lunedì 11 gennaio 2010

Il Papa: Non può esserci violenza nel nome di Dio, né si può pensare di onorarlo offendendo la dignità e la libertà dei propri simili (Allevato)


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Benedetto XVI: «La violenza contro i cristiani suscita sdegno»

di Marta Allevato

ALL’ANGELUS Il Papa durante la preghiera è tornato sui recenti fatti di sangue in Egitto e Malaysia

Egitto, Malaysia, Irak. Pur senza nominarle apertamente, è a queste tre nazioni che si rivolgono le parole di «sdegno» pronunciate ieri da Benedetto XVI al termine della preghiera dell'Angelus.
Il Papa ha voluto riportare l'attenzione sulle «situazioni conflittuali, in cui i cristiani sono oggetto di attacchi, anche violenti», condannando con forza la strage di copti in Egitto e altri episodi che hanno colpito le comunità cattoliche in Asia tra Natale e l'Epifania.
Benedetto XVI ribadisce che «la violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano! Invito, a guardare il volto dell'altro e a scoprire che egli ha un'anima, una storia e una vita e che Dio lo ama come ama me». Solo con questo tipo di approccio, spiega il Papa, si può rispettare anche l'uomo nella sua diversità religiosa.
«La violenza verso i cristiani in alcuni Paesi ha suscitato lo sdegno di molti, anche perché si è manifestata nei giorni più sacri della tradizione cristiana. Occorre che le istituzioni, sia politiche sia religiose, non vengano meno alle proprie responsabilità. Non può esserci violenza nel nome di Dio, né si può pensare di onorarlo offendendo la dignità e la libertà dei propri simili».
Già da metà dicembre, in Paesi come Indonesia, India e Pakistan era stato innalzato il livello di sicurezza intorno ai luoghi di culto cristiani, ritenuti obiettivo sensibile di gruppi terroristici, nazionalisti o integralisti religiosi. Ma sono stati Egitto, Irak e Malaysia gli Stati dove le festività natalizie si sono trasformate in un incubo, dal quale i cristiani aspettano ancora di risvegliarsi.
La sera del 6 gennaio, alla fine della veglia per il Natale ortodosso, un gruppo di persone armate ha sparato, da due auto, raffiche di mitra contro i fedeli appena usciti dalla chiesa copta di Nag Hammadi, in Egitto, uccidendone sette. L'escalation di tensione tra cristiani e musulmani della zona era iniziata a novembre, dopo le accuse a un giovane cristiano di aver stuprato una musulmana minorenne. Secondo i copti, l'accusa è solo un pretesto per giustificare una spietata caccia all'uomo. Lo confermerebbe il fatto la polizia non ha ancora preso provvedimenti contro il presunto colpevole. Minacce e intimidazioni erano arrivate fino al vescovo della città, Anba Kirollos, tanto che lui stesso ritiene essere il reale obiettivo dell'aggressione del 6 gennaio. Per ora la polizia egiziana ha recuperato una delle due auto usate dal commando e identificato i responsabili. Ma non stupirebbe che anche questo episodio di violenza contro i copti in Egitto rimanesse impunito.
Senza condannati rimangono anche la maggior parte dei numerosi attentati ai cristiani d'Irak. Dove il governo continua a promettere protezione e giustizia alla sempre più esigua comunità. Il 23 dicembre, due diversi attacchi hanno colpito la chiesa di San Giorgio dei caldei e la chiesa siro-ortodossa di san Tommaso a Mosul, uccidendo tre fedeli. Ma la violenza contro i cristiani di Mosul non si è fermata: la vigilia di Natale, un uomo è stato ucciso davanti alla sua abitazione, mentre il 31 dicembre un gruppo islamico ha rapito una studentessa cristiana.
In Malaysia, invece, la notte del 7 gennaio un'esplosione ha danneggiato gli uffici amministrativi di una chiesa protestante a Kuala Lumpur. Nelle stesse ore, altri tre luoghi di culto cristiani, tra i quali la chiesa cattolica dell'Assunzione a Petaling Jaya, hanno subito attacchi dinamitardi.
Si tratta di rappresaglie dell'ala fondamentalista islamica del Paese alla recente decisione della Corte suprema di consentire l'uso della parola "Allah" in riferimento al Dio cristiano. Una decisione avversata dal governo, che ha già annunciato il ricorso.

© Copyright Il Giornale, 11 gennaio 2010 consultabile anche qui.

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