si accusa di apartheid. «Nessuna firma è stata apposta al documento in questione» ha spiegato il «custode» di Terra santa. «Non si tratta - ha aggiunto - di un documento ufficiale, e non è stato sottoscritto dalle chiese cristiane di Terra Santa, non c’è nessuna benedizione delle chiese, nessuno ha firmato». Le critiche, però, a Gerusalemme restano. La posizione della Santa Sede sul Medio Oriente è stata ribadita ieri dal «ministro» degli Esteri vaticano, monsignor Dominique Lamberti, intervenuto ad un convegno alla Farnesina. «La pace va cercata tramite una soluzione regionale che non trascuri gli interessi di nessuna delle parti, e negoziata, cioè frutto del compromesso e non di scelte unilaterali imposte con la forza».

© Copyright L'Unità, 19 ottobre 2010 consultabile online anche qui.

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