lunedì 28 dicembre 2009

Il Papa: la Chiesa non ha paura. Serenità, incoraggiamento e fiducia dal Pontefice (Zavattaro)


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BENEDETTO XVI - La Chiesa non ha paura

Serenità, incoraggiamento e fiducia

Fabio Zavattaro

Il Natale come luce, “fuoco acceso nella notte”.
Tutto intorno era buio, nella grotta la luce vera: “Eppure tutto avviene nella semplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio”. È l’immagine che Benedetto XVI offre alla comunità in questo Natale, il suo quinto Natale da Papa.
Una festa che rimarrà nella memoria collettiva per l’incidente accaduto durante la celebrazione della notte, in basilica vaticana. Il tentativo di una giovane donna, Susanna Maiolo, cittadina italo-svizzera, di avvicinarsi al Papa, e, subito, prontamente fermata dal comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani. Ma, nel tentativo di evitare di essere allontanata, la giovane ha allungato una mano ed è riuscita a prendere il pallio del Papa facendogli perdere l’equilibrio. Benedetto XVI è stato così trascinato nella caduta; le immagini riprese anche da uno dei presenti in basilica ci mostrano come sia stato subito aiutato ad alzarsi: per lui nessuna conseguenza nella caduta. Non così per il cardinale Roger Etchegaray che, urtato probabilmente da un’altra persona, nella caduta ha riportato la frattura del collo del femore ed è ricoverato al Policlinico Gemelli. La donna, con disturbi psichici, già lo scorso Natale aveva tentato di compiere un gesto analogo, probabilmente un tentativo di avvicinarsi al Papa per abbracciarlo, conclusosi senza conseguenze per il Papa. Portata prima al Comando della Gendarmeria vaticana per essere interrogata, la donna è stata poi ricoverata in una struttura ospedaliera. Tutto è avvenuto in pochi secondi, la musica e la processione che si fermano, uomini della sicurezza che percorrono velocemente la navata centrale verso il punto in cui si trovava il Papa, e poi un lungo liberatorio applauso e un “viva il Papa” che, visibilmente scosso, ha proseguito la processione, e ha presieduto la messa della notte. Un episodio che mostra come sia difficile il lavoro della sicurezza di un Papa che non vuole rinunciare ad essere tra la gente e avvicinare bambini, uomini e donne. Immediata la solidarietà e la vicinanza espressa al Papa dalla Chiesa italiana, dal cardinale Angelo Bagnasco, dalle Conferenze episcopali di altre nazioni, dal presidente Napolitano e dal mondo politico italiano.
La Chiesa non ha paura, dirà, poi il Papa, nel messaggio “Urbi et Orbi”, cioè “alla città e al mondo”, nel giorno di Natale. Non ha paura perché la sua forza viene da quel Bambino nato in uno sconosciuto villaggio della Palestina, nato in una grotta dove splendeva la luce vera, mentre tutto attorno era buio. La verità e l’amore, afferma il Papa “si accendono là dove la luce viene accolta, diffondendosi poi a cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce”.
È la storia della Chiesa, afferma ancora il Papa nel messaggio che pronuncia dalla loggia centrale della basilica vaticana, di un Dio che ancora oggi “accende fuochi nella notte del mondo per chiamare gli uomini a riconoscere in Gesù il segno della sua presenza salvatrice e liberatrice”.
Una luce che è accolta subito dai pastori, “vigilanti”, che “si affrettarono”, anzi in Luca leggiamo che “andarono senza indugio”. Certo curiosità ma anche il fatto che la notizia era comunicata proprio a loro. Dice il Papa: “La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato”. Arrivarono, dunque, prima i pastori e poi i sapienti. Certo questi ultimi venivano da lontano, dall’Oriente, avevano molta strada da percorrere e la necessità di una guida. Nel mondo di oggi, afferma ancora il Papa nell’omelia della messa della notte, ci sono i semplici che accorrono e chi invece si trova lontano, una lontananza culturale, perché “viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui”. Ma il “tempo impegnato per Dio e, a partire da lui, per il prossimo non è mai tempo perso”.
Una Chiesa che non ha paura di attacchi e persecuzioni, è “presenza che chiama all'accoglienza” di coloro che “migrano dalla loro terra e sono spinti lontano dalla fame, dall'intolleranza e dal degrado ambientale”; è ancora una Chiesa “solidale con coloro che sono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opulenti”. È una Chiesa che sprona le società occidentali “a superare la mentalità egoista e tecnicista, a promuovere il bene comune, a rispettare le persone più deboli, a cominciare da quella ancora non nate”.
Nelle parole pronunciate a Natale, messaggio trasmesso in oltre 60 Paesi del mondo, papa Benedetto ha invocato pace per la Terra Santa, ancora segnata da una “logica di violenza e di vendetta”, ed ha chiesto di “impegnarsi con rinnovato vigore e generosità nel cammino verso una convivenza pacifica”. Un appello alla pace che è per tutto il Medio Oriente, per l’Iraq dove i cristiani soffrono “violenze e ingiustizie”, un “piccolo gregge”, lo definisce il Papa, proteso nel “dare il proprio contributo all’edificazione della convivenza civile contraria alla logica dello scontro e del rifiuto del vicino”. Il suo sguardo corre ai Paesi dell’Asia, all’Africa delle guerre dimenticate e chiede di “superare le divisioni interne e di accogliersi reciprocamente”. La Chiesa “è fattore identitario, pienezza di verità e di carità che nessuna ideologia può sostituire, appello al rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona ed al suo sviluppo integrale, annuncio di giustizia e di fraternità, fonte di unità”.
Messaggio di Natale che Benedetto XVI conclude con gli auguri in 65 lingue, una in più rispetto allo scorso anno. È la luce di quella grotta che a cerchi concentrici si irradia di luogo in luogo: perché “la Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore”. Un Natale, dice agli abitanti di Roma e dell’Italia, in cui “la nascita di Cristo rechi in ciascuno nuova speranza e susciti generoso impegno per la concorde costruzione di una società più giusta e solidale. Contemplando la povera e umile grotta di Betlemme, le famiglie e le comunità imparino uno stile di vita semplice, trasparente e accogliente, ricco di gesti di amore e di perdono”.

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