lunedì 31 maggio 2010

Il cardinale Walter Kasper sui rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo: Una svolta decisiva e irrevocabile (Osservatore Romano)


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Il cardinale Walter Kasper sui rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo

Una svolta decisiva e irrevocabile

Liverpool, 31. Sebbene la Shoah non possa essere attribuita al cristianesimo, il suo diffondersi è stato favorito anche da secoli di antigiudaismo cristiano. Tuttavia, da parte cattolica una svolta «decisiva» e «irrevocabile» è stata compiuta a partire dal concilio Vaticano ii. È quanto ha detto il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani nonché della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, nel corso di una conferenza tenuta, lunedì 24, presso l'università «Hope» di Liverpool.
Il porporato ha fatto accenno anche alle polemiche sui presunti silenzi di Pio xii durante il secondo conflitto mondiale, ritenendo che tale controversia «è destinata a durare e la questione storica resterà una questione aperta, con differenti interpretazioni, anche dopo l’apertura degli archivi segreti del Vaticano, e forse la discussione continuerà fino alla fine dei tempi». Già sin d'ora però — ha sostenuto — si può con certezza ricordare il ruolo svolto da Papa Pacelli per la salvezza degli ebrei. Pio xii — ha detto Kasper — «non era un uomo dai gesti profetici, era un diplomatico e ha deciso non di tacere ma di essere moderato nelle dichiarazioni pubbliche» perché sapeva che parole più forti non avrebbero migliorato la situazione e anzi avrebbero dato adito a «una vendetta brutale e peggiorato la situazione». Così, per esempio, dopo la deportazione di oltre mille ebrei da Roma nell’ottobre del 1943, «Pio xii ordinò alla Chiesa d'offrire un asilo generale in tutti i conventi e le case ecclesiastiche, compreso il Vaticano e Castel Gandolfo. Secondo stime autorevoli circa 4.500 ebrei vi furono nascosti».
Nella conferenza Kasper ha presentato un rapido excursus sulle relazioni storiche e teologiche tra cattolici ed ebrei, ricordando in particolare il 45° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra Aetate (28 ottobre 1965) che ha posto le basi per la nuova e attuale stagione del dialogo. «La storia delle relazioni tra ebrei e cristiani — ha detto il porporato — è complessa e difficile. Accanto a tempi più favorevoli, quando per esempio i vescovi tenevano gli ebrei sotto la loro protezione contro i pogrom delle masse, ci sono stati tempi bui che hanno fortemente segnato la coscienza collettiva ebraica. La Shoah, lo sterminio programmato dallo Stato di circa sei milioni di ebrei europei, basata su una primitiva ideologia razziale, rappresenta il momento più tragico di questa storia. L'olocausto non può essere attribuito al cristianesimo in sé, poiché è caratterizzato da elementi chiaramente anti-cristiani. Tuttavia — ha rilevato — anche l'antigiudaismo teologico cristiano, vecchio di secoli, ha contribuito al suo insorgere, favorendo il diffondersi di un'antipatia verso gli ebrei, di modo che l'antisemitismo fondato su basi ideologiche e razziali ha poi potuto prevalere in modo così atroce e la resistenza contro una barbarie così disumana non è stata in grado di affermarsi con la chiarezza e la forza necessarie».
Da allora molta strada è stata compiuta, anche se «sfortunatamente», c'è voluta proprio «l'efferatezza senza precedenti della Shoah per arrivare ad un ripensamento fondamentale». Questo avvenne dopo il 1945 in maniera diffusa tra i cristiani. E «da parte cattolica, la dichiarazione del concilio Vaticano ii, Nostra Aetate, ha segnato la svolta decisiva.
Una svolta che, come ha di nuovo sottolineato in maniera inequivocabile Papa Benedetto xvi durante la sua visita alla sinagoga di Roma il 17 gennaio 2010, è irrevocabile. È irrevocabile per il semplice fatto che gli argomenti teologici decisivi della dichiarazione Nostra Aetate sono iscritti saldamente nelle due più autorevoli costituzioni conciliari, la costituzione dogmatica sulla Chiesa e la costituzione dogmatica sulla rivelazione divina».
In Nostra Aetate «fondamentale è il riconoscimento delle radici giudaiche e del patrimonio giudaico del cristianesimo. Proprio per queste radici e per questo patrimonio, come affermò Papa Giovanni Paolo ii durante la sua visita alla sinagoga di Roma il 13 aprile 1986, l'ebraismo non è esterno ma interno al cristianesimo. Il cristianesimo ha una relazione unica con l'ebraismo. Questo espresso riconoscimento supera il vecchio antigiudaismo. La seconda importante affermazione riguarda la condanna dell'antisemitismo. Nella dichiarazione, la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque”. Entrambe le affermazioni sono state più volte ribadite da Papa Giovanni Paolo ii e da Papa Benedetto xvi, soprattutto durante le loro visite alla sinagoga di Roma e ad Auschwitz».
Così, nel corso degli anni, «la distanza è stata ridotta; fiducia, cooperazione e amicizia sono state pian piano costruite e cementate». E anche «il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede e l'instaurarsi di relazioni diplomatiche formali nel 1993 sono stati possibili solo sulla base di Nostra Aetate».
Ovviamente — rileva il porporato — «dopo una storia così lunga di allontanamento reciproco e a causa delle differenze che tuttora persistono tra ebrei e cristiani, è inevitabile che malintesi e controversie continuino ad emergere». Tra questi, vengono ricordati per esempio «le critiche sollevatesi intorno alla riformulazione dell'intercessione per il rito straordinario della liturgia del Venerdì santo, intorno all'atteggiamento di Papa Pio xii nei confronti della Shoah durante la seconda guerra mondiale ed intorno alla questione della missione agli ebrei». Questioni che «tramite uno scambio di corrispondenza e conversazioni a livello ufficiale e grazie alla fiducia reciproca che nel frattempo si è instaurata, è stato possibile, in tempi relativamente rapidi, chiarire e in parte superare».
Tali controversie — ha aggiunto — «hanno nuovamente attirato l'attenzione sulle differenze esistenti tra ebrei e cristiani, fondamentali per entrambe le comunità. Si tratta di differenze di fondo, che trascendono le animosità occasionali, e che finora non sono state trattate ed elaborate in maniera sufficiente. Tra queste ricordiamo questioni cruciali come la confessione cristiana di Gesù come Cristo (ovvero Messia) e Figlio di Dio, che è direttamente legata alla comprensione trinitaria del monoteismo biblico, l'importanza salvifica universale di Gesù Cristo, la sua morte e risurrezione, la liberazione dalla legge e molto ancora». Naturalmente, «non è concepibile cancellare queste profonde differenze con una forma di sincretismo, né sarebbe giusto relativizzarle. E certamente, nella discussione non deve entrare in gioco un proselitismo nascosto. La base del dialogo deve essere piuttosto il riconoscimento che ebrei e cristiani differiscono su questi argomenti e che devono rispettarsi e apprezzarsi gli uni gli altri nella loro alterità. Ma proprio per il reciproco rispetto e apprezzamento, nel nuovo clima di fiducia l'obiettivo principale deve essere quello di ridurre i vecchi malintesi e trovare possibili approcci per comprendere la posizione altrui».
Per Kasper «l'eredità comune di ebrei e cristiani comprende la vocazione a una comune testimonianza dell'unico Dio e dei suoi comandamenti. Ciò comporta anche la critica dei falsi idoli del nostro tempo, l'impegno a favore della dignità umana, della giustizia e della pace nel mondo, la difesa del valore della famiglia e dell'integrità del creato». E, soprattutto, «ebrei e cristiani guardano al futuro insieme: in mezzo ai drammi e alla disperazione del mondo, testimoniano insieme la speranza di una giustizia perfetta e di uno shalom universale che solo Dio potrà donare alla fine dei tempi».

(©L'Osservatore Romano - 31 maggio 1 giugno 2010)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

insomma Pio XII non avrebbe agito da Papa, ma da diplomatico... e a dirlo è uno della Curia (!!!???)

Anonimo ha detto...

"senectus ipsa medicina" aspettiamo ansiosamente che per lo scorrere dell'età Kasper la smetta finalmente di far danni, anche se quello che ha combinato finora, più che irrevocabile, lo definirei irreparabile.

raffaele ha detto...

Ce ne fossero altri come Kasper! I danni li fanno altri: i vari Williamson, Castrillon Hoyos ecc.

Anonimo ha detto...

Raffaele,

i danni possono essere di vario tipo.
Quello commesso da card. Kasper, a mio avviso, è quello contro la verità: pur di piacere a tutti va talvolta contro le verità di fede.
Se questo per un prinicipe della Chiesa non è un danno!
jacu