sabato 4 settembre 2010
Anche il Papa parla di lavoro. È un filo solido quello che lega Benedetto XVI al suo predecessore Leone XIII (Valli)
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Anche il Papa parla di lavoro
Aldo Maria Valli
È un filo solido quello che lega Benedetto XVI al suo predecessore Leone XIII. Per questo la visita di domani a Carpineto Romano, paese natale di papa Pecci, sarà per Ratzinger l’occasione di ribadire alcuni principi che gli stanno particolarmente a cuore in campo sociale ed economico.
Così come fece Leone XIII con la Rerum novarum nel 1891, anche Benedetto XVI, con la Caritas in veritate del 2009, non si limita a un’analisi del tempo, ma formula proposte. Per Ratzinger come per Pecci, non è l’uomo per l’economia, ma l’economia per l’uomo.
Ne discende che l’economia, per essere al servizio dei singoli e delle comunità, va ancorata ai valori che il diritto naturale riconosce come universali: il primato della persona sullo stato, il principio di sussidiarietà, la valorizzazione dei corpi intermedi, la libertà di intrapresa, la condanna dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la dignità del lavoro.
Ratzinger, inoltre, proprio come papa Pecci, è un antiperfettivista. Non esistono sulla terra mondi ideali e occorre guardarsi da chi li annuncia. Il realismo cristiano non chiede certamente di cadere nell’apatia, ma mette in guardia dai sogni palingenetici che puntualmente riducono alcuni uomini a strumento di altri.
Su questo sfondo generale, la proposta di Benedetto XVI è di tornare alla realtà. Se Leone XIII denunciava da un lato il marxismo e dall’altro il capitalismo selvaggio, Ratzinger lancia l’allarme contro i moderni nemici. L’economia di carta ha dimostrato tutta la sua pericolosità e conduce al disastro. La concentrazione delle decisioni in pochi supergruppi sfocia in nuove forme di sfruttamento. La finanza è uno strumento: se diventa un fine si va al collasso. Le responsabilità vanno allargate e condivise. Un nuovo ordine mondiale è necessario e, al centro, deve esserci l’uomo. Anche l’economia, come ogni altro ambito umano, si nutre di verità. Se la verità viene meno, ecco l’ingiustizia. La globalizzazione offre opportunità, ma va governata. Occorre una civilizzazione dell’economia.
Venendo all’Italia, gli allarmi del Vaticano e soprattutto dei vescovi sono noti. Anche di recente è stata denunciata la mancanza di una vera politica economica e sociale. Nulla è stato fatto per le famiglie e per i giovani. Esplicito l’apprezzamento del cardinale Bagnasco per le parole del presidente Napolitano sulla Fiat e netto il giudizio di Avvenire su Marchionne, quando il giornale della Cei ha scritto che l’azienda nella recente vicenda dei tre lavoratori non reintegrati ha sbagliato «volutamente e coscientemente». Il presidente dei vescovi ha detto e ripetuto che l’occupazione è un dramma nazionale e ha denunciato la mancanza di riforme in grado di produrre crescita. E non meno deciso è stato l’affondo quando ha osservato che il paese è ormai privo di una classe dirigente in grado di affrontare i problemi e governare le trasformazioni.
Tutti questi spunti saranno ripresi da Benedetto XVI nel sottolineare la modernità di Leone XIII, il pastore che guidò la Chiesa mentre la rivoluzione industriale cambiava il mondo con una velocità mai vista prima. Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e fra i più ascoltati consiglieri economici del papa, ha scritto che non esiste un’economia cattolica, ma esistono i cattolici in economia. È soprattutto a loro che papa Benedetto si rivolge nel chiedere un sussulto morale, ammonendo che solo ciò che è veramente morale è anche veramente logico e razionale.
© Copyright Europa, 4 settembre 2010 consultabile online anche qui.
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2 commenti:
anche sulla Croix la recensione del libro di Tornielli e Rodari.
http://rome-vatican.blogs.la-croix.com/qui-en-veut-au-pape-2/2010/09/03/
L'autore, che peraltro in diverse occasioni ho trovato un po' lesso, dice che l'opinione dei nostri Tornielli e Rodari è condivisa, in linea di massima dal mondo dei vaticanisti.
E allora a me scappa un "Ah sì? e non si potevano dire certe cose prima?"
Sono 5 anni che si sta a patire su certe scorrettezze, alcune persino sgangherate.
Inoltre mi rimane una puntina di aceto sulla lingua perchè su certo andazzo quanti giornalisti hanno seguito il belare dei montoni più grossi partecipando alla schifezza che ci è toccato sorbirci?
Ma dico quando si faranno nomi e cognomi del mondo della stampa? Ve lo dico io: mai.
Qualcuno avrà mai il coraggio di dire che il NYT ha pestato qualche popò? E che l'AP si è fatta veicolo di certi linciaggi recenti ripresa dai siti e dalla stampa di tutto il mondo che non ha necessariamente degli inviati a Roma o il vaticanista in redazione?E' meglio parlare sempre dei problemi di comunicazione del Vaticano rimestando sempre gli stessi muffi argomenti o no?.
Ma perchè queste cose non le scrivi sul sito della Croix, direte voi?
Perchè mi stanno sull'anima.
Mariateresa cara, proprio perché ti stanno sull'anima dovresti scrivergliele queste cose :-)
Alessia
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