giovedì 11 febbraio 2010

Il secondo tempo del j’accuse papale contro il gossip (Ajello)


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Il secondo tempo del j’accuse papale contro il gossip

di MARIO AJELLO

ROMA - Con chi ce l’ha il Papa?
Basta ricordarsi di quanto l’8 dicembre 2009, giorno dell’Immacolata, Ratzinger criticò i media che «intossicano», i loro pettegolume, la loro ricerca spasmodica e «ossessiva» del sensazionalismo a tutti i costi, per capire come la nota papale di ieri - inusuale e durissima sulla vicenda Boffo-Vian - rientra in una visione generale che il pontefice ha dei media ed è una visione tutt’altro che positiva. Anzi, piuttosto pessimistica.
Ratzinger è un Papa tutto concentrato sui suoi studi teologici, poco appassionato al mondo della comunicazione, restio alla società dell’immagine di cui il suo predecessore era grandissimo campione, distaccato rispetto allo spettacolo globale in cui le fonti d’informazione sguazzano e che costruiscono - «irresponsabilmente», come Benedetto XVI precisò l’altra volta - a creare. Ma il clamore e le possibili ricadute traumatiche degli articoli, dei retroscena, delle ricostruzioni dei fatti, delle illazioni più o meno dietrologiche e delle interessate strumentalizzazioni a mezzo stampa hanno spinto Ratzinger in questi giorni a mettersi a leggere tutto sul ”caso Boffo-Vian” e a farsi un’idea.
Che è subito diventata una cattiva idea.
Ha anche incaricato il suo segretario particolare, monsignor Georg Gaenswein, di chiedere informazioni specifiche e dettagliate ad alcuni vescovi e cardinali italiani. E tutti gli hanno fatto presente i rischi che la baraonda mediatica stava creando nei sacri palazzi e il disorientamento che stava producendo nella comunità dei fedeli.
Risultato di questo attenta rassegna stampa, arricchita da fonti orali, condotta dal papa? Quel che si legge nella nota di ieri. Con chi ce l’ha Ratzinger? «Il Foglio» di Giuliano Ferrara, parrocchia di «atei devoti» che da tempo sta menando fendenti contro Vian ritenendolo responsabile delle sfortune di Boffo, si chiama fuori. Oggi comunque comparirà un editoriale nel quale si dice che «nell’interpretazione dei fatti, ci siamo comportati con la consueta libertà di tono e, pur contrari alla pena di morte, abbiamo sarcasticamente ipotizzato che nel giro di qualche tempo la Santa Sede avrebbe provveduto a ”decapitare” il professor Vian. Sostituendolo con un giornalista o con un funzionario che sia meno innamorato delle chiacchiere di portineria».
Insomma, è battaglia. Da una parte chi lamenta la «violenza verbale» con cui dal Vaticano si starebbe cercando di silenziare ed esporre alla gogna l’informazione laica, anche se amica. E dall’altra parte, gruppi - come quello assai nutrito apparso ieri su Facebook - che si battono «contro le menzogne anti-Vaticano» e si propongono questa missione: «Contrastare le aggressioni mediatiche contro il cristianesimo e i cattolici. Che vanno: dal vilipendio del Sommo Pontefice alla satira irriverente, dalla provocazione del senso religioso al falso storico», come nel caso della bufera su Vian.
Quanto al j’accuse ratzingeriano, si tratta dunque - al di là del caso specifico - dell’ennesima sconfessione da parte del Santo Padre nei confronti della morbosità dei media, del loro gusto a calpestare oltre che la verità «la dignità delle persone» (come disse nel giorno dell’Immacolata), del rincorrersi sulla via del peggio, dello smarrire il «senso del limite» e della responsabilità nei confronti delle vite degli individui, sia quelli famosi sia quelli normali. Stiamo divagando? Niente affatto.
Il timore di Ratzinger riguarda, se vogliamo elevarci un po’ dai colpi bassi che s’affollano dentro e intorno alle sacre stanze, l’informazione che abbandona la propria funzione di testimone della realtà, per assumere il ruolo meno rassicurante di voyeur pervasivo. Che fagocita il mondo reale. E anche quello curiale.

© Copyright Il Messaggero, 10 febbraio 2010

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