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IL PAPA E LA «NECESSITÀ» DEI SACERDOTI
Dio ha la faccia di quei poveri uomini
MARINA CORRADI
Germania, 1944. Un ufficiale della Wehrmacht domanda a dei ragazzi di leva quali progetti hanno per il futuro. Una recluta di 17 anni risponde che vuole diventare sacerdote. Replica sprezzante l’ufficiale: «Cercati qualcos’altro. Nella nuova Germania non c’è più bisogno di preti». L’aneddoto raccontato da Benedetto XVI nella lettera ai seminaristi non è solo biografia di un Papa tedesco, e nemmeno soltanto storia del passato. L’illusione di un 'nuovo ordine mondiale', la ubris di orgoglio di una società di superuomini che avrebbero ritenuto indegno il gesto di pregare, ci appaiono oggi tenebra lontana; ma ogni tempo ha i suoi 'nuovi ordini', imposti – oppure suggeriti. Nuovi mondi vengono continuamente disegnati, in cui, si immagina, non ci sarà più bisogno di alcun Dio.
I libri di storia sono pieni di progetti di giustizia universale e di uguaglianza, tragicamente falliti. Ma sempre si allargano nuove illusioni; l’ultimo divo è l’uomo tecnologico, che governi il principio della vita e ne dilati oltre ogni limite la durata: intendendo per 'vita', si intende, solo quella dei sani, e dei perfetti. E uomini capaci di darsi la vita, di toccare i tasti remoti del Dna, di selezionarsi, che bisogno mai avranno di un dio? Cercati qualcos’altro, ragazzo, non c’è più bisogno di preti.
Anche in certi laboratori di biotecnologia, oggi, un ventenne potrebbe sentirsi dire così. Oppure semplicemente nel quotidiano rumore mediatico che dipinge il sacerdote come un resto del passato, uno che osa, folle, giudicare cosa è buono e cosa cattivo, e afferma l’assurda pretesa della castità. Quando poi, secondo l’ultima vulgata, quel nome – sacerdote – non è quasi immediatamente associato, come un’onta generalizzata, alla pedofilia. Un altro pensiero obbligatorio, senza divisa e senz’armi, ripete oggi, come fra le righe, che di sacerdoti non c’è più bisogno.
Proprio per questo il Papa ha esordito con quel ricordo. Come dicendo: anche a voi, ragazzi, diranno che non siete più necessari. Ma non impressionatevi. Non era vero nel ’44 e non è vero oggi: perché «gli uomini avranno sempre bisogno di Dio. Dove l’uomo non percepisce più Dio, la vita diventa vuota; tutto è insufficiente».
Non è vero forse? L’orizzonte annientato di un’esistenza ridotta a sola attesa di cose materiali, e l’angoscia sorda e inespressa davanti alla morte, se siamo solo polvere: non si respira questo forse nelle strade della nostre città, nelle periferie in cui si uccide per nulla o si muore, vecchi, soli, senza che neanche il vicino di casa se ne accorga?
Bisogno di Dio, più che mai, e di uomini che portino tra gli uomini il suo volto. Non un Dio ritiratosi in distanze siderali dopo il giorno della creazione, ma il Dio di Gesù Cristo, nato da donna, uomo fra gli uomini. E così i ragazzi che nei seminari crescono andranno - fra gli uomini: nelle città e nelle periferie del mondo, nelle aule di scuola in cui si diventa grandi e nelle stanze d’ospedale in cui si muore. Nel tempo che idolatra il denaro e il successo, scandalosamente testimoniando con la propria presenza che si vive per altro, e che non siamo destinati al nulla. «Non c’è più bisogno di preti». Lo dicono – lo gridano, lo insinuano, o lo annunciano sorridendo – i maestri del nostro tempo, i predicatori di un’umanità autosufficiente e distratta. Ma non è vero. C’è una domanda negli uomini, censurata spesso, e però sospesa nei pensieri: la domanda di un padre che ci conosca a uno a uno, un padre che abbracci e perdoni, e non disperda nel nulla il dolore e la fatica, ma ci conduca – noi affaticati, noi che non capiamo – in un disegno buono. C’è bisogno di Dio più che mai, nel tempo del superomismo tecnologico che convive con milioni di miserie e solitudini dimenticate. E come verrà quel Dio, nel terzo millennio? Come è già, come è sempre venuto: con la faccia di poveri uomini, non più buoni degli altri, non salvi dal male; ma che, chiamati, promettono di vivere per lui.
© Copyright Avvenire, 19 ottobre 2010
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