venerdì 12 febbraio 2010

Sacerdoti a rischio estinzione. Il rimedio? «Più uomini veri». Il libro "Padre" di Massimo Camisasca (Tornielli)


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Sacerdoti a rischio estinzione Il rimedio? «Più uomini veri»

di Andrea Tornielli

Roma
«Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?».
È l’interrogativo che fa da sottotitolo al libro Padre, scritto da don Massimo Camisasca, allievo di don Giussani e fondatore della Fraternità sacerdotale San Carlo, una società missionaria che oggi conta più di cento preti e una quarantina di seminaristi.
Nel volume, da oggi in libreria, l’autore riflette sulle difficoltà che vivono i preti. I dati relativi all’Italia e all’Europa parlano chiaro: nel nostro Paese, nel 1978, i preti diocesani erano 41.627, nel 2006 si erano ridotti a 33.409, il 25 per cento in meno. Ancora più consistente il calo dei sacerdoti appartenenti a ordini religiosi, passati da 21.500 a 13.000, il 40 per cento in meno.
E mentre le proiezioni prevedono per il 2023 un calo dal 30 al 75 per cento dei preti italiani – l’Europa ha perso complessivamente il 20 per cento del clero diocesano, gli Usa il 17 per cento – aumentano notevolmente invece i preti in Africa (il loro numero è quadruplicato), in Asia (cresciuti del 137 per cento) e in America Latina, quasi raddoppiato.
Camisasca precisa che alla Chiesa «non interessa innanzitutto il numero dei sacerdoti, ma la verità della loro esperienza» e fa notare come oggi i problemi del prete siano «soprattutto di ordine affettivo», molti «sono soli, molti hanno perduto il gusto per la loro vocazione». Oggi i ragazzi hanno paura di fronte a scelte definitive e coinvolgenti, anche se «i più gravi ostacoli sono tra noi e dentro di noi. Perché sono venuti meno formatori che sappiano condurre i giovani seminaristi alla conoscenza di sé e alla confidenza di Dio? Perché ci si è illusi che bastassero le scienze umane? Perché abbiamo preferito creare dei patiti della liturgia, degli specialisti della preghiera, dei professionisti dell’azione sociale, ma non dei veri uomini, uomini maturi, uomini di Dio?».
L’autore cerca di individuare le possibili strade per una «rinascita» (a usare il termine più impegnativo di «riforma» è, nella prefazione, l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica), e indica nell’attivismo «una delle minacce più insidiose» per un prete oggi. Spesso il sacerdote attivista finisce per disperdersi «in una molteplicità di direzioni e di opere», con l’illusione di «salvare gli altri attraverso il nostro “fare”, mentre la carità ci spinge a entrare nell’azione di Dio, a diventare collaboratori di un’opera che ci precede e ci supera».
Occorre dunque che i preti tornino a studiare, perché silenzio, studio e riflessione non sono la negazione della vita attiva tra gli uomini ma la loro condizione.
Una parte consistente del volume è dedicata alla liturgia, che non è un’azione in cui il prete deve «farsi notare», né il luogo della sua creatività personale: «Il protagonista della liturgia è Cristo. Solo accettando il suo protagonismo – scrive Camisasca – possiamo diventare a nostra volta protagonisti».
Da qui la necessità di «una giusta sobrietà» ed essenzialità nella celebrazione liturgica, «perché appaia colui che la abita», dove fondamentale «è non prevaricare mai su ciò che la Chiesa ha tramandato nei secoli».
Bisogna evitare il rischio di vivere la liturgia come «un esilio in Dio che ci allontana dagli uomini» o, al contrario, «un piegarsi sugli uomini che ci allontana da Dio». No ai cambiamenti arbitrari («devo dire, nella mia ormai lunga esperienza, di non avere mai ascoltato un’espressione più intelligente di quella che si voleva cambiare») ma anche a una liturgia che si chiude in se stessa, autocelebrandosi e compiacendosi.
Infine, notevole spazio nel libro è dedicato alla «questione affettiva». Perché sia possibile una vita affettiva matura occorre, spiega don Camisasca, che ci sia un padre e dunque i vescovi devono dedicare più tempo ai loro preti e ai loro seminaristi, perché all’origine della solitudine del prete c’è spesso un’agenda del vescovo troppo occupata di convegni, riunioni, incontri. Il superiore della Fraternità San Carlo è infine convinto che l’abolizione del celibato «non porterebbe nessun bene alla vita dei preti» che devono invece riscoprire il valore dell’amicizia.

© Copyright Il Giornale, 12 febbraio 2010 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

occorre anche attuare una indicazione conciliare: quella della mobilità dei preti. Se una diocesi ha carenze di preti deve comunicarlo alla conferenza episcopale e le diocesi che hanno preti in più devono inviarne a chi ne ha bisogno. la Santa Sede deve comunicare ogni anno a tutte le diocesi del mondo le richieste di preti e le offerte dei medesimi; insomma una specie di borsino ecclesiale: cerco preti, offro preti.

Finora però ogni diocesi continua a vivere come se l'universo finisse oltre i confini diocesani.
Tempo fa andai sul sido della Cei e controllai il numero dei preti delle varie diocesi della mia regione: in alcune diocesi il numero dei preti era inferiore al numero delle parrocchie; in altre diocesi invece vi ho riscontrato un numero molto maggiore di preti rispetto alle parrocchie. Insomma, urgono iniziative per distribuire più razionalmente i preti.

Ed è urgente liberare i preti da incombenze burocratiche inutili; un esempio: che senso ha impegnare preti negli uffici per il sostentamento del clero? non sarebbero più adatti a quel ruolo dei ragionieri laici? sicuramente tra l'altro lavorerebbero meglio.

Anonimo ha detto...

"Perché abbiamo preferito creare dei patiti della liturgia, degli specialisti della preghiera (...)"

Non so dove veda Mons. Camisasca, tra i sacerdoti 'moderni',tutti qwesti specialisti di liturgia e preghiera!