domenica 4 luglio 2010

Lo storico Valeri illustra la figura e l’opera rinnovatrice di Pietro da Morrone dentro la Chiesa: «Monaco eremita che insegnò il perdono» (Greco)


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«Monaco eremita che insegnò il perdono»

Lo storico Valeri illustra la figura e l’opera rinnovatrice di Pietro da Morrone dentro la Chiesa

DI PIERGIORGIO GRECO

Un monaco con una missione chiara: far scoprire a tutti il perdono e l’amore di Dio. Un monaco che, per questo, realizzò le attese più profonde del suo tempo, scelto dallo Spirito Santo per lasciare un segno indelebile tra le pieghe di una storia fatta di lotte di potere ma anche di profondi desideri di purificazione. Questo è stato Pietro da Morrone, conosciuto soprattutto per diventato Papa con il nome di Celestino V: una figura imponente, legata con Sulmona - nei cui pressi visse come eremita - e L’Aquila, dove fondò monasteri e venne incoronato Pontefice: due città scelte da Benedetto XVI - nel capoluogo abruzzese papa Ratzinger si recò all’indomani del sisma del 2009 - anche per questo legame con la figura del santo divenuto Papa 'ma che rimase sempre un monaco' spiega il professor Elpidio Valeri, profondo conoscitore e appassionato di storia dell’Aquila, la sua città.

Chi era Celestino V?

Era innanzitutto un monaco, cioè un uomo che prima di lasciarsi attrarre dalle vicende del mondo rimase sempre un uomo di Dio. Questo non vuol dire che non ebbe a che fare con potenti, dignitari, re e imperatori: la sua vita è un continuo confronto con questo mondo, ma non ne rimase intrappolato.

Un monaco eremita.

Pietro Angeleri, noto come Pietro del Morrone per la sua frequentazione di una grotta sul Morrone a ridosso di Sulmona, era monaco benedettino, probabilmente cistercense. In molti rimasero affascinati dalla sua scelta eremitica, al punto che nel 1263 (quando aveva cinquantatré anni) la comunità che era nata attorno a lui venne riconosciuta come congregazione dei Fratelli dello Spirito Santo, interna ai benedettini, e che sarebessere be diventata l’ordine dei Celestini dopo la sua morte. Tale congregazione nel tempo crebbe sensibilmente, fino ad arrivare a quaranta monasteri, che Pietro difese strenuamente da invidie e mire di alti prelati. Il futuro Papa si dedicò direttamente alla crescita di questi cenobi fino a quando decise che tale attività non era di suo interesse, ritirandosi di nuovo sul Morrone. Proprio qui gli fu comunicata nel 1294 la sua elezione a Pontefice.

Perché proprio lui?

Per una ragione 'politica': a differenza del suo predecessore Niccolò IV, infatti, Celestino non era un Papa principe ma solo un monaco, slegato da dinastie e lotte di potere. Ma la ragione principale è soprattutto che i cardinali riuniti a Perugia rimasero colpiti da una lettera che Pietro spedì loro, nella quale li invitata a fare presto (il soglio pontificio era vacante da due anni) per evitare nuovi flagelli sulla cristianità. La scelta cadde su di lui, considerato come un pontefice scelto direttamente dallo Spirito Santo.

Che cosa comportò questa scelta?

Fu considerata l’avvento della vita nuova: un monaco, alla guida della Chiesa, in un secolo dove il pauperismo aveva predominato. Anche il popolo gioì per la sua elezione. Inizialmente Celestino ebbe paura, ma poi colse la palla al balzo per fare quel gesto autenticamente rivoluzionario che segnò definitivamente un pontificato di appena quattro mesi: la concessione del Perdono, mediante il quale fu accordato a tutti, senza distinzione alcuna, la remissione delle pene e delle colpe sin dal battesimo, chiedendo solo la visita tra il 28 e il 29 agosto alla basilica di Collemaggio a L’Aquila, dove tuttora riposano le sue spoglie. Qualche mese dopo Celestino si convinse che proprio quella era la sua missione, e che l’esercizio della carica papale non era adeguata ai suoi ideali, restituendo la tiara per tornare ad essere soltanto un monaco, al punto che nel 1313 fu alzato agli altari con il nome di San Pietro Confessore, non come San Celestino.

Dante, a proposito di lui, parlò di 'viltà' e 'gran rifiuto'.

Probabilmente non si riferiva a lui: Dante era un cristiano troppo 'ortodosso' per collocare nell’Inferno un santo riconosciuto dalla Chiesa. Su quel verso, forse, non è stata detta ancora l’ultima parola.

© Copyright Avvenire, 4 luglio 2010

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