martedì 15 dicembre 2009

Motu proprio “Omnium in mentem” su diaconato e forma canonica del matrimonio. Intervista a Luigi Sabbarese (Sir)


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IL TESTO DEL MOTU PROPRIO "OMNIUM IN MENTEM" CON IL QUALE VENGONO MUTATE ALCUNE NORME DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO SU DIACONATO E FORMA CANONICA DEL MATRIMONIO

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MOTU PROPRIO - Omnium in mentem

Su diaconato e forma canonica del matrimonio

Una precisazione sul diaconato e la soppressione di una clausola in tre canoni in materia matrimoniale: sono i contenuti del Motu proprio “Omnium in mentem” (“All’attenzione di tutti”) pubblicato il 15 dicembre. Delle motivazioni e dei contenuti del documento, che apporta alcune modifiche al Codice di diritto canonico, che da tempo erano sottoposte allo studio dei dicasteri della Curia romana e delle Conferenze episcopali, abbiamo parlato con Luigi Sabbarese, decano della Facoltà di diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana.

Quali sono le novità/modifiche introdotte dal Motu proprio?

“Il Motu proprio si compone di 5 articoli che modificano 5 canoni del Codice latino.
I primi due articoli riguardano il sacramento dell’ordine, specialmente i diaconi, riguardo ai quali non si dice più che adempiono le funzioni di insegnare, santificare e governare nella persona di Cristo capo.
È cambiato, perciò, il vigente can. 1008.
Per esplicitare ciò si è aggiunto al vigente can. 1009 un nuovo paragrafo, dal quale risulta più chiaro che solo i vescovi e i presbiteri agiscono “in persona Christi capitis”, mentre ai diaconi spetta il servizio della liturgia, della parola e della carità in favore del popolo di Dio.
Gli altri tre articoli hanno eliminato la formula che in ambito matrimoniale trattava i cattolici che avevano abbandonato la Chiesa con atto formale come non battezzati. Tale formula ricorreva nei canoni 1086, 1117, 1124”.

Che cosa ha reso necessario un intervento su tali questioni?

“Per le questioni concernenti il grado del diaconato all’interno dell’ordine sacro mi sembra che due possano essere le motivazioni, peraltro accennate già nel testo del Motu proprio. Anzitutto la preoccupazione di garantire quell’unità, tanto necessaria, tra la dottrina teologica e la legislazione canonica; e, poi, la cura che le norme perseguano quella finalità pastorale cui la Chiesa mira per favorire il bene dei fedeli. Le motivazioni di tale intervento innovativo si rinvengono già nel Vaticano II per il quale il sacramento del diaconato non imprime il carattere e i diaconi sono ordinati per il ministero e non per il sacerdozio; ciò nonostante, durante i lavori di revisione del Codice si decise di lasciare il diaconato tra i gradi dell’ordine in quanto ciò era dottrina comune. Con la nuova disposizione si è voluto, in qualche modo, riallacciare un legame tra le acquisizioni teologiche e le scelte normative. Riguardo alla defezione con atto formale, la dottrina ha sempre ritenuto insufficiente il dettato normativo per cui alcuni ne auspicavano la soppressione, altri una semplice integrazione esplicativa, soprattutto in relazione a una figura simile, quella dell’abbandono notorio della fede. Eliminando la formula, si è voluto semplificare ed eliminare anche le difficoltà sorte sia in ambito pastorale sia nella prassi dei tribunali. Infatti, in ambito pastorale si può ora offrire una maggior garanzia del diritto al matrimonio di quanti abbandonano la fede cattolica; nella prassi dei tribunali ecclesiastici non si porranno più casi di nullità perché il defezionato con atto formale non aveva richiesto e ottenuto, per la validità, la dispensa dall’impedimento di disparità di culto e dalla forma canonica”.

Che cosa significa separazione dalla Chiesa "con atto formale", e per quale motivo è stata soppressa la relativa eccezione?

“Per quanto attiene all’espunzione dal testo normativo di quanti hanno defezionato con atto formale, il cambiamento è stato motivato anzitutto da problemi applicativi della eccezione (si è rivelato difficile determinare nei singoli casi quando si trattava di defezione con atto formale), in quanto il Codice non specificava le modalità dell’atto di defezione né i requisiti formali e sostanziali. In verità il Pontificio consiglio per i testi legislativi era intervenuto, con una comunicazione del 13 marzo 2006, precisando che si ha l’atto formale di defezione dalla Chiesa cattolica quando vi è «decisione interna di uscire dalla Chiesa cattolica, attuazione e manifestazione esterna (in forma scritta) di questa decisione, recezione da parte dell’autorità ecclesiastica competente (Ordinario o parroco proprio) di tale decisione».
Ciò nonostante, rimaneva il problema di conciliare il carattere indelebile ricevuto con un valido battesimo, cosa che attiene direttamente l’ambito teologico, e la norma che, esclusivamente per la materia matrimoniale, riteneva il defezionato con atto formale come non battezzato e quindi nel caso di matrimonio canonico era tenuto a chiedere e ottenere la dispensa dall’impedimento di disparità di culto e dalla forma canonica.
Per tale motivo si è ritenuto di proporre un intervento legislativo di abolizione, per cui d’ora in poi chi ha defezionato con atto formale è tenuto alla forma canonica nel matrimonio, non viene più considerato come non battezzato e quindi non deve chiedere la dispensa per impedimento di disparità di culto. Nei matrimoni misti, poi, non è più contemplata la fattispecie del battezzato cattolico che ha defezionato con atto formale. In tal modo si è risolta l’accesa discussione avvenuta durante la codificazione circa il principio semel catholicus semper catholicus”.

© Copyright Sir

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"Le motivazioni di tale intervento innovativo si rinvengono già nel Vaticano II per il quale il sacramento del diaconato non imprime il carattere".

Questa è una affermazione contraria alla Dottrina della Chiesa e che il Motu Proprio odierno non afferma.

Si veda il numero 1570 del CCC che riporto (fedelmente e SENZA aggiunte personali) dal sito del Vaticano:
"I diaconi partecipano in una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo. 193 Il sacramento dell'Ordine imprime in loro un sigillo (« carattere ») che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto « diacono », cioè servo di tutti".

Questa affermazione di Sabbarese, ripeto, è molto grave, perché se il Diacono non ricevesse il "carattere", il sacramento sarebbe reiterabile e soprattutto lo stesso si ridurrebbe ad una specie di super-ministero-permanente.

d.M.S.

Anonimo ha detto...

Come mai Sabbarese non risponde all’anonimo che gli dice di: “aver fatto affermazioni molto gravi”? Io, che sono un diacono de esercito il mio ministero in forma permanente, dico che se un decano di diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana fa certe affermazioni; che affermazioni fará il prete o il diacono di un piccolo paese? Bravi cristiani e fervidi credenti che siano, ma che di diritto canonico conoscono ben poco?
Non solo, ma come dice l’anonimo come mai il Prof. Sabbarese parla soltanto dei canoni 1008 e 1009? Nel CIC e nel CCC i canoni e paragrafi che parlano del ministero del diacono sono tanti altri? Ripeto siamo di fronte a un Professore di Diritto Canonico. Non mi risulta che la Storia ci documenti con certezza chi fosse il presbitero; è certo che l’attuale prete non ha la pienezza del sacerdozio che spetta soltanto al Vescovo. Mi domando: è una novità dire che il diacono non è e non ha le competenze del prete e tanto meno del Vescovo? Ha alcuni dei loro compiti e il suo ministero non può che essere esercitato a nome di Cristo Diacono, che tra l’altro l’anonimo mette con chiarezza in evidenza.
Sono Giuseppe Arvani, diacono da tanti anni e contento di “tentare”, giorno dopo giorno, di imitare: “Cristo, il quale si è fatto diacono, cioè il servo di tutti”. In futuro a nome di chi il diacono servirà nella liturgia, annuncerà la Parola e servirà (carità) il Popolo di Dio? Continuerà a indossare i paramenti sacri, segno tangibile del Sacramento dell’Ordine?
Ripeto Sabbarese Professore decano di Diritto Canonico? Non mi meraviglio perché il vostro sito e cosi poco frequentato, che sanno molti diaconi che cosa vuol dire essere Ministri Ordinati? Forse molti diaconi sono bravi soltanto perché hanno ascoltato il loro prete (parroco) che ha detto loro che essere diaconi vuol dire essere un bravo sacrestano. La preparazione? Non conta, basta servire! Giusto, ma a nome di chi? Di quel parroco per quanto bravo possa essere? Mi sembra un po’ poco.
Giuseppe Arvani diacono