martedì 26 ottobre 2010

Il patriarca Naguib: il Sinodo comincia adesso con il nostro ritorno in patria (Rosoli)

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«Uniti per servire la verità e la libertà»

Il patriarca Naguib: il Sinodo comincia adesso con il nostro ritorno in patria

DA MILANO LORENZO ROSOLI

«Il Sinodo comincia ora. Col nostro ri torno in patria. E la necessità di farlo co noscere a tutti, di metterlo in pratica. Per essere sempre più fedeli alla nostra vocazio ne di cristiani del Medio Oriente. Chiamati a es sere costruttori di pace e promotori della vera li bertà religiosa e di coscienza, come ci ha chiesto il Santo Padre nell’omelia di domenica, mirabile sintesi della nostra assemblea».
Il patriarca di Alessandria dei Copti, Antonios Naguib, nella sua veste di relatore generale, è stato fra i protagonisti del Sinodo che si è concluso domenica con la Messa presieduta da Benedetto XVI nella Basilica vaticana. Ma il «suo» Sinodo conti nua. Ieri l’ha portato a Mi lano, dove in serata ha par­tecipato a un incontro sui cristiani nel Medio O riente svoltosi all’Università Cattolica su iniziati va del Centro culturale di Milano, delle edizioni Terrasanta e della rivista Mondo e missione.

Beatitudine, il Sinodo quale volto e quale iden tità di Chiesa del Medio Oriente ha restituito ai vostri fedeli e all’intero popolo di Dio?

Una Chiesa caratterizzata in modo speciale dal la pluralità nell’unità – pluralità di Chiese unite dalla fede, dai sacramenti, dalla gerarchia. E dal fatto di vivere in Paesi a maggioranza non cristia na. La nostra missione dunque è duplice: cresce re nella comunione, testimoniando la nostra fe de in queste società col dialogo della vita e del servizio.

Il Papa vi ha chiesto di essere costruttori di pace e promotori di libertà religiosa e di coscienza nel Medio Oriente. Quali vie apre, in concreto, il Sinodo?

Le Chiese, singolarmente, già sono consapevoli di questo duplice mandato e lo vivono. Il Sinodo, ora, esprime la volontà di proseguire in modo uni tario. Così diventeremo ancora più credibili nel nostro impegno a cambiare mentalità e culture nella direzione della pace, della fraternità, della cit tadinanza con le nostre scuole, le opere di carità e così via. Vivere fraterna mente – nonostante le dif ficoltà – in mezzo a mu­sulmani ed ebrei è una te stimonianza feconda. Ma ci vuole tempo. D’altron de: anche in Occidente so no serviti secoli per un’evoluzione culturale che arrivasse al rispetto dell’altro, della sua libertà, della sua coscienza...

Intanto, però, i cristiani vivono situazioni di sof ferenza, se non di persecuzione. E il Sinodo lo ha denunciato con chiarezza, chiedendo alla Chie sa intera ma anche alla comunità internaziona le di non chiudere gli occhi...

Sì. E c’è bisogno di aiuto per creare quelle condi zioni – anche socio-economiche – che diano si curezza e serenità a tutti, per allontanare la ten tazione della violenza e della guerra.

Quali spazi e quali volontà di dialogo incontrate nell’ebraismo e nell’islam?

Posso testimoniare la presenza di un numero cre scente di intellettuali e di leader religiosi dialo ganti, che chiedono uguaglianza, diritti, piena cit tadinanza anche per le minoranze. Gli esempi non mancano; ma non fanno notizia. Due setti mane fa, Al-Azhar – il 'Vaticano sunnita', po­tremmo dire – ha istituito un ufficio per il dialo go interreligioso. C’è un’élite molto aperta, che cerca di orientare la mentalità della gente. Spe­riamo abbia successo.

Il governo di Israele ha reagito con durezza ad al cune affermazioni dell’as semblea sinodale...

Penso si tratti di una rea zione che nasce da un ap proccio 'politico' al Sino do. Hanno detto che i ve scovi hanno portato a Ro ma le posizioni politiche dei rispettivi Paesi arabi. Non è così. Non abbiamo fatto altro che essere fedeli al la nostra missione religiosa. Che ci impone di chie dere giustizia e di dare voce a chi soffre. Come i palestinesi, che chiedono un territorio dove vive re in pace. Ma nel nostro Messaggio al popolo di Dio abbiamo ricordato anche l’insicurezza e le sofferenze del popolo israeliano... Noi chiediamo pace per tutti, non solo per una parte. Non è la for za ad assicurare la pace, ma la giustizia.

Quali sono le indicazioni pastorali più forti, ur genti, innovative offerte dal Sinodo?

Abbiamo chiarito, come mai prima d’ora, il sen so della presenza cristiana nel Medio Oriente. Che non è un fatto 'archeologico', una mera soprav vivenza là dove la Chiesa è nata, ma una realtà vi va che ha una missione. Anche verso gli altri cri stiani, gli ebrei, i musulmani. Il Sinodo ci ha chia mati a rendere sempre più efficace e visibile l’u nità fra le Chiese cattoliche, la comunione con or todossi e protestanti, il dialogo con le altre fedi.

Numerose le proposte concrete formulate dal Si nodo. Come – scorrendo le «Proposizioni» – l’i dea di un Anno Biblico. O – sul piano ecumeni co – l’idea di unificare le date di Natale e Pasqua, di adottare una traduzione araba comune del Padre Nostro e del Credo...

Non sono cose che acca dranno domani. Ma se c’è la volontà di incontrarsi, le realizzeremo. Ricordan do che l’unità, come la pa ce, sono innanzitutto do no di Dio. E chiedono la nostra preghiera. Come quella rivolta a Maria – fi glia della nostra terra, figura cara anche ai mu­sulmani – alla cui protezione vogliamo affidare tutto il Medio Oriente.

Il Papa non solo ha seguito costantemente il Sinodo, ma proprio durante l’assemblea ha annunciato i nuovi cardinali. Fra cui lei...

È stato un gesto, inatteso, che esprime la sua vi cinanza – sempre affettuosa – alla nostra Chiesa, e che rafforza il nostro senso di appartenenza al la Chiesa universale. I cardinali sono chiamati a collaborare col Papa al servizio dell’unità e della carità della Chiesa.

© Copyright Avvenire, 26 ottobre 2010

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