martedì 9 febbraio 2010

Il ministro degli Esteri, Franco Frattini: La geopolitica di Benedetto XVI (Osservatore Romano)


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La geopolitica di Benedetto XVI

Nel pomeriggio di lunedì 8 febbraio è stato presentato a Roma il volume Quando il Papa pensa il mondo (Roma, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2009, pagine 200, euro 12) inserito nella collana dei classici di "Limes". Pubblichiamo stralci dell'intervento del ministro degli Affari esteri del Governo italiano.

di Franco Frattini

Il tema dell'incontro "quando il Papa pensa il mondo" sembra scelto con un tempismo perfetto: a pochi mesi dalla pubblicazione dell'enciclica Caritas in veritate e a pochi giorni da un altro testo particolarmente denso di contenuti, il messaggio per la giornata della pace 2010, dal significativo titolo "Se vuoi coltivare la pace salvaguarda il creato".
Si tratta di due riflessioni profonde, che hanno una caratteristica in comune: quella di abbracciare l'uomo, la società e il pianeta con un solo sguardo unitario. Si tratta di una sintesi di grande impatto, che nel suo forte richiamo all'etica, al ritorno dei "valori" tradizionali, ha raccolto un consenso vastissimo, ben al di là dei confini del mondo cattolico.
Se la rivista "Limes" ci chiama alla geopolitica una prima riflessione credo vada fatta sul significato che questo termine può avere per un Pontefice. Il Papa, per ragione stessa del suo ufficio di pastore universale, può comprendere le difficoltà "geopolitiche" degli Stati che collaborano o si contrappongono nella sfera del temporale. Ma certamente diversa è la sua ottica di pastore universale. Ricordo a questo proposito che proprio l'anno passato abbiamo festeggiato gli ottant'anni dei Patti Lateranensi. Ciò che rimane attuale dei Patti Lateranensi è la constatazione di quanto sia stata lungimirante la scelta di Pio XI di rinunciare a qualunque pretesa temporale, per dedicare completamente la Chiesa alla sua missione spirituale a livello dell'intero pianeta.
Questa missione ha dunque una "geopolitica" diversa, che potremmo definire universale, come i due ultimi testi di Benedetto XVI ci ricordano, e con estrema efficacia. Due testi che sono due facce della stessa medaglia.
Nell'enciclica si parte dall'uomo e si ritorna a esso passando attraverso una analisi stringente e molto critica della società di oggi - quella che ha prodotto la più grave crisi economica di tutti i tempi - per aver sottovalutato la necessità di un giusto bilanciamento fra interessi personali e collettivi, fra benessere di una fetta ridotta della popolazione e necessità di sviluppo dell'intero pianeta, fra mercati finanziari fini solo a se stessi e funzione sociale di una economia di mercato.
Nel messaggio per la giornata mondiale della pace questo richiamo forte all'etica si sposta dal piano delle scienze sociali a quello dell'ambiente. Con la stessa forza e la medesima logica stringente il Pontefice ci ricorda che l'intero pianeta è a rischio se l'umanità non viene spinta a comportamenti rispettosi dell'ambiente nel suo insieme. Ciò significa, ad esempio, uno sfruttamento corretto delle risorse del pianeta di cui tutti possano beneficiare, sia in senso geografico-spaziale, Paesi del nord del mondo come del sud, che in senso temporale: l'attuale generazione e le generazioni future hanno eguali diritti a poter vivere al meglio su questo pianeta. In termini biblici forse si potrebbe pensare che in un mondo globalizzato, sempre più la terra ci appare come un'arca e su quest'arca il Pontefice ci spinge a ritrovare quella armonia caratteristica della ritrovata alleanza, nata dopo il diluvio universale.
Se questa è la visione che il Papa ha del mondo, nella seconda parte del mio intervento vorrei sottolineare quali aspetti di questa "geopolitica planetaria" possano più facilmente essere assunti nella nostra "geopolitica", quella di uno Stato le cui posizioni, su molti temi, sono state tradizionalmente vicine a quelle della Chiesa. Mi limiterò a due esempi, che mi sembrano più caratteristici e incisivi: l'azione a favore dei diritti fondamentali della persona, e quella a favore dello sviluppo, soprattutto in Africa.
Sul tema dei diritti fondamentali della persona vi è un ampio consenso nella società civile e nel mondo politico italiano. Democrazia e diritti umani sono componenti essenziali della nostra azione nel mondo, perché riflesso di quel diffuso senso di solidarietà che permea la collettività nazionale. Si tratta di un elemento peculiare della nostra società, che spiega perché siano da noi così diffusi - più che in altri Paesi occidentali - i movimenti e le altre organizzazioni - anche di ispirazione non cattolica - che si dedicano stabilmente a opere di assistenza e di aiuto delle fasce più deboli della popolazione in Italia e all'estero.
Quel che mi preme sottolineare in questa sede è come nell'ambito dei diritti fondamentali appaia centrale la tutela della libertà di culto, intesa quale libera espressione pubblica - e non solo privata - delle proprie convinzioni religiose. In questo senso il Governo italiano ha sempre mostrato profonda sensibilità per la sorte delle minoranze cristiane in ogni parte del mondo, esercitando una costante azione a loro supporto. Vorrei a questo scopo ricordare che nel giugno scorso, dopo le notizie delle violente persecuzioni a danno dei cristiani in Pakistan, ho personalmente avviato nell'ambito dell'Unione europea una particolare iniziativa sulla libertà religiosa. Venendo poi a una precisa area geografica, anche in considerazione della presenza del cardinale Sandri, siamo convinti che in Medio Oriente la stabilizzazione passi attraverso la salvaguardia delle diverse comunità cristiane storicamente presenti nell'area e alle quali, in Libano, in Iraq e nei Territori Palestinesi, forniamo il nostro costante supporto.
A questo proposito, siamo fortemente interessati all'Assemblea speciale del sinodo che raccoglierà a Roma, nel prossimo mese di ottobre, i patriarchi e i vescovi del Medio Oriente e sin d'ora offro la mia disponibilità a incontrare i padri sinodali.
Abbiamo, come Governo, posto i problemi del continente africano e della lotta alla povertà al vertice della nostra agenda, nella convinzione che tutte le risorse, pubbliche e private vadano mobilitate nell'ottica di un approccio integrato che è l'unico che potrà, nel lungo termine, risultare vincente. L'Africa infatti non è più solo un problema, ma costituisce ormai anche una opportunità. Lo dimostra, tra l'altro, la sua risposta alla crisi economica mondiale, che si è dimostrata di gran lunga migliore rispetto a quella di altri continenti. In tal senso l'Italia sta promuovendo un vero e proprio approccio innovativo allo sviluppo che non sia esclusivamente focalizzato sul volume degli aiuti, ma valorizzi tutti i fattori in grado di innescare processi di crescita sostenibile.
Vorrei concludere menzionando due punti che potrebbero rappresentare quasi due aree "di lavoro comune" per le rispettive diplomazie nei prossimi mesi.
Da un punto di vista generale, anche nell'ottica di quella "geopolitica planetaria" che anima l'azione del Pontefice, ritengo che i grandi obiettivi che ci poniamo, stabilità internazionale, pace e sviluppo potranno essere raggiunti solo grazie a un rinnovato impegno per la realizzazione di un vero "multilateralismo efficace". Con questo termine intendiamo, sostanzialmente, la messa in opera di meccanismi realmente efficienti di concertazione, democratica e trasparente, fra i principali attori della comunità internazionale. La nostra proposta di riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, va proprio in questo senso.
Entrando invece nel dettaglio di un tema - che so caro anche alla Santa Sede - vorrei concludere il mio intervento ribadendo l'impegno del Governo nella richiesta di rinvio - di fronte alla Sezione allargata della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - della sentenza sulla esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Ritengo che questa sia una battaglia di civiltà, che il Governo combatterà con convinzione. Non si tratta, infatti, di lamentare un difetto di giurisdizione della Corte, né di accampare argomenti di diritto interno. Si tratta invece di affermare che ogni Stato è - e deve rimanere - libero di regolare come meglio ritiene, in funzione della sua storia, della sua cultura e della sua tradizione il rapporto fra il pubblico e la dimensione del sacro.

(©L'Osservatore Romano - 8-9 febbraio 2010)

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