domenica 5 settembre 2010

Oggi l’omaggio a Leone XIII profeta di giustizia sociale (Gambassi)


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Oggi l’omaggio a Leone XIII profeta di giustizia sociale

DI GIACOMO GAMBASSI

Alla storia è passato come il Papa del­la «questione sociale» o – con un’ac­cezione semplicistica – della terza via fra liberalismo e socialismo. Ma l’enciclica che lo ha reso celebre, la Rerum Novarum , rac­chiude solo in parte la lungimiranza e la spi­ritualità di Leone XIII, salito al soglio pontifi­cio nel 1878 e morto nel 1903. «Se giustamente papa Vincenzo Gioacchino Pecci è conside­rato il capostipite della dottrina sociale della Chiesa, lui è anche il Pontefice che coglie nel­la cultura un terreno privilegiato d’impegno per i cattolici e che alimenta un’autentica vi­sione universale della Chiesa», spiega Anni­bale Zambarbieri, ordinario di storia del cri­stianesimo e delle Chiese all’Università di Pa­via.
Oggi Benedetto XVI sarà a Carpineto Roma­no, borgo nella diocesi di Anagni-Alatri, dove due secoli fa è nato l’autore della Rerum No­varum.
Una visita-omaggio al Pontefice poe­ta – scriveva carmina in latino – che «ha saputo coniugare la tradizione con le sfide della mo­dernità », sottolinea il docente. Del resto, sta qui il substrato della sua enciclica più nota. «Il cardine della Rerum Novarum – afferma Zam­barbieri – è l’accettazione di una civiltà nuo­va, figlia della rivoluzione industriale, che su­bentra alla civiltà contadina cui la Chiesa era particolarmente legata, cominciando dalla scansione del tempo liturgico». Con la fab­brica cambia la cifra del lavoro. «E a papa Pec­ci preme rivendicarne la dignità. Quando Leo­ne XIII descrive il grido dell’operaio che feri­sce le orecchie del Signore degli eserciti, si affi­da al linguaggio biblico per delineare i dram­mi del presente. A centro il Pontefice pone la persona, tanto che nel salario non legge uni­camente il giusto corrispettivo per una pre­stazione ma un tributo all’uomo per la sua o­pera creatrice. Di fatto è il superamento del­la concezione liberale». Una 'critica' che va di pari passo con quella al collettivismo. «Col senno di poi, si può dire che il rigetto della so­luzione socialista è profetica. Leone XIII teme un’eccessiva ingerenza dello Stato e un con­flitto di classe generalizzato».
Però, secondo Pecci, lo Stato non può essere assente, anticipando quasi l’idea novecente­sca di welfare. «L’esigenza di giustizia sociale – precisa Zambarbieri – lo porta a sostenere uno Stato che si fa presente». E qui entrano in gioco i cattolici. «Di fronte alla formazione de­gli Stati nazionali – sottolinea il professore – Leone XIII ricorda che il cristiano è tenuto ad agire nella società. Certo, lui privilegia un im­pegno pre-politico, diremmo oggi, attraverso lo studio delle questioni aperte o l’associa­zionismo. Comunque, anche nell’Italia anco­ra ferita dalla questione romana, assicura un appoggio discreto alla Democrazia cristiana di Romolo Murri. E non è un caso che duran­te il suo pontificato si formi don Luigi Sturzo assieme ai giovani che confluiranno nel Par­tito popolare». Certo, non bisogna chiudersi nel territorio d’appartenenza. «Per papa Pecci, il fedele de­ve avere un supplemento d’anima che gli fa superare un ancoraggio meramente nazio­nale. Così possiamo comprendere lo spirito missionario di Leone XIII che fa del cattolico non il servitore di un singolo Stato – con cui comunque collabora – ma colui che allarga i confini della sua fede superando le barriere statuali».
E a proposito dell’associazionismo, Leone XIII vede come essenziale il ruolo dei corpi inter­medi, preannunciando uno dei principi del­la dottrina sociale: quello della sussidiarietà. «Con Pecci la sociabilità cattolica prende una nuova fisionomia. In precedenza era collega­ta alle confraternite. Adesso si traduce in im­pegno socio-politico attraverso gruppi, so­cietà di mutuo soccorso o sodalizi. E questo deriva sia dalla sua esperienza di nunzio a Bruxelles, sia dall’episcopato a Perugia».
Però non tutto si esaurisce entro il fronte so­ciale. «Il Papa 'diplomatico' – spiega il do­cente – è anche l’uomo di Dio che esalta la forza della pietà popolare, di una preghiera come il Rosario, della fede semplice che si e­sprime nelle devozioni». E i suoi sforzi tocca­no anche la cultura. «Quando apre l’Archivio segreto vaticano nel 1881, evidenzia come la storia debba innervare la coscienza dei catto­lici. E nel 1893 dà inizio a una nuova stagione sugli studi biblici con l’enciclica Providentis­simus Deus». Quale eredità, allora, fare entrare nelle aule di Reggio Calabria che a ottobre ospiterà la pros­sima Settimana sociale dei cattolici italiani? «Penso – conclude Zambarbieri – all’intuizio­ne secondo cui serve l’apporto di tutti per co­struire il benessere nazionale: non solo del vertice, ma anche del lavoratore. E poi l’ur­genza di uno Stato che si faccia garante della giustizia sociale».

© Copyright Avvenire, 5 settembre 2010

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