martedì 4 maggio 2010

Il vescovo di Oakland ricostruisce il “caso Kiesle”, utilizzato dai media internazionali per attaccare il Papa (Boffi)


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Su segnalazione di Eufemia e Alessia leggiamo:

Chi ha incastrato Joseph Ratzinger

«Vogliono portare il Papa in tribunale». Il vescovo di Oakland ricostruisce il “caso Kiesle”, utilizzato dai media internazionali per infangare l’operato dell’allora prefetto del Sant’Uffizio. Ecco come sono stati manipolati i fatti. «L’attacco alla Chiesa è l’ultimo pregiudizio ancora giustificabile»

di Emanuele Boffi

Il 9 aprile l’Associated Press ha fatto uno scoop. Ha presentato al mondo la prova che Benedetto XVI, quando ancora era il cardinale Joseph Ratzinger e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant’Uffizio), aveva coperto un prete pedofilo.
A supporto della propria accusa, l’Ap ha presentato una lettera scritta in latino datata 6 novembre 1985 in cui l’allora cardinale Ratzinger esprimeva preoccupazione per la riduzione allo stato laicale di un sacerdote californiano accusato di abusi sessuali su minori.
E in cui, rispondendo alle sollecitazioni del vescovo di Oakland, Stephen Cummins, prendeva tempo, tergiversava, cercava di occultare la triste vicenda per «il bene universale della Chiesa». In quelle inequivocabili parole, secondo la ricostruzione dell’Ap, c’era la prova che anche Ratzinger avesse a suo tempo tentato di nascondere e di sottrarre alla giustizia un sacerdote pedofilo. Nel giro di poche ore, il Vaticano chiarì i contorni dell’episodio, scagionando l’attuale Pontefice da qualsiasi accusa. Disinnescato l’effetto scandalistico, i media mondiali smisero di interessarsi della vicenda.
A circa venti giorni da quello “scoop” è la stessa diocesi di Oakland, per voce e penna del suo attuale vescovo, Salvatore Joseph Cordileone, a ritornare su quell’episodio.
Cordileone ha pubblicato sul giornale della diocesi, The Catholic Voice, una puntuale e dettagliata ricostruzione di quanto fosse accaduto in quegli anni e di come si fosse comportato Ratzinger. Le conclusioni, utilizzando le stesse prove dell’Ap e ricostruendo il contesto storico in cui si svolsero i fatti, sono diammetralmente opposte rispetto a quelle presentate dell’agenzia di stampa americana.
«Verso la fine degli anni Settanta– racconta Cordileone a Tempi – Stephen Kiesle, un sacerdote della diocesi, fu accusato di molestie sessuali su minori. L’allora vescovo, monsignor Cummins, subito lo rimosse dal suo incarico allontanandolo dai bambini e facendolo seguire da uno psichiatra e da un avvocato. Va chiarito che, fino al 2001, era compito delle singole diocesi occuparsi dei preti accusati di tali reati. E così fece il vescovo Cummins, cui competeva l’indagine canonica per portare il sacerdote alle dimissioni dallo stato clericale.
Ratzinger, quindi, non avrebbe potuto intervenire su questo aspetto, perché, ripeto, solo nel 2001 la competenza su tali decisioni è passata dalle diocesi alla Congregazione per la dottrina della fede da lui presieduta».
Come si spiega la lettera del 1985? «La lettera fu inviata da Cummins perché il mio predecessore chiese alla Santa Sede come avrebbe dovuto regolarsi rispetto alla richiesta dello stesso Kiesle di essere ridotto allo stato laicale. è un “favore”, una dispensa, che Kiesle chiedeva al Papa, l’unico che nella Chiesa aveva l’autorità per accordarglielo».
Cordileone non lo dice espressamente, ma è facile intuire la strategia di Kiesle: avesse ottenuto il “favore” dal Vaticano, si sarebbe con maggior agio sottratto alle indagini della sua diocesi e sarebbe stato seguito dalle sole autorità civili, le quali, checché se ne pensi, hanno tempi più lunghi e metodi meno efficaci per appurare la verità di quelle ecclesiastiche. Prosegue Cordileone: «La risposta di Ratzinger si inserisce in questo contesto. Chi si intenda di diritto canonico ritroverà, leggendo la lettera, molti passaggi formali, consueti per quel tempo rispetto a richieste di questo tipo.
Quasi che quella fosse una risposta di routine. Quel che voglio dire è che l’allora prefetto Ratzinger rispondeva in questa maniera a tutti quei tipi di domande. Anche se, va sottolineato, alcune espressioni non suonano né formali né distaccate. Tanto è vero che si raccomanda “massima cura paterna” per “le vittime e per i bambini” che Kiesle “mai più avrebbe dovuto poter avvicinare”».
I media mondiali hanno voluto leggere in alcune espressioni della missiva le prove che l’attuale Papa intendesse coprire don Kiesle. In particolare quando scrisse che occorreva considerare «il bene della Chiesa universale» e il «danno che concedere la dispensa può provocare nella comunità dei credenti in Cristo, in particolare vista la giovane età del sacerdote». Cordileone spiega che, «all’epoca, Kiesle aveva 38 anni. Per una prassi che vale come regola la Congregazione non accettava domande di dispensa da parte di sacerdoti che non avessero compiuto quarant’anni». Questa regola era stata introdotta perché, in quegli anni, molti giovani preti avevano avanzato richieste in tal senso, per le più disparate ragioni, non ultima quella di lasciare il sacerdozio per potersi sposare (lo stesso don Kiesle aveva avanzato la sua richiesta adducendo questa motivazione). La Chiesa, quindi, aveva adottato una sorta di moratoria e si era detta pronta ad accogliere le domande solo dopo i quarant’anni, per dar modo ai sacerdoti di compiere un percorso che li portasse a riscoprire il valore della propria vocazione. «Questo – prosegue Cordileone – spiega le parole di Ratzinger. Le sue raccomandazioni a Cummins non vanno lette pensando che lo invitasse a occultare il caso, ma nel senso che la dispensa non poteva essere data per non creare un precedente. Ratzinger, dunque, per quel che gli competeva, si comportò in maniera assolutamente corretta».
La diocesi di Oakland continuò nelle sue indagini contro Kiesle, escludendolo da attività di ministerio. Nel frattempo, siamo nel 1987, Kiesle compì quarant’anni e, racconta Cordileone, «il giorno del suo compleanno la Congregazione per la dottrina della fede concesse la dispensa». Kiesle si sposò, finì in prigione, si macchiò nuovamente di altri reati su minori.

Una questione di risarcimenti

Cordileone è da due anni vescovo di Oakland e racconta di aver trovato una diocesi che «è molto attenta a questi casi. Potremmo dire che è “all’avanguardia” per il livello di attenzione che pone su queste vicende». Tuttavia, sottolinea, «tale attenzione non intacca la vita normale della comunità. I fedeli hanno grande rispetto e affetto per i loro pastori. Le vicende che oggi riempiono le pagine dei giornali fanno molto scandalo, ma, per quel che posso testimoniare direttamente, non vanno a incrinare il rapporto di fiducia tra il popolo cristiano e i suoi pastori».
Altra storia è il mondo dell’informazione: «In questo ambito c’è una sproporzione tra le nostre forze e quelle di chi ci attacca». Secondo Cordileone l’obiettivo dei sempre più frequenti attacchi al Pontefice è «di ordine economico. Come dice senza nascondersi l’avvocato di alcune presunte vittime, Jeff Anderson, quel che si vuole fare è portare il Santo Padre in tribunale per poi costringere il Vaticano a risarcire le vittime. Poi c’è un livello più profondo che riguarda il tentativo di dimostrare, attraverso la squalifica della moralità cristiana, che il cristianesimo non è più pertinente con il mondo moderno». Un mondo che considera «l’attacco alla Chiesa l’ultimo pregiudizio ancora giustificabile».

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Il Nyt, dopo aver maramaldeggiato, fa il buonista, Eufemia
http://www.nytimes.com/2010/05/05/us/05poll.html