giovedì 24 dicembre 2009

Di che cosa parliamo quando diciamo “virtù eroiche”? E come procede in questi casi la Chiesa? (Valli)


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Aldo Maria Valli

La decisione di Benedetto XVI di certificare le virtù eroiche di Pio XII ha destato, come c’era da immaginarsi, molte reazioni. Ma di che cosa parliamo quando diciamo “virtù eroiche”? E come procede in questi casi la Chiesa? Il riconoscimento delle virtù è un passaggio indispensabile sulla via della beatificazione del candidato (alla quale potrà seguire in un secondo tempo la canonizzazione) e le virtù in questione sono prima di tutto le tre teologali (fede, speranza e carità) e poi le quattro cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza).
Attraverso un processo articolato in varie fasi e assai meticoloso, la Chiesa conduce un esame in termini strettamente teologici. Come ha precisato la nota ufficiale del Vaticano diffusa da padre Federico Lombardi in risposta alle polemiche, si guarda all’agire del candidato rispetto alla sua comunione con Dio e alla sua aderenza a Gesù, non alla portata storica di tutte le sue scelte operative.
Quanto all’eroicità, è una questione di grado.
Cioè: non sono le virtù a essere considerate eroiche in quanto tali. Si cerca di stabilire invece se quelle determinate virtù sono state esercitate in grado eroico. E qui possono venire in aiuto le parole del cardinale Joseph Ratzinger, che scrisse: «Virtù eroica non vuol dire che uno ha fatto grandi cose da sé, ma che nella sua vita appaiono realtà che non ha fatto lui, perché egli è stato trasparente e disponibile per l’opera di Dio».
Ecco: si potrebbe dire che l’eroicità sta in questo “lasciarsi fare” da Dio, in questa assoluta disponibilità e accoglienza. Chiaro quindi che si può essere “eroi” in modi diversi, a seconda del proprio stato, della propria condizione sociale e professionale, a seconda dell’età. Eroe della fede può essere un papa così come un giovane studente, un religioso così come una madre di famiglia.
Un’ulteriore precisazione circa l’eroicità ci viene da Benedetto XVI: «La virtù cristiana, per essere eroica, deve far sì che colui che la possiede operi facilmente, prontamente e con gioia, in modo superiore all’ordinario, per un fine soprannaturale, senza ragionamenti umani, con abnegazione e totale dominio dei moti dell’affettività».
Si vede qui che siamo in un campo di indagine molto diverso da quello al quale pensa il mondo quando ragiona attorno ai possibili santi. L’esame è condotto su fatti concreti e quindi storici, ma il punto di vista è spirituale, non politico-sociale.
Per restare al caso di Pio XII, se l’indagine dimostra che, anche rispetto a una questione tanto delicata come quella della persecuzione antiebraica, il papa operò con assoluto amore per il Signore e in totale comunione con Dio, ecco che la Chiesa ritiene di essere in presenza di virtù eroica, a prescindere dalla valutazione storica su ciò che il papa disse o non disse. Ovviamente, il processo verso la beatificazione si arresta subito se si scopre che il candidato ha consapevolmente operato, anche una sola volta, il male.
Ma se si accerta che il candidato ha operato sempre con fede profonda, con cuore buono e puro, il processo va avanti.
Quanto poi al fatto che l’eroicità delle virtù di Pio XII sia stata proclamata insieme a quella di Giovanni Paolo II, ciò non presuppone, di per sé, che i due processi verso la beatificazione andranno di pari passo.
Il Vaticano ha precisato che i percorsi sono diversi e come tali avranno tempi differenziati. Se per Wojtyla è praticamente certa la beatificazione nel prossimo autunno, per Pacelli ancora non si sa. L’eroicità delle virtù è stata proclamata insieme non tanto per una questione di bilanciamento (come avvenne per la cerimonia di beatificazione di Pio IX e Giovanni XXIII), quanto perché, essendosi concluso positivamente il supplemento d’indagine ordinato su Pio XII, Ratzinger ha deciso di procedere normalmente, senza lasciarsi condizionare dal fatto che la proclamazione delle virtù eroiche di Pacelli coincidesse con quella di Wojtyla.
Questo tipo di annuncio viene fatto dal papa una volta all’anno, prima di Natale, e Benedetto XVI non ha voluto aspettare altri dodici mesi. Ragioni di opportunità nel rapporto con il mondo ebraico avrebbero potuto suggerire un rinvio, ma Benedetto ha voluto dimostrarsi completamente libero e autonomo.
«La prossima visita del papa alla sinagoga di Roma sia occasione per riaffermare e rinsaldare con grande cordialità i vincoli di amicizia e di stima», si legge nella nota vaticana.
Un augurio, ma anche una richiesta: nessuno può condizionare la Chiesa per quanto riguarda questioni che attengono strettamente alla sua sfera di competenza.

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