martedì 26 gennaio 2010

Monsignor Negri: se non parlano i vescovi contro la cultura della morte, chi lo farà? (Rodari)


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Monsignor Negri: se non parlano i vescovi contro la cultura della morte, chi lo farà?

di Paolo Rodari

Monsignor Luigi Negri, 67 anni, ciellino, già docente di Introduzione alla teologia e Storia della filosofia alla Cattolica di Milano ripete spesso, con la dovuta umiltà, di voler guidare la piccola ma prestigiosa diocesi di San Marino-Montefeltro un po’ come il “Leone di Münster”, monsignor Clemens August von Galen, guidava ai tempi del nazismo la sua diocesi: nel nome di “una fede che non si riduce a privato” – disse di lui Benedetto XVI – non ebbe paura di esprimersi pubblicamente contro Hitler.
E paura non ne ha avuta, tre giorni fa, neppure Negri quando, uscita su Avvenire la notizia che in Emilia-Romagna il sei per cento degli aborti avviene con la pillola Ru486 somministrata in day hospital, ha dichiarato: “Si tratta di operazioni di bassa macelleria”. E ancora: “E’ incredibile che si possa definire, come hanno fatto nella nostra regione, l’espulsione del feto come una mestruazione particolarmente copiosa”. Ma “fra qualche mese anche i nostri cittadini andranno alle urne. Spero che molti si ricorderanno di queste agghiaccianti statistiche”.
Non è col Foglio che Negri intende parlare in ecclesialese. Piuttosto intende chiamare le cose col nome loro perché, dice, “è arrivato il tempo di capire bene cosa significhino per il paese, a livello culturale e antropologico, candidature come quella di Emma Bonino nel Lazio”.
E ancora: “Se non cominciamo noi vescovi a parlare chiaro, chi lo farà nella chiesa?”. Negri parte da lontano: “Conosco bene – dice – certe forme di radicalesimo. Ricordo di aver assistito da vicino, da studente al liceo Berchet di Milano, alla nascita del primo centro culturale del radicalesimo italiano. Nacque all’inizio degli anni Sessanta. L’occasione fu l’opposizione al vescovo di Prato monsignor Piero Fiordelli.
Questi aveva denunciato come ‘pubblici peccatori e concubini’ due giovani che si erano sposati in comune. Per questo motivo venne condannato a un anno di reclusione. Altri tempi, certo. Ma è un esempio per dire che ha radici lontane in Italia un certo tipo di radicalesimo che altro non vuole fare se non proporre in modo chirurgico e preciso una cosa: quella che Giovanni Paolo II chiamò nell’Evangelium vitae la cultura della morte. Sono quarant’anni che in Italia assistiamo al tentativo di espropriazione della nostra cultura popolare e della nostra tradizione cattolica. E non mi pare che questo tentativo sia terminato”.
Per rimanere sul tema “parlare senza giri di parole”, così Negri descrive le caratteristiche di questa “cultura della morte”: “Immoralismo come nuova moralità. Vita affettiva ridotta a puro meccanismo sessuale, un meccanismo da controllare secondo la logica dell’istintualità, a ciò che pare e piace. Equivalenza tra omosessualità ed eterosessualità. Disprezzo dichiarato per la vita: dicono che gli embrioni sono soltanto un grumo di cellule. Liberalizzazione delle droghe. Disprezzo per ogni forma di legge morale”.
E ancora: “Qualunque sia il nome col quale vogliamo definire questo tipo di cultura, questo tipo di radicalesimo, non possiamo dimenticare che la sua volontà è una, ed è quella di distruggere la chiesa. E’ quella stessa volontà che Voltaire riassunse nel motto ‘Ecrasez l’infame’, ‘Schiacciate l’infame’, dove l’infame altro non è che la chiesa cattolica”.
Già la chiesa. Le sue posizioni sono chiare. La cultura che intende difendere è ben esplicitata nei magisteri papali, ultimi quelli di Montini, Wojtyla e Ratzinger. Ma quando poi la battaglia da ideologica diviene pratica non tutto risulta chiaro. Dice Negri: “La domanda è: perché di fronte a questa cultura dichiaratamente in opposizione a quanto la chiesa sostiene parte del mondo cattolico si mostra privo di atteggiamento critico? Perché per alcuni cattolici la candidatura di una radicale può sembrare in fondo non così diversa da quella di un qualsiasi altro politico? E’ la stessa domanda che mi sono posto anch’io dopo aver letto l’inchiesta del Foglio a Viterbo che ha evidenziato come per molti cattolici non è un problema la candidatura della Bonino nel Lazio.
Mi sono risposto una cosa: se facessimo la medesima inchiesta in altre regioni, vorrei dire in tutte le regioni d’Italia, il risultato sarebbe lo stesso di Viterbo. Perché il dato è uno e chiede d’essere guardato: stiamo crescendo generazioni assolutamente incapaci di giudizio critico sulle cose. Leggendo l’inchiesta del Foglio mi è venuto in mente quel versetto della Bibbia, Geremia 31, dove si dice: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’. Mi domando: siamo stati capaci di favorire in questi anni l’espressione di una vera cultura della fede? Abbiamo promosso quell’antropologia adeguata sulla quale più volte tornò Giovanni Paolo II? Oppure è cresciuta tra noi, sotto i nostri occhi, una generazione per la quale il dialogo viene prima dell’identità? A volte sembra che il dialogo che impostiamo con chi non crede altro non sia che una resa senza condizioni. Nel nome del dialogo ci dimentichiamo chi siamo. E dimenticandoci chi siamo sono sempre gli altri ad avere ragione, ad avere la meglio”.
Allora cosa fare? Per Negri occorre ricominciare, ripartendo da quanto Benedetto XVI e la conferenza episcopale italiana continuano a sottolineare: “Sono dieci anni che i vescovi parlano di emergenza educativa. Occorre lavorare tutti su questa emergenza perché soltanto in questo modo i cattolici di oggi e di domani potranno imparare a discernere, giudicare, difendere la propria identità.
Soltanto in questo modo i cattolici potranno capire che è arrivato il tempo di uscire dalla notte in cui tutte le vacche (tutte le identità) sono nere (hanno lo stesso colore). Un tempo, insomma, in cui anche il discernimento sui candidati alle elezioni sarà più semplice”.

Pubblicato sul Foglio martedì 26 gennaio 2010

© Copyright Il Foglio, 26 gennaio 2010 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Bravo il Vescovo di S. Marino e Montefeltro, uno che non ha timore di affermare cose e valori sgraditi ai nemici della fede; principi e comportamenti conseguenti che spesso vengono "accantonati", per opportunismo politico, da coloro che si dichiarano cattolici "maturi o adulti", per i quali i valori di base del cristianesimo possono anche essere postposti alle esigenze politiche.

Anonimo ha detto...

Ringrazio a nome di S.E. Mons. Negri, mio vescovo diocesano, che ho sentito ora per telefono, per l'attenzione riposta a questa sua intervista.

d.M.S.

raffaele ha detto...

Neppure a me piace la Bonino. Ma vorrei che mons. Negri e i ciellini non fossero ciechi di fronte alla diffusa moralità che è diffusa non solo a sinistra (Marrazzo e Delbono) ma ancor più a destra. Perché non tuona anche contro Berlusconi e il suo uso delle veline?
La sua posizione mi sembra segnata da un forte "strabismo".

laziale ha detto...

ma smettiamola con questo buonismo.
berlusconi ha tanti difetti ma almeno non bestemmia.

http://www.ilgiornale.it/interni/le_bestemmie_bonino/16-01-2010/articolo-id=414122-page=0-comments=1

non voterò nè ora nè mai per chi ha candidato la bonino nella mia regione.

euge ha detto...

Ma scusami Raffaele ma, possibile che ogni volta che qualche vescovo perchè ce ne sono pochi che hanno questo coraggio dicono le cose come stanno bisogna sempre fare un confronto politico? La chiesa, i valori non negoziabili, non appartengono ne a Berlusconi, ne alla Bonino ne a tanti altri papaveri politici ; appartengono esclusivamente a Cristo. Finiamola una buona volta di mischiare la chiesa con la politica finiamola di identificare la chiesa con la destra o con la sinistra altrimenti, continueremo a dimostrare, che di Cristo, della dottrina e dei valori non negoziabili, non abbiamo capito nulla. E' anche vero che esistono eminenze grigie pronte a mettere confusione nella fede dei semplici ma, la chiesa e la politica non possono e non devono identificarsi l'uno con l'altro.