lunedì 18 gennaio 2010

Visita in sinagoga, Il Papa tira dritto e non si fa processare (dell'Orefice)


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L'analisi

«La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze dei suoi figli»

Il Papa tira dritto e non si fa processare

Sulla Shoah Ratzinger commenta: «La Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso spesso nascosta e discreta»

Fabrizio dell'Orefice

Ascolta i discorsi.
Ascolta le parole, anche pesanti che gli vengono rivolte.
Ma non si smuove, nessuna svolta, nessun atto particolare, nessun gesto significativo. Chi si aspettava l'immagine strappalacrime, l'abbraccio infinito, il saluto o il sorriso che segni l'evento così come la società mediatica vuole resterà deluso. E d'altro canto la platea non rimanere indifferente. Impiega circa sette minuti prima di sciogliersi nel primo applauso. Che peraltro non è diretto proprio a Benedetto XVI ma semmai al suo predecessore. E in particolare quando il Papa dirà: «Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo». Di altri battimani ne seguiranno altri otto. Sempre molto freddi. Quasi di circostanza. E soprattutto il Papa è poco politico, molto teologico.
Non dà alcuna risposta alle questioni che pure gli erano state rivolte appena qualche minuto prima dal presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, quando aveva invocato: «Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz». O a quello del rabbino capo Riccardo Di Segni che aveva preferito cambiare una parola dal testo scritto a quello letto mutando il «rapporto» in «percorso»: «Se il nostro è un rapporto tra fratelli c'è da chiedersi sinceramente a che punto siamo di questo percorso e quanto ci separa ancora dal recupero di un percorso autentico di fratellanza e comprensione; e cosa dobbiamo fare per arrivarci».
Il Papa, che aveva ascoltato immobile senza alcuna percettibile emozione e guardando fisso verso il pubblico, invece non cambia di una virgola di quanto aveva affermato in precedenza.
Certo, invoca anche lui: «Siano sanate per sempre le piaghe di antisemitismo cristiano». Ribadisce che «la Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso, spesso nascosta e discreta». Ricorda che tra cristiani ed ebrei c'è un «cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia». E dunque replica: «Possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi». Con chi era salito al microfono prima di lui appena qualche sguardo, raramente incrocia gli occhi e ancor meno batte le mani se non per i passaggi più emozionanti. Se dunque la comunità ebraica, nella visita di ventiquattro anni fa, chiese (e ottenne nel '93) l'apertura delle relazioni diplomatiche tra Vaticano e Israele, è ben difficile - almeno nel breve termine - che possano arrivare d'Oltretevere quei segnali che si attendono al Ghetto.
E al momento appare piuttosto arduo che questo pontificato possa concedere ancora di più di quanto abbia già fatto. Ma questo non vuol dire che la visita del Papa non possa considerarsi storica. Il Pontefice ha sostato, prima di entrare in Sinagoga, davanti alla lapide da dove il 16 ottobre '43 partirono oltre mille ebrei diretti ai campi di sterminio nazisti. O quando ha deposto una corona di fiori sul luogo dove morì nell'82, vittima di una tentato palestinese, Stefano Gay Tachè, un bimbo di due anni. Nel suo discorso dice apertamente che «la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell'antisemitismo e dell'antigiudaismo». La Chiesa di Ratzinger, in altre parole, è pronta a proseguire sulla via del dialogo, è pronta a percorrere tratti di strada assieme agli altri «fratelli». Riconosce i dolori degli altri tanto che nei momenti più toccati di ricordo della Shoah e di saluto ai sopravvissuti si alza in piedi senza esitazione. Ammette le colpe, è pronta a gesti eloquenti di mea culpa.
Ma non accetta processi esterni. Se riconoscerà i propri errori lo farà ma non perché qualcuno glielo imponga.

© Copyright Il Tempo, 18 gennaio 2010 consultabile online anche qui.

Bisogna conoscere bene Benedetto XVI per comprendere quanto e' accaduto ieri.
L'espressione del viso del Santo Padre era tutt'altro che immobile, caro dell'Orefice! Chi conosce bene Benedetto XVI ha capito tutto guardandolo in faccia.
Sono state rivolte parole molto pesanti al Pontefice ed a tutti i Cattolici, ma Benedetto non si e' lasciato ricattare, processare o strumentalizzare.
Quanto orgoglio c'e' in me per la consapevolezza di avere la straordinaria fortuna di vivere in questo momento storico, sotto questo Pontificato
.
R.

2 commenti:

euge ha detto...

Cara Raffaella anch'io mi sento fiera ed orgogliosa per questo grande dono che è Benedetto XVI. Ieri, ho seguito quello che ho potuto, con il cuore in gola. Quanto desiderio c'era di farlo sentire colpevole di colpe che non potranno mai essere le sue di farlo sentire in imbarazzo oppure inferiore. Le sue parole hanno con umiltà profonda ma, con tanta fermezza, frantumato questi propositi.
- SEMPRE CON BENEDETTO XVI -

Maria R. ha detto...

BHè, le considerazioni sugli applausi, sono le stesse che sono "circolate" ieri a casa mia.... quanto alla faccia "immobile", mah, mi limito a dire che la penso come Raffaella.
C'è comunque da dire che c'è del vero in questo articolo, a partire dal titolo;)