martedì 4 maggio 2010

Il bacio di Angela al Papa, un lampo nel buio (Ghiseri)


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Il bacio di Angela un lampo nel buio

PAOLO GRISERI

LE DITA di Giancarla tambureggiano senza sosta sul palmo di Angela. Si capisce che Angela è contenta, tanto contenta. Si alza e muove la mano verso il nulla, verso il volto di un uomo che non vede ma che è invece vicinissimo. Angela bacia l'uomo sulla guancia. Tutti applaudono forte: sanno che lei è cieca, sorda e muta dalla nascita. Eppure oggi è riuscita a baciare il Papa.
ANGELA comunica con il mondo solo attraverso il tamburellare della dita di Giancarla. È una dei duecento ospiti del Cottolengo. Abita qui da più di cinquant'anni. È una dei dieci fortunati che ieri pomeriggio hanno avuto l'onore di andare incontro a Benedetto XVI.
Nella chiesa dell'istituto i malati hanno un posto in prima fila. Sono un centinaio quelli in carrozzina, sistemati di fronte all'altare. Un colpo d'occhio che raggela e dà speranza al tempo stesso. Eccola, schierata in cinque ordini di posti, nei volti trasfigurati dal dolore come quelli dei malati di Goya, eccola la Passio hominis, quella sofferenza umana che è stato il cuore del messaggio dell'Ostensione del 2010 e diventerà il momento culminante della visita di Papa Ratzinger a Torino. Più delle riflessioni teologiche di fronte al Telo del Duomo, più della messa del mattino in piazza San Carlo, rimarrà l'immagine di questa chiesa colma di dolore. Piena di storie come quella di Boigdan, il ragazzo albanese che una malattia gravissima costringe a rimanere sempre quasi orizzontale, obbligato a guardare il soffitto, condannato a contare le stelle. Per l'occasione la madre lo ha vestito a festa: gli ha messo un abito grigio e una cravatta, rischiando di renderlo buffo come tutti i bambini vestiti da adulti. Ma Boigdan non è per niente buffo. È, anzi, dignitosissimo proprio perché, forse, non si rende conto. Quando il Papa entra nella chiesa, poco prima delle 19, è il popolo delle carrozzine, il popolo dei tanti che non possono alzarsi in piedi ad acclamarlo, il vero protagonista della giornata: «Questi malati - dice il superiore generale, padre Aldo Sarotto - sono il nostro tesoro più prezioso». Ratzinger riprende il concetto: «Cari malati, vivendo le vostre sofferenze voi partecipate alla salvezza del mondo». Un messaggio certamente non facile da accettare anche per chi crede. Ma oltre il muro del Cottolengo è difficile trovare qualcosa di semplice da accettare. Tutto sembra straordinario e incomprensibile. La superiora delle cottolenghine, suor Giovanna Massé, sa bene di rivelare qualcosa di assurdo quando spiega che «in questo posto ci sono le suore che lavorano assistendo i malati e ci sono le sorelle del monastero di clausura». Com'è possibile chiudersi in clausura in mezzo a tanta sofferenza? «Non solo è possibile ma è anche utile. Senza l'aiuto delle nostre sorelle che pregano in clausura, noi non ce la faremmo a sopportare la fatica del nostro lavoro con i malati». Così anche le preghiere di chi non esce mai dalla sua cella entrano nel particolare ciclo produttivo di uno dei luoghi di cura più particolari al mondo. Attendendo Ratzinger nelle navate della chiesa, tutto ciò che sta oltre il portone, nella città che conosciamo, sembra cambiare di peso e di importanza. Che cosa sono le distinzioni e le baruffe quotidiane di fronte alla sofferenza estrema di una persona che rimane per ore sulla carrozzina, in prima fila, senza poter muovere braccia e gambe perché le ha perse chissà quanto tempo fa? Giuseppe, così si chiama, ha uno sguardo vivacissimo, parla e ragiona come tutti ma ha bisogno di qualcuno che gli presti il lavoro delle sue braccia e delle sue gambe per vivere.
È una vite senza tralci, la pietra scartata dai costruttori che qui diventa pietra d'angolo. Questa capacità di parlare al mondo attraverso la cura di chi soffre e sta in fondo alla scala sociale, è forse l'aspetto più apprezzato della chiesa cattolica anche nei tempi difficili che sta attraversando oggi. Il riscatto attraverso la cura della Passio hominis, soprattutto quando quella sofferenza è estrema, è uno dei possibili terreni di dialogo anche con la Torino laica. Perché sul far della sera, mentre il corteo del Papa e dei cardinali lascia la chiesa del Cottolengo per andare verso Caselle, la cosa più importante di tutte è che, alla fine, Angela ha sorriso. E non sa nemmeno che cosa voglia dire.

© Copyright Repubblica (Torino), 3 maggio 2010

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