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Ma prima di Ratzinger molti pontefici hanno abdicato
Sì al Papa emerito
Benedetto XVI apre alle dimissioni
di Marco Bertoncini
Quando si parla di dimissioni del Papa, il ricordo di chiunque abbia svolto studi liceali va a Celestino V e al dantesco «gran rifiuto». Di abdicazioni al soglio pontificio, invero, la storia bimillenaria del papato ne conosce altre, così come di deposizioni e perfino di omicidii (per tacere dei martirii).
Il primo esempio che si cita risale al lontano 235, quando papa Ponziano si dimise poco prima di subire il martirio. E l'ultimo resta quello di Gregorio XII, il quale rinunciò nel 1415, contribuendo così a risolvere la gran buriana dei tre papi contemporaneamente assisi al trono e a chiudere il pluridecennale scisma d'Occidente.
A riportare l'attenzione giornalistica sulla possibile abdicazione del successore di san Pietro sono le parole dello stesso Benedetto XVI nel suo recente libro intervista Luce del mondo. All'esplicita domanda di Peter Seewald «Ha mai pensato di dimettersi?», il Papa risponde: «Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. È proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Questo è il mio pensiero. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire: Se ne occupi un altro». Alla chiara replica dell'intervistatore («Quindi è immaginabile una situazione nella quale Lei ritenga opportuno che il Papa si dimetta?»), Benedetto XVI precisa con altrettanta chiarezza: «Sì. Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente e spiritualmente di svolgere l'incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». Quindi non soltanto il diritto, ma perfino il dovere (sempre ammesso che la traduzione italiana sia fedele: di là dell'errore già rilevato dalla stampa sul «prostituto» dell'originale tedesco divenuto «prostituta», si notano qua e là svarioni e uso di termini astratti insoliti e forse impropri). Mai un pontefice si era così espresso.
Sul piano del diritto canonico, costituzionale, come dicono i canonisti medesimi, non c'è problema. Un pontefice si può dimettere. È avvenuto più volte, come si diceva, e la prima formale costituzione che sanciva la legittimità della rinuncia fu emanata proprio da Celestino V: dopo averla sottoscritta, diede le dimissioni davanti ai cardinali, i quali le accettarono. Attenzione: un secolo prima il collegio cardinalizio aveva respinto le dimissioni di Celestino III. Dopo la costituzione di Celestino V, possiamo citare il Codice di diritto canonico, sia quello del 1917 sia quello del 1983, che statuirono la possibilità, per il Papa, di rinunciare al soglio pontificio, purché le dimissioni siano liberamente espresse e debitamente manifestate, senza necessità di accettazione da parte di alcuno (collegio cardinalizio compreso).
Costituzionalmente, dunque, da Celestino V (e dal suo successore Bonifacio VIII, non a caso grande perito in diritto canonico) in poi non vi sono riserve della dottrina sulle dimissioni di un pontefice. Teologicamente, la questione è diversa. La tesi di fondo contro la rinuncia papale è semplice: il pontefice è spiritualmente sposato con la Chiesa romana, matrimonio che soltanto la morte può sciogliere. Non sarebbe lecito un divorzio. Tale tesi venne sostenuta da Innocenzo III e, in certa misura, è alla base di uno studio che il cardinale Vincenzo Fagiolo stese per Giovanni Paolo II sull'abdicazione del papa. Secondo Fagiolo, essendo l'incarico del Papa non un normale ufficio ecclesiastico bensì un compito di origine apostolica, poiché il pontefice è vicario di Cristo, non può il successore del principe degli Apostoli ritenersi libero di rinunciare senza proporzionate cause. Tali cause, secondo Fagiolo, dovrebbero essere richieste non soltanto per la liceità (morale) della rinuncia, bensì per la legittimità (giuridico-costituzionale) dell'atto medesimo di abbandono dell'incarico.
Insomma: per rinunciare legittimamente al ruolo di successore di san Pietro occorre che il romano pontefice abbia una maturata e consapevole coscienza d'essere incapace a guidare la comunità dei fedeli. Non basta l'età a motivare la rinuncia. Infatti Paolo VI introdusse sì la “pensione” per vescovi e cardinali, ma non fissò alcun limite di età per il vescovo di Roma, siccome dotato del primato petrino. Occorre la consapevolezza della propria incapacità a regnare: esattamente quel che dichiara Benedetto XVI, quando parla di “chiara” coscienza dell'impossibilità di svolgere il proprio compito, per carenze fisiche e spirituali. Celestino V sapeva di non essere in grado di reggere il mandato affidatogli: non tanto per ragioni fisiche (pur essendo più che ottuagenario), quanto per la conclamata inidoneità a ricoprire un ruolo per il quale necessitano anche doti amministrative, politiche, giuridiche e quel che si definisce carisma.
È noto che Giovanni Paolo II affidò alla Provvidenza la prosecuzione del proprio mandato, anche quando le condizioni fisiche erano debilitate. Come scrisse Vittorio Messori (Corriere della Sera, 29 giugno 2002), «La forza per continuare non è un problema mio, bensì di quel Cristo che ha voluto chiamarmi a essere suo Vicario in terra». Ed è noto che si discettava, fra teologi e canonisti, sulla possibilità di reggere la Chiesa in sedia a rotelle, con difficoltà di parola, con incapacità di movimento, perfino da muti. Certo Giovanni Paolo II non rinunciò mai, non volle mai rinunciare.
Tuttavia, di là delle riflessioni sia canonistiche sia teologiche, si poneva il problema dell'incapacità fisica di reggere il peso. Non sapremo probabilmente mai in quali condizioni il defunto pontefice guidasse la Chiesa nell'ultimo lustro della sua esistenza: occorrerebbe un diario dei pochi che gli erano intorno, un diario in cui fosse confidata la realtà. Per intenderci, una sorta di archivio come quello di mons. Renato Dardozzi pervenuto al giornalista Gianluigi Nuzzi, che ne ricavò il fortunatissimo libro Vaticano SpA.
In mancanza di testimonianze e documenti, ci restano non poche domande senza risposta. Quanto realmente comprendeva il papa polacco di quel che gli si diceva? Quanto era conscio degli atti che formalmente svolgeva? Quanto decideva da sé e quanto recepiva acriticamente di quel che gli sottoponevano il segretario particolare, i collaboratori diretti, i cardinali più vicini? Azzardiamo un'ipotesi. Fra coloro che più stavano accanto al trono papale era il cardinale Joseph Ratzinger. La diretta esperienza della consunzione fisica (e conseguentemente anche psichica) di un papa ha indubbiamente segnato l'attuale pontefice. Il quale si chiede se non sia il caso di passare la mano, senza quindi affidarsi alla Provvidenza, una volta che ci si renda conto della reale, compiuta, definitiva incapacità di svolgere il proprio mandato.
Il Papa emerito, quindi, non è più un'eventualità remota e teorica, insussistente dal 1415. Se ne dibatte. Si noti che nel Medio Evo le discussioni teologiche e canonico-costituzionali erano ben più sviluppate di oggi: il papa eretico, il papa demente, il papa dimissionario, il papa deposto, erano altrettante figure sulle quali si discettava con fior di riferimenti biblici, ecclesiali, patristici, teologici. Benedetto XVI ha dato una scossa e, dal più alto livello, ha lanciato una pietra nello stagno. Probabilmente, ripetiamo, per quel che direttamente ha vissuto e che non vorrebbe si ripetesse: nel suo caso, come nel caso di un suo successore.
© Copyright Italia Oggi, 26 novembre 2010 consultabile online anche qui.
La "provocazione" del Papa sta facendo molto discutere. L'ipotesi non riguarda la sua persona, ma indubbiamente e' interessante a livello teorico.
Puo' esserci nella Chiesa un Papa emerito? Certamente si' a livello accademico, ma a mio modesto parere si tratta di una eventualita' pericolosa perche' rischierebbe di provocare uno scisma fra chi vorrebbe restare fedele al Papa dimissionario e chi vorrebbe seguire il suo successore.
R.
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2 commenti:
Bravissima Raffaella!
Hai anche un fine intuito politico!
Per il momento non aggiungo altro.
Ma se il Papa si dimette è per motivi di salute non per divergenze dottrinali o politiche come talvolta successe in passato. A quel punto, non ci dovrebbero essere i problemi frequenti coi leader dei partiti che non accettano le sconfitte elettorali. Secondo il giornalista ebreo tedesco Alan Posener, il Papa con questo libro ha abdicato dal suo magisterio papale. e ha seguito alla lettera gli auspici di Lutero. Speriamo si sbagli. Eufemia
http://www.welt.de/print/die_welt/kultur/article11185034/Haeresie-der-Formlosigkeit.html
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