lunedì 14 dicembre 2009

Il Papa all'Hospice Sacro Cuore di Roma tra i malati di Alzheimer e Sla: accanto alle cure cliniche serve amore (Il Tempo)


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CITTÀ DEL VATICANO

Le cure palliative, insieme ad un'assistenza improntata al conforto psicologico, morale e spirituale, possono dare senso e dignità alla vita delle persone malate, oggi troppo spesso ritenute «un peso ed un problema per la società».
Un concetto sbagliato, secondo Benedetto XVI, foriero di tentazioni di eutanasia e di nuovi casi Englaro, sbagliato perché ci sono altre soluzioni e perché, dice il Papa, la malattia non va vista solo come mancanza, ma come una delle vie su cui è possibile incontrare il Signore e avvicinarsi alla «vita vera», che «non è qui».
In tempo d'Avvento, periodo liturgico di norma dedicato alla gioia dell'attesa del Natale, il Papa ha voluto visitare un centro romano per l'assistenza ai malati terminali, l'Hospice Sacro Cuore, denunciando la «prevalente mentalità efficientistica» della società moderna che «tende spesso a emarginare queste persone», dando spazio all'idea che a quel punto sarebbe meglio farla finita. Benedetto XVI non pronuncia mai la parola «eutanasia», ma lo fa per lui il presidente della Fondazione Roma che gestisce l'Hospice, Emmanuele Emanuele, affermando che le cure palliative rappresentano, secondo l'esperienza quotidiana del centro, che conduce fra l'altro ricerche sui farmaci antidolore derivante dagli oppiacei, una «risposta concreta alla crescente "voglia" di eutanasia che la società di oggi vuole imporci».
La visita del Papa all'Hospice si è svolta in uno stretto riserbo per rispetto alla privacy dei ricoverati, una trentina di malati oncologici, di Alzheimer e Sla, la maggior parte dei quali non in grado di riconoscerlo. Davanti a loro, ai loro familiari e al personale del centro, papa Ratzinger suggerisce una lettura dell'Avvento da una prospettiva insolita, parlando dell'«inizio» a chi si avvicina alla fine.
Benedetto XVI sfiora appena un elogio delle cure palliative, affermando che «sono in grado di lenire le pene che derivano dalla malattia e di aiutare le persone inferme a viverla con dignità». Ma precisa subito che «accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre offrire ai malati gesti concreti di amore, di vicinanza e di cristiana solidarietà» a chi chiede, anche senza voce, «comprensione, conforto e costante incoraggiamento». Poi si rivolge direttamente ai malati, invitandoli a «non perdere mai la fiducia e la speranza». Definisce la malattia «una prova dolorosa e singolare» che, «davanti al mistero di Dio» «acquista il suo senso e diventa dono e occasione di santificazione». Forse perfino un messaggio - dice - «per dire attraverso di voi una parola di amore a quanti hanno smarrito la strada della vita e, chiusi nel proprio vuoto egoismo, vivono nel peccato e nella lontananza da Dio».

© Copyright Il Tempo, 14 dicembre 2009 consultabile online anche qui.

Sfiora l'argomento cure palliative? Mi pare sia stato molto chiaro!
R.

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