mercoledì 5 maggio 2010

I giovani torinesi: “Il Papa ci ha restituito la speranza” (Rossi)


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“Ci ha restituito la speranza”

ANDREA ROSSI

«Per chi vive in condizioni di precarietà, a causa della mancanza del lavoro. Per i ragazzi. Per gli emarginati. Non perdete la speranza». Papa Benedetto XVI lo dice durante la messa del mattino. Qualche ora dopo lo tocca con mano in una piazza sferzata dalla pioggia, un tappeto di ombrelli e mantelline dai colori dell’arcobaleno.
50 mila giovani scalpitano, ballano, si sbracciano. La Torino che scruta il domani con un filo di timore. E la Torino della seconda generazione d’immigrati, affannosamente in cerca di un’integrazione che costa fatica. Si mescolano dentro piazza San Carlo, nella stessa inquietudine, orgoglio e malinconia. «La verità è che non siamo di moda»: in una frase Giulia Miletto, 18 anni da Trofarello, fotografa una piazza intera. Giorgio Picco, 19 anni, studente a Scienze Gastronomiche, il sogno di aprire un agriturismo, va un passo oltre: «Per tanti nostri coetanei conta seguire la massa. E la massa, inutile negarlo, oggi non procede nella nostra direzione. A essere religiosi a volte ci si sente diversi».
Eppure ci sono, e sono tanti, rinfrancati, sotto un cielo cupo. «Ho udito parole commoventi», dice Filippo Gillio, 19 anni. «Il fatto che il Papa abbia voluto dedicare un momento a noi è segno di grande sensibilità». Filippo ci ha messo del suo perché una giornata così si avversasse. In questi giorni di ostensione si occupa del servizio per i disabili come volontario. Angelo Catanzaro, 25 anni, invece, presidia il villaggio giovani, una sorta di ostello per i suoi coetanei arrivati da lontano, ma oggi distribuisce i foulard gialli e blu. Paride Galeone, 26 anni, pugliese, per la prima volta canta per il Papa. Se ne sta in seconda fila, in mezzo ai 270 del coro che circonda Benedetto XVI e quasi lo abbraccia: «Abbiamo provato cinque mesi per essere pronti oggi».
Aspettavano un segno. Cercavano «conforto», per dirla con Giulia Miletto. L’hanno trovato, dicono mentre Papa Benedetto dopo tre quarti d’ora lascia piazza San Carlo. Raccolgono il messaggio. «Possiamo affrontare con fiducia questo presente tumultuoso, anche per la Chiesa, tempo di cui non abbiamo paura»: Isabella Brianza e Vincenzo Camarda leggono davanti al Papa il saluto dei suoi giovani. Forse è così. Forse ne avevano davvero bisogno se c’è chi, come Martino Incarbone, 26 anni, presidente dei giovani dell’Azione cattolica di Milano, per esserci si è fatto 40 chilometri a piedi, dalla Sacra di San Michele.
Piazza che trasuda gioia, ma agitata da un velo d’incertezza. Generazioni in cerca di punti fermi. Paride Galeone ha lasciato la sua Puglia per studiare al Conservatorio, ora insegna musica alle scuole medie: «Precario». Gianfranco Echan, 19 anni, origini filippine, studia per diventare infermiere, si aggrappa alle transenne intorno alla piazza. «Il messaggio del Papa ci aiuta a non mollare. Ha parlato di precari, immigrati, emarginati, persone sole, che non si sentono a casa loro. Quelli siamo noi. E lui ci ha detto di non perdere la speranza». I ragazzi dell’oratorio salesiano San Luigi di via Ormea sanno bene cosa vuol dire. Matar Sylla ha 17 anni, quando ne aveva 14 è scappato dal Senegal. Era solo. I salesiani si sono presi cura di lui. È musulmano, ma oggi è un dettaglio da poco. «Siamo tutti figli dello stesso Dio». Yassin Ghiali, 19 anni e Mohamed Ammar, 34, sono marocchini. Anche loro soli in Italia. «Non hanno famiglia, solo me», racconta don Mario Mergola. Li ha fatti studiare - chi da meccanico chi da cuoco o barista - li ha avviati al lavoro.
Don Antonio Marino, dal centro della piazza, se li culla tutti con lo sguardo. Ride. Ha 36 anni, ieri era uno dei più giovani sacerdoti a concelebrare la messa. «Abbiamo bisogno di credere nel domani. Il Papa l’ha capito e oggi ha lanciato un segnale preciso».

© Copyright La Stampa (Torino), 3 maggio 2010

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