mercoledì 7 luglio 2010

L'immutabile destino della Chiesa: trionfante e sofferente insieme. Il Papa è addolorato ma non angosciato (Messori). Stupendo commento!


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L'immutabile destino della Chiesa: trionfante e sofferente insieme

di Vittorio Messori

C’è il senso del pontificato intero di Benedetto XVI nella istituzione, il giorno della festa di Pietro e Paolo, del nuovo Pontificio Consiglio per la rievangelizzazione dell'Occidente secolarizzato, per il riannuncio della fede in un mondo dove «il Dio di Gesù sembra eclissarsi».
E c’è un significato preciso, se il neonato Consiglio è stato affidato a un arcivescovo come Rino Fisichella, specialista in quella antica «apologetica» che oggi si preferisce chiamare «teologia fondamentale». Per capire, bisogna porsi alcune domande. Cominciando dalla più importante: la Chiesa cattolica è davvero in grave difficoltà? In realtà, teologia ed esperienza storica mostrano che sempre è stata, e sempre sarà, al contempo triumphans et dolens. Come il suo Fondatore sarà sempre, parola di Pascal, viva e feconda e, al contempo, come agonizzante.
Clero indegno, tra abusi sessuali e affarismi? Nessuna sorpresa, essendo, nel suo volto umano, sia casta che meretrix, sia madre dei santi che rifugio e patria dei peccatori.
Perseguitata? Se non lo fosse, smentirebbe il monito del Cristo ai discepoli, che
non possono avere sorte diversa dal Maestro. In decadenza numerica, quanto a praticanti e vocazioni? Doveroso, in fondo, poiché il suo destino, come prevede il Vangelo, è di essere «piccolo gregge», «lievito», «sale», «granello di senape».
È semplice catechismo. Sbagliano, dunque, coloro che si avventurano in improbabili analisi, immaginando un Benedetto XVI «angosciato» per questo tipo di problemi. Proprio per la sua prospettiva di fede, papa Ratzinger è molto addolorato, e non manca di dirlo pubblicamente ma, al contempo è lontano dalla «angoscia».
Quando mi descriveva la situazione inquietante, della Catholica nella tempesta postconciliare, mi permisi di chiedergli se, malgrado tutto, le sue notti fossero tranquille. Mi guardò sorpreso: «Perché non dovrei dormire? Dobbiamo fare, tutti, il nostro dovere sino in fondo. Ma saremo giudicati da Gesù sulla buona volontà, non sui risultati. La Chiesa non è nostra. Noi siamo solo l'equipaggio di un barca che è Sua, è Lui che tiene il timone e stabilisce la rotta. Sappiamo che ci saranno tempeste, anche terribili, che le sofferenze di ogni tipo non mancheranno ma sappiamo anche che non affonderemo e che prima o poi arriveremo al porto».
Se «angoscia» c'è, nel papa, non è certo per tribolazioni spesso provvidenziali, in ogni caso già annunciate venti secoli fa. C'è un sospetto di angoscia, semmai, per la constatazione— che in lui è sempre stata lucida e costante — che è proprio la fede che oggi fa problema.
Nulla può turbare il Pastore, se nel clero e nei laici regge la fiducia nella esistenza di Dio, nella verità del Vangelo, nella Chiesa come corpo del Cristo. Nulla può stare in piedi, invece, se ci si convince che ci sono Caso, Materia, Evoluzione cieca al posto di Dio; che la Scrittura non è che un'antologia caotica di remota letteratura semitica; che la Chiesa è una multinazionale affaristica o, a esser benevoli, la maggiore delle Ong, una Croce Rossa con l'hobby della religione. Per due volte, solo negli ultimi mesi, Benedetto XVI ha ripetuto — e ogni volta, sì, con un sospetto di angoscia —: «La fede rischia oggi di estinguersi come una fiamma che non trova più alimento». A Fatima ha ricordato l'equivoco di tanto attivismo clericale, che si affatica sulle conseguenze morali, politiche, sociali da trarre dalla fede, senza però interrogarsi sulla verità e credibilità di quella fede. Cosa che, oggi, non è affatto scontata. E non lo è a tal punto che una volta, a tavola, gli sentii sfuggire una confidenza: «Oggi, in Occidente, chi mi stupisce non è l’incredulo, è il credente».
Nella sua inquietudine, certa intellighenzia e nomenklatura ecclesiali non lo confortano ma, spesso, sembrano contrastarlo. Come ha ripetuto in questi giorni, è consapevole che i maggiori pericoli per la Chiesa vengono dal suo interno, e non solo per il peccato del denaro, dell'arrivismo, della carne.
Sa meglio di tutti (un quarto di secolo alla Congregazione per la fede non sono stati vani) che molta teologia, magari dispensata nelle università «cattoliche» se non «pontificie», è infida, insinua il dubbio e mina le certezze.
Sa che tanta esegesi biblica disseziona la Scrittura come fosse un qualunque testo antico, accettando acriticamente un metodo che chiama «storico-critico» creato nel Novecento da atei o da protestanti secolarizzati e che più che critico è ideologico. La base stessa su cui tutto si fonda, la Risurrezione di Gesù nello spirito ma anche nel corpo, è messa in dubbio se non respinta da preti e frati in cattedra. Sa che le basi dell'etica cattolica sono negate, nella pratica, da tanta pastorale. Sa che, nei seminari, i pochi giovani superstiti dipendono, più che dal direttore spirituale, da sociologi e psicologi: e se increduli, tanto meglio, non è forse segno di «illuminata apertura»?
Se, dunque, «la fiamma» si spegne è anche perché tanti, che pur dovrebbero, non l'alimentano, anzi lavorano per estinguerla. È tempo, dunque, di gettare fascine nel braciere, riscoprendo quel lavoro di ricerca della credibilità della fede, quell’accordo tra il credere e il ragionare che è sempre esistito nella Chiesa e che dopo il Concilio era stato abbandonato. È tempo, insomma, di ritorno all’apologetica, per ridare alimento alla fiaccola, spenta la quale niente avrebbe più senso e San Pietro, con il Vaticano intero, potrebbero essere consegnati all’Unesco come semplice «patrimonio artistico della umanità». Non a caso monsignor Fisichella, specialista proprio di apologetica— o teologia fondamentale, che dir si voglia— è sembrato a Benedetto XVI il «fuochista» adeguato. Un lavoro arduo attende l'arcivescovo, cardinale se farà bene. Qui, per la Chiesa, tutto è in gioco: e non basteranno i soliti convegni, dibattiti, «cattedre di non credenti» o la solita «documentite» ad uso interno. Ci vorranno nuovi apologeti, rispettosi di tutti e al contempo coriacei nel mostrare le ragioni per le quali il credente non è un credulo, perché il Vangelo è «vero».

© Copyright Corriere della sera, 7 luglio 2010 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Raffa, oggi cade il terzo anniversario del MP Summorum Pontificum, in un generale "pudico" silenzio.
Alessia

Anonimo ha detto...

Concordo. Personalmente ho difficolta' a credere in Dio, dei problemi della chiesa mi tange ben poco. La preferisco sofferente e vicino ai poveri, che trionfante (che nasconde la sporcizia sotto il pavimento, e si e' visto...).
A Messori consiglio un nuovo libro: Dicono che doveva tornare presto!
Alla curia, quando potra', di sviluppare i novissimi e ridefinire solennemente in cosa credere o no e magari tracciare anche un piccolo bilancio di 2000 anni.
Certo per Dio un giorno e' come 1000 anni, ma la chiesa e' anche quaggiu'. E poi mica sono convinto che Gesu' si sia incarnato per lasciare questo mondo sempre uguale fino alla fine del mondo, che a questo punto, pare, non arrivera' mai.
Alberto2