sabato 15 maggio 2010
Il crocifisso nell'arte e nella liturgia (Michael John Zielinski)
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Il crocifisso nell'arte e nella liturgia
L'albero glorioso che spiega il mistero
Il 15 maggio, nella chiesa dell'Annunziata a Pesaro, viene presentato il volume Il Crocifisso e la Maddalena. Meditazioni sul capolavoro di Federico Brandani (Roma, Art, 2009, pagine 136, euro 28, a cura di Stefano Zilia Bonamini Pepoli, con prefazione di monsignor Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie) realizzato in occasione del restauro della scultura cinquecentesca conservata nella chiesa di Sant'Agostino a Pesaro. Pubblichiamo stralci del saggio scritto dall'abate vicepresidente della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa.
di Michael John Zielinski
La croce identifica il cristianesimo, riunendo nel mistero l'abbassamento e l'innalzamento di Cristo. Per questo il credente acclama Ave, crux gloriosa. La teologia dell'incarnazione del Verbo dà ragione della kènosis, lo "svuotamento" di Dio, poiché attraverso di essa si manifesta la potenza della risurrezione salvifica di Cristo.
A motivo di tale centralità nell'annuncio del Vangelo, nella teologia e nella liturgia, la croce è stato uno dei primi soggetti rappresentati, a mosaico o dipinta, sulle absidi delle basiliche paleocristiane. Dalle ricostruzioni delle basiliche costantiniane, all'inizio del iv secolo, sembra che le absidi presentassero una croce su uno sfondo di mosaico dorato luminoso. Dopo la pace costantiniana, la croce, assunta come nuovo emblema del potere imperiale, era divenuta, infatti, anche simbolo glorioso del trionfo di Cristo.
Tema teofanico per eccellenza, la croce era direttamente connessa alla celebrazione liturgica, come elemento di attrazione dell'assemblea in preghiera e, nelle chiese orientate, indicava il punto da cui il Signore era sorto, come il sole, e da cui ci si attendeva il suo ritorno.
Il legame fra la croce e la liturgia risulta anche dal fatto che questo arredo è legato praticamente in modo indissolubile, già dai primi secoli, all'altare. Fin dal v secolo, infatti, è attestata la presenza di croci preziose appese ai cibori o di croci astili processionali collocate nei pressi dell'altare durante la celebrazione. A partire dal x-xi secolo, quando l'altare subì uno spostamento di posizione verso il fondo dell'abside, divenne abituale in occidente collocare una croce d'altare, in forma di crocifisso, fissa o mobile, sul bordo posteriore della mensa, affiancata da due candelieri. La croce d'altare, già nel xiii, secolo era una suppellettile comune, mentre nel messale tridentino la sua presenza è scontata. Sempre in epoca tridentina, san Carlo Borromeo raccomandò per la diocesi di Milano l'antica consuetudine di appendere un grande crocifisso al soffitto sopra l'altare.
Una volta superata l'originale reticenza a rappresentare la crocifissione, il più infamante dei supplizi, da parte dei cristiani dei primi secoli, il Cristo crocifisso è stato rappresentato per molti secoli come Christus crucifixus vigilans, in posizione eretta sulla croce, fissato con chiodi e con una ferita sul fianco, coi segni della morte, ma con gli occhi aperti, segno del trionfo sulla morte. Uno dei modelli pittorici più noti di tale tipologia, in cui Cristo è vestito di un solenne colòbion purpureo a clavi dorati, si trova a Roma, in Santa Maria Antiqua, risalente al vii-viii secolo e di derivazione siro-palestinese. Successivamente, sulla base di prototipi bizantini, anche in occidente il Crocifisso cominciò ad apparire con gli occhi chiusi e i segni della passione, rivelatori di una maggiore attenzione all'umanità di Cristo e alla sua passio humilissima, presente anche nella teologia. Riproducono questo tipo di figurazione le cosiddette croci dipinte, che fiorirono nell'Italia centrale nel corso del Duecento-Trecento.
Di particolare interesse è il fatto che attorno alla figura centrale di Cristo fossero disposte delle figurazioni simboliche o narrative secondo un programma di carattere teologico, percepibile da chi guardava l'arredo durante la celebrazione della messa. Nella tabella della cimasa si trovano Dio Padre o il Tetramorfo, in quella della predella l'Agnello mistico o il Calice, con un chiaro riferimento eucaristico, a quelle alle estremità dei bracci Maria e Giovanni evangelista, i testimoni del Golgota, infine in quelle dei fianchi sono riprodotti gli episodi evangelici riconducibili ai principali misteri della fede celebrati nella liturgia.
Queste croci erano immagini liturgiche e come tali avevano una collocazione congrua, addossate alla parete dell'abside, appese sopra l'altare o fissate sopra lo jubé, il recinto che racchiudeva la zona dell'altare e del coro.
La preferenza per il Cristo doloroso ricevette un grande influsso nel pieno medioevo per impulso della mistica francescana e di quella nordica con la loro insistenza sulla devozione all'umanità sofferente di Cristo. In questa temperie spirituale, infatti, il crocifisso è considerato un mezzo per alimentare la devozione personale, cioè di appagare il desiderio dell'anima pia di immedesimarsi anche affettivamente ed emotivamente nella passione del Signore. Se poi, per influenza dell'umanesimo, i crocifissi del Quattrocento tornarono a rappresentare il corpo di Cristo, pur morto, con una forza e bellezza ideali, non mancarono in epoca barocca crocifissi dolorosamente connotati, a seconda della sensibilità spirituale dell'artefice e del committente.
La Crocifissione è un soggetto largamente sfruttato anche in pittura con una connotazione talvolta serena e talvolta drammatica della scena. Il Crocifisso dalle carni d'avorio di Guido Reni di San Lorenzo in Lucina a Roma (1639-1642) è molto distante nella composizione dai due trittici tragici e teatrali di Rubens per la cattedrale di Anversa (1610-1612), raffiguranti l'uno l'innalzamento della croce, fra la strage degli innocenti e la crocifissione e l'altro la deposizione dalla croce, fra la visitazione e la presentazione al tempio. Tuttavia, entrambe le opere sono concepite come pale d'altare e comunque realizzate per sottolineare il legame fra il sacrificio della croce e il sacrificio della messa.
Si può affermare che già nel medioevo maturo la forma di quest'immagine, con la preferenza al Cristo doloroso, è ormai sostanzialmente determinata e diverrà una delle immagini più presenti nelle chiese, ma anche fra le più diffuse nelle case, nei crocicchi delle strade, nei luoghi pubblici e considerata fra le più care al popolo di Dio fino ai nostri giorni. Esso è diventato persino un segno universalmente riconosciuto e rispettato, anche da quanti pur ritenendosi non credenti, riconoscono il cristianesimo e i suoi simboli come parte della civiltà europea.
Oggi non mancano artisti che si lasciano ispirare da soggetti sacri. Il problema attuale è di individuare opere che non siano solo religiose, ma tali da entrare nelle chiese perché in grado di svolgere una funzione liturgica. Per questo è necessario che gli artisti abbiano la possibilità di avere una sorta di canone teologico, in modo da poter confrontare le loro opere con ciò che la Chiesa desidera da essi. I credenti, infatti, hanno bisogno di vedere immagini conformi alla verità della fede, cosicché l'artista diventa strumento vitale della nuova evangelizzazione in un mondo in cui l'immagine è sempre più preponderante.
Nella scelta della croce per l'altare bisogna pensare anzitutto che essa deve essere espressiva di tutto il mistero pasquale. Non è sufficiente che provochi una partecipazione affettiva, né che richiami semplicemente l'evento storico del Golgota. Deve saper riassumere e rendere evidente lo stesso mistero di Cristo morto, risorto, asceso al cielo, di cui si attende il ritorno, che si celebra nella messa. Le forme elaborate dalla tradizione possono aiutare l'artista contemporaneo a proporre soluzioni accettabili. L'utilizzo di materiali preziosi e nuovi che aumentino la luminosità dell'arredo è una via che non deve essere trascurata. Ad ogni modo, solo se assolve a questa finalità squisitamente liturgica, un crocifisso contemporaneo può essere ammesso a fungere da "immagine d'altare" o meglio di immagine "per lo spazio dell'altare", la cui collocazione solitamente è la parete di fondo ben visibile ai fedeli.
(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)
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2 commenti:
Intanto la Madonnina che protegge la città di Milano dalla sommità del Duomo, viene impacchettata e coperta per tre lunghi anni per restauri.
Non se ne può nel frattempo metterne una, anche di plastica in sostituzione?
O non si vuole?
Magari si dovrebbe anche affiancarle una statua (di plastica) di San Michele Arcangelo?
N.B. scusate, ma approfitto di questo spazio per gridare il mio sconcerto!!!
Lo Zielinski a Firenze si chiamava Cristoforo.
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