mercoledì 30 giugno 2010
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CORTE USA - VATICANO - Richiesta infondata
La Chiesa non è una multinazionale
La Corte suprema degli Stati Uniti ha ritenuto di non dover prendere in esame il ricorso presentato dalla Santa Sede per contestare una causa avanzata contro di lei nello Stato dell’Oregon, e ha rinviato il caso alla Corte distrettuale di questo Stato. Nel procedimento un cittadino dell’Oregon, che afferma di essere stato da ragazzo vittima di abusi sessuali da parte di un sacerdote, ha chiesto un risarcimento alla Santa Sede colpevole a suo dire di essersi limitata a trasferire il religioso, nonostante le accuse di abusi. Il sacerdote in questione è il reverendo Andrew Ronan, dell’Ordine dei Servi di Maria, dimesso dallo stato clericale nel 1966 e deceduto nel 1992, quando era sacerdote della parrocchia di St. Albert a Portland, in Oregon. Ronan a suo tempo aveva ammesso di avere abusato di minorenni nell’arcidiocesi irlandese di Armagh, e successivamente nella scuola superiore di St. Philips, a Chicago, prima di essere trasferito a Portland. Sulla vicenda abbiamo chiesto il parere di Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa e presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
“Occorre anzitutto tener conto – premette il giurista – della particolare concezione della Chiesa presente nell’ordinamento americano, considerata quale corporation. In sostanza, anche se in maniera assolutamente impropria, la Chiesa viene paragonata ad una sorta di multinazionale. Da qui discendono alcune conclusioni peraltro assolutamente improprie”. Anzitutto, spiega Dalla Torre, “perché la Chiesa non è una multinazionale; poi perché ogni diocesi ha una sua propria autonomia; infine – e qui i giudici americani dovrebbero fare un’attenta riflessione – perché è contraddittorio considerare, da un lato, la Chiesa una corporation e, dall’altro, intrattenere con la Santa Sede, ossia con il governo di questa stessa Chiesa, relazioni diplomatiche”. Proprio l’esistenza di tali relazioni esclude, secondo il rettore della Lumsa, che la Santa Sede possa essere qualificata “una qualsiasi multinazionale, imputandole delle responsabilità”. Queste “potrebbero essere eventualmente ascrivibili solo alla diocesi, laddove peraltro si dimostri che vi sia stata una sua culpa in vigilando, in quanto, pur essendo a conoscenza di fatti criminosi commessi da un determinato sacerdote non abbia assunto provvedimenti idonei ad evitare il loro ripetersi”. È insomma “evidente la totale estraneità della Santa Sede”.
“Le Chiese particolari – prosegue Dalla Torre – hanno una loro autonomia; ogni prete secolare è incardinato in una diocesi. Nel caso in questione, inoltre, sembra che questo sacerdote appartenesse ad un istituto religioso, pertanto il suo trasferimento poteva essere deciso solo dal superiore di quell’ordine.
In nessun caso, comunque, il diritto canonico prevede che la Santa Sede possa trasferire d’autorità un prete da una diocesi ad un’altra”.
Occorre “peraltro precisare che in caso di reati commessi da sacerdoti il vescovo diocesano o il superiore dell’ordine religioso sarebbero responsabili non del fatto criminoso in sé, ma qualora fossero stati a conoscenza del comportamento penalmente perseguibile, non avessero adottato provvedimenti tali da impedirne la reiterazione”. Infine “non è corretto qualificare il rapporto sacerdote-vescovo o sacerdote-superiore religioso un rapporto di lavoro, né, tantomeno si può considerare il reverendo Ronan ‘dipendente’ del Vaticano”.
Secondo il giurista “non è dunque ravvisabile, nel caso di specie, quel ‘rapporto di dipendenza professionale diretta’” invocato dai difensori del querelante, che costituirebbe “un’eccezione all’immunità degli Stati sovrani. È pertanto indubbio – conclude Dalla Torre – che, in quanto Stato sovrano, il Vaticano è assolutamente immune dal giudizio di un Tribunale straniero”.
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